"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 23 febbraio 2023

Piccolegrandistorie. 41 Waszynski: «Tutti abbiamo una controfigura che mandiamo nel mondo e che è il nostro unico essere».

A lato. "Castelbuono" (15.01.2023), foto di Ettore Quagliozzi.

StoriediSicilia”. 1 Ha scritto Daria Galateria in “Un amore da Gattopardo” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 20 di gennaio 2023: "Voleva fatto l'inchino", la "lèttone" che Giuseppe Tomasi, duca di Palma, futuro principe di Lampedusa e futuro autore del Gattopardo, era andato a cercarsi, di nascosto dalla madre, a Stomersee (Riga); "portava il cappello a tavola", come i re; "era altezzosa". "Sposò una lèttone", si era deprecato all'inizio a Palermo; per riconoscere poi che la donna era davvero di una grande famiglia. Giuseppe Tomasi l'aveva conosciuta nel '25; lui era in visita da suo zio ambasciatore a Londra, Pietro Tomasi della Torretta: era riparata in ambasciata nel 1917, resa vedova dalla Rivoluzione d'Ottobre, una celeberrima mezzosoprano italiana, Alice Barbi. Nel 1920, lo "zio Tomasi" aveva finito per sposarla, "la giovane Alice", come la chiamavano a Palermo (era ultrasessantenne); e così Giuseppe conobbe a Londra la figlia di primo letto della "zia Alice", Alexandra Wolff von Stomersee, detta Licy. Era maestosa, parlava cinque lingue e gli aveva recitato Shakespeare; due anni dopo, Giuseppe andò a trovarla nel suo castello di Stomersee. Devastato dai contadini nel 1905 e ricostruito ex novo dal padre di Licy in stile "eclettico" gotico-rinascimentale, era rimasto, tra l'avvento dei Bolscevichi e la ritrovata indipendenza della Lettonia, a lei: che intanto aveva sposato un ricchissimo cugino estone, nobile e senza gusto per le donne. Nel '27, in treno da Berlino verso Licy, il siciliano, "eccentrico come lei e molto periferico rispetto alla vita" (come scrive Marina Valensise nell'affascinante Sul baratro, pubblicato da Neri Pozza: 17 ritratti dei massimi ingegni europei nel 1938, di fronte alla catastrofe imminentse), ammirò lo studio della castellana, "coi bei mobili Louis XVI, la biblioteca psicanalitica e il ritratto di Freud" - Licy, curando la depressione seguita alle nozze, aveva conosciuto la psicoanalisi, e ne era diventata pioniera e maestra. Soprattutto, Giuseppe si affrettò a descrivere alla "zia Alice", lontana da dieci anni, il castello: il salone e la scala di legno, affatto danneggiati, e la sala da musica, con i "delicatissimi" stucchi Impero, "imponente"; la sala da pranzo, lasciata distrutta a futura memoria. Nel '32, Tomasi tornò a Stomersee per sposare Licy, che aveva ottenuto il divorzio. Il giorno delle nozze scrisse ai genitori che Licy aveva accettato di diventare sua moglie; al silenzio della volitiva madre, rincarava: "Licy, di grande purezza, è ricca: possiede 60.000 lire all'anno". Andarono a vivere a Palermo, ma l'ostilità della suocera fece tornare Licy in Lettonia. Dove visse un "matrimonio epistolare" nel castello, sballottato tra Terzo Reich e Urss; nel '39 spedì l'argenteria in Italia, e raggiunse finalmente in Sicilia Giuseppe, diventato principe, nella sua casa - che fu bombardata dagli Alleati.

A lato. "Cefalù" (15.01.2023), foto di Ettore Quagliozzi.

StoriediSicilia”. 2 Di seguito, “Camminando a Palermo” di Concita De Gregorio pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 18 di febbraio ultimo: Venite a Palermo? Io ci sono stata con Emiliano Morreale che conosce bene le strade, anche quelle del quartiere Bonagia che si chiamano via del Visone, della Folaga e dell'Airone. Del resto era lì che andava da ragazzo al cinema Lubitsch, il regista del lusso e della grazia.

Se chiami così una sala in mezzo ai palazzoni non finiti, ai vicoli ciechi è perché vedi un mondo dentro cui vorresti abitare o per meglio dire: arredi un mondo dove andare a stare, pazienza se fuori si spara e se in sala non viene nessuno. Che poi qualcuno alla fine arriva, invece. Saranno matti visionari, saranno ragazzi allampanati che scapperanno da lì per non tornare più o saranno gli altri, quelli destinati a restare e a recriminare per sempre, a rimpiangere. Ci sono andata, a Palermo, camminando dentro un suo libro che è fatto di tante storie, tutte di cinema e di vita successa, di ferocia e di illusioni: si chiama L'ultima innocenza, lo pubblica Sellerio. La storia con cui inizia è quella di cui vi parlo qui: non perché le altre non siano altrettanto incredibili, aggettivo da intendersi in senso letterale. Difficile credere che siano davvero successe, che fossero lì e nessuno le avesse ancora raccolte, dispiegate, offerte a noi. Nel primo racconto, La terra dei sogni, Morreale parla (anche) di Giuseppe Greco e di suo padre Michele, il Papa di Cosa Nostra. Mentre il padre disponeva una delle più sanguinose carneficine di mafia, Giuseppe, il figlio, scriveva e produceva Crema, cioccolata e... paprika, in cui si era riservato anche una parte da attore insieme a Renzo Montagnani, Barbara Bouchet, Franco e Ciccio. Michele difatti sentiva di essere un artista. "Nei mesi in cui don Michele, fingendosi arbitro fra le cosche, vendeva uno a uno i propri alleati a Riina che li faceva strangolare alla fine di gioviali banchetti e abbattere coi kalashnikov sotto casa dell'amante, suo figlio accoglieva le stelle della commedia sexy e faceva il cinema, felice". La storia del maxiprocesso, raccontata fino all'usura, fino a estinguere ogni stupore diventa qui (anche: sempre anche) una pagina di cinema. Mentre il Papa va all'ergastolo il figlio diventa regista. Entrano in scena personaggi come Enzo Castagna, "proprietario di un'impresa di pompe funebri che gestiva con metodi disinvolti ed efficaci le comparse di Palermo". Il film, diretto con lo pseudonimo di Giorgio Castellani, s'intitola Vite perdute: esce a febbraio del '92. A marzo viene ucciso Salvo Lima, in maggio la strage di Capaci, a luglio via D'Amelio. Greco figlio, lietamente, sta sul set. Medita un film sulla vita di suo padre nel ruolo del Padrino, lo gira: I Grimaldi. «Io credo nella reincarnazione. Mio padre paga colpe non sue e vive la vita di un altro». C'è qualcosa, in questa estraneità fra padre e figlio, in questa vana reciproca ansia di trovare nell'uno qualcosa dell'altro, che racconta quegli anni più di qualunque cronaca. Poi inizia la seconda storia, quella di Michal Waszynski: forse un genio, certo un impostore. Del resto: "Tutti abbiamo una controfigura che mandiamo nel mondo e che è il nostro unico essere". Tutti.

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