"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 13 febbraio 2023

Dell’essere. 68 Enzo Bianchi: «Ciò che fa l’umanità è la passione condivisa, un patire in comune, insieme, per poter vivere insieme».


Ha scritto Enzo Bianchi in “La compassione virtù necessaria” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi, lunedì 13 di febbraio 2023: (…). Martha Nussbaum, filosofa statunitense, ha prestato attenzione alla compassione non solo come virtù individuale, ma come necessaria dimensione sociale, una necessità della convivenza che deve potersi esprimere anche nella politica e negli istituti giuridici. Se le cause della sofferenza sono anche collettive, allora la compassione dovrebbe figurare tra gli strumenti politici e sociali per la trasformazione di una situazione. Paul Ricoeur ha chiesto, con la sua autorevolezza di umanista oltre che filosofo, l’applicazione della compassione ai nostri sistemi giuridici. E se per un verso in nome della compassione non si possono dimenticare le regole della giustizia, per un altro verso la giustizia necessita di compassione se non vuole diventare anonima e disumana. Se è vero che le sofferenze non si equivalgono e possono avere cause e responsabilità diverse, se ci sono anche sofferenze cercate, ascoltare le sofferenze degli altri non significa condividerne le ragioni, ma significa rifiutarsi di considerare le sofferenze con indifferenza. La compassione, questo sentimento universale che è al cuore di spiritualità anche molto diverse fra loro - da quella cristiana a quella buddhista -, non è mai riservata ai soli membri della stessa comunità, della stessa famiglia, ma è indirizzata a tutti perché è un sentimento naturale degli umani. Nasce dalle profondità delle viscere materne, secondo la Bibbia, e dice la propria vulnerabilità, come capacità di essere toccati dalla sofferenza altrui. Dostoevskij ha definito la virtù della compassione la più importante delle virtù e l’unica legge di vita dell’intera umanità. Solo la compassione fa progredire l’umanità. Ma c’è da temere che in questo avanzare della barbarie, diventino un sottofondo a tante dichiarazioni di questi giorni le affermazioni di Nietzsche in Così parlò Zarathustra: “Io non amo i compassionevoli … Quelli che creano devono essere duri. Sia lodato ciò che rende duri!”. Se si instaurasse culturalmente un simile modo di pensare la società e se si assumesse questa postura di fronte alla sofferenza sarebbe davvero non solo la morte della pietà, ma la morte dell’umano. Ciò che fa l’umanità è la passione condivisa, un patire in comune, insieme, per poter vivere insieme. Di seguito, “Siamo passati dalla compassione alla contestazione violenta” di Umberto Galimberti pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 18 di dicembre dell’anno 2021: La compassione è la partecipazione emotiva al dolore altrui che si esprime attraverso un sentimento di solidarietà, alla base del quale c'è, per Schopenhauer, la consapevolezza della comune partecipazione al tratto doloroso dell'esistenza. Questa consapevolezza è la prima via di liberazione dall'inganno con cui la Specie utilizza gli individui per il raggiungimento dei suoi scopi, che riguardano la sua economia, non quella degli individui. Questo conflitto tra individuo e Specie è particolarmente evidente nell'esperienza di ogni donna che si dispone a generare. La futura madre deve assistere alla trasformazione del suo corpo, al trauma della nascita che non riguarda solo il nascituro, alla sottrazione del suo tempo e del suo sonno perché il neonato richiede una dedizione totale, talvolta alla perdita del lavoro e, con il lavoro, alla perdita delle sue relazioni sociali. Per l'economia della madre tutto ciò rappresenta una perdita secca, per la Specie un guadagno assoluto. Si smobiliti quindi il mito dell'amore materno. Le madri amano ma anche odiano i figli, e quando, per fortuna assai raramente, non arrivano al gesto estremo, usano espressioni, nell'intenzione affettuose, come "ti mangerei", "ti ammazzerei", che lasciano trasparire il sentimento di rifiuto che non vogliono ammettere. Per Freud la compassione è una forma di inibizione utilizzata per reprimere le componenti di crudeltà presenti nella nostra pulsione sessuale che risponde al principio di piacere. Ma è sempre Freud a ricordarci che dal principio di piacere occorre emanciparci per approdare al principio di realtà. Sempre in ambito psicoanalitico Paul Gilbert, dell'Università di Derby, ha fondato la psicoterapia focalizzata sulla compassione, per persone che provengono da esperienze traumatizzanti di cui si colpevolizzano, al punto da assumere nei propri confronti atteggiamenti ipercritici e di vergogna da cui non riescono a liberarsi, come nel caso di chi ha subito abusi in età infantile. Addestrandole a sentimenti compassionevoli verso se stesse, queste persone giungono a elaborare nuovi modi di sentire e di pensare che modificano il concetto che hanno di sé e di conseguenza il loro modo di relazionarsi agli altri. Lei dice che alla compassione oggi si è sostituita la contestazione, qui intesa non come rivendicazione di diritti, ma come rifiuto di confrontarsi con le opinioni altrui e, pur di non mettere in questione le proprie, gli odierni contestatori non discutono ma scherniscono, insultano con una grevità di linguaggio quasi questa fosse la prova dell'indiscussa "verità" delle loro opinioni. Ciò che manca loro è la tolleranza, che non consiste nel non infierire sugli altri (questo sarebbe solo buona educazione), ma nel non accettare che le opinioni degli altri possano avere un gradiente di verità superiore alla propria, e quindi tali da allargare la propria visione del mondo inchiodata alle proprie convinzioni, mai messe in questione, perché comode, perché rassicuranti, perché assunte come princìpi, quando in realtà sono semplici abitudini mentali che, radicate nella propria mente, agiscono come dettati ipnotici. A costoro è mancata la scuola che avrebbe come primo compito quello di educare al senso critico, a cui si accede alla sola condizione di accettare di problematizzare le proprie idee.

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