Ha scritto Enzo Bianchi in “La compassione virtù necessaria” pubblicato sul quotidiano “la
Repubblica” di oggi, lunedì 13 di febbraio 2023: (…). Martha Nussbaum, filosofa
statunitense, ha prestato attenzione alla compassione non solo come virtù
individuale, ma come necessaria dimensione sociale, una necessità della
convivenza che deve potersi esprimere anche nella politica e negli istituti
giuridici. Se le cause della sofferenza sono anche collettive, allora la
compassione dovrebbe figurare tra gli strumenti politici e sociali per la
trasformazione di una situazione. Paul Ricoeur ha chiesto, con la sua
autorevolezza di umanista oltre che filosofo, l’applicazione della compassione
ai nostri sistemi giuridici. E se per un verso in nome della compassione non si
possono dimenticare le regole della giustizia, per un altro verso la giustizia
necessita di compassione se non vuole diventare anonima e disumana. Se è vero
che le sofferenze non si equivalgono e possono avere cause e responsabilità
diverse, se ci sono anche sofferenze cercate, ascoltare le sofferenze degli
altri non significa condividerne le ragioni, ma significa rifiutarsi di
considerare le sofferenze con indifferenza. La compassione, questo sentimento
universale che è al cuore di spiritualità anche molto diverse fra loro - da
quella cristiana a quella buddhista -, non è mai riservata ai soli membri della
stessa comunità, della stessa famiglia, ma è indirizzata a tutti perché è un
sentimento naturale degli umani. Nasce dalle profondità delle viscere materne,
secondo la Bibbia, e dice la propria vulnerabilità, come capacità di essere
toccati dalla sofferenza altrui. Dostoevskij ha definito la virtù della
compassione la più importante delle virtù e l’unica legge di vita dell’intera
umanità. Solo la compassione fa progredire l’umanità. Ma c’è da temere che in
questo avanzare della barbarie, diventino un sottofondo a tante dichiarazioni
di questi giorni le affermazioni di Nietzsche in Così parlò Zarathustra: “Io
non amo i compassionevoli … Quelli che creano devono essere duri. Sia lodato
ciò che rende duri!”. Se si instaurasse culturalmente un simile modo di pensare
la società e se si assumesse questa postura di fronte alla sofferenza sarebbe
davvero non solo la morte della pietà, ma la morte dell’umano. Ciò che fa l’umanità è la passione condivisa, un patire in
comune, insieme, per poter vivere insieme. Di seguito, “Siamo passati dalla compassione alla
contestazione violenta” di Umberto Galimberti pubblicato sul settimanale “d”
del quotidiano “la Repubblica” del 18 di dicembre dell’anno 2021: La
compassione è la partecipazione emotiva al dolore altrui che si esprime
attraverso un sentimento di solidarietà, alla base del quale c'è, per
Schopenhauer, la consapevolezza della comune partecipazione al tratto doloroso
dell'esistenza. Questa consapevolezza è la prima via di liberazione
dall'inganno con cui la Specie utilizza gli individui per il raggiungimento dei
suoi scopi, che riguardano la sua economia, non quella degli individui. Questo
conflitto tra individuo e Specie è particolarmente evidente nell'esperienza di
ogni donna che si dispone a generare. La futura madre deve assistere alla
trasformazione del suo corpo, al trauma della nascita che non riguarda solo il
nascituro, alla sottrazione del suo tempo e del suo sonno perché il neonato
richiede una dedizione totale, talvolta alla perdita del lavoro e, con il
lavoro, alla perdita delle sue relazioni sociali. Per l'economia della madre
tutto ciò rappresenta una perdita secca, per la Specie un guadagno assoluto. Si
smobiliti quindi il mito dell'amore materno. Le madri amano ma anche odiano i
figli, e quando, per fortuna assai raramente, non arrivano al gesto estremo,
usano espressioni, nell'intenzione affettuose, come "ti mangerei",
"ti ammazzerei", che lasciano trasparire il sentimento di rifiuto che
non vogliono ammettere. Per Freud la compassione è una forma di inibizione
utilizzata per reprimere le componenti di crudeltà presenti nella nostra
pulsione sessuale che risponde al principio di piacere. Ma è sempre Freud a
ricordarci che dal principio di piacere occorre emanciparci per approdare al
principio di realtà. Sempre in ambito psicoanalitico Paul Gilbert,
dell'Università di Derby, ha fondato la psicoterapia focalizzata sulla compassione,
per persone che provengono da esperienze traumatizzanti di cui si
colpevolizzano, al punto da assumere nei propri confronti atteggiamenti
ipercritici e di vergogna da cui non riescono a liberarsi, come nel caso di chi
ha subito abusi in età infantile. Addestrandole a sentimenti compassionevoli
verso se stesse, queste persone giungono a elaborare nuovi modi di sentire e di
pensare che modificano il concetto che hanno di sé e di conseguenza il loro
modo di relazionarsi agli altri. Lei dice che alla compassione oggi si è
sostituita la contestazione, qui intesa non come rivendicazione di diritti, ma
come rifiuto di confrontarsi con le opinioni altrui e, pur di non mettere in
questione le proprie, gli odierni contestatori non discutono ma scherniscono,
insultano con una grevità di linguaggio quasi questa fosse la prova
dell'indiscussa "verità" delle loro opinioni. Ciò che manca loro è la
tolleranza, che non consiste nel non infierire sugli altri (questo sarebbe solo
buona educazione), ma nel non accettare che le opinioni degli altri possano
avere un gradiente di verità superiore alla propria, e quindi tali da allargare
la propria visione del mondo inchiodata alle proprie convinzioni, mai messe in
questione, perché comode, perché rassicuranti, perché assunte come princìpi,
quando in realtà sono semplici abitudini mentali che, radicate nella propria
mente, agiscono come dettati ipnotici. A costoro è mancata la scuola che
avrebbe come primo compito quello di educare al senso critico, a cui si accede
alla sola condizione di accettare di problematizzare le proprie idee.
Nessun commento:
Posta un commento