Ha scritto Marco Travaglio in “Sul carro di Carra” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 4 di
febbraio 2023: (…). Nel 1993 Graziano Moro, manager dc dell’Eni, racconta a Di Pietro
che il suo amico Carra, portavoce del segretario Forlani, gli ha raccontato una
stecca di 5 miliardi della maxitangente Enimont alla Dc. Di Pietro lo sente
come teste. Lui nega sotto giuramento. Di Pietro lo mette a confronto con Moro,
che arricchisce il racconto con altri dettagli. Carra nega ancora. Davigo gli
ricorda l’obbligo di dire la verità. Carra si contraddice, cambiando due o tre
versioni. L’articolo 371 bis del Codice penale, voluto da Falcone e approvato
nel 1992 solo dopo la sua morte, prevede l’arresto in flagranza dei falsi
testimoni. Carra viene arrestato e processato per direttissima. Il mattino
dell’udienza viene tradotto dal carcere al tribunale in fila con altri 50
detenuti, tutti ammanettati e legati a una catena: i famosi “schiavettoni”,
previsti dalla legge (voluta tre mesi prima dai socialisti) per evitare
evasioni. L’aula è gremita e i carabinieri lo sistemano nella gabbia degli
imputati. Di Pietro e Davigo lo fanno uscire e sedere accanto agli avvocati.
Carra stringe la mano a Di Pietro e a Moro. Ma la sua foto in manette scatena
la bagarre in Parlamento con urla e strepiti contro gli aguzzini di Mani
Pulite: le manette si addicono agli imputati comuni, non ai signori. L’indomani
alcuni detenuti del carcere di Asti scrivono alla Stampa: “Siamo tutti ladri di
galline, eppure in tutti i trasferimenti veniamo incatenati ben stretti, per
farci male, e restiamo incatenati in treno, in ospedale, al gabinetto, sempre.
Anche noi appariamo in catene sui giornali prima di essere processati, ma
nessuno ha mai aperto un dibattito su di noi. Oggi ci siamo domandati quali
differenze esistano fra noi e il signor Carra. Al quale, in ogni caso,
esprimiamo solidarietà”. Carra viene condannato a 2 anni per false
dichiarazioni al pm, poi ridotti in appello a 1 anno e 4 mesi per lo sconto del
rito abbreviato e confermati in Cassazione. Il Tribunale ritiene che, avendo
depistato le indagini sulla più grande tangente mai vista in Europa, “furono
quantomai opportuni il suo arresto, la direttissima e la pena non confinata ai
minimi di legge”. I giudici d’appello censurano il suo “poco apprezzabile
sentimento di omertà”. Nel 1995 destra, centro e sinistra cancellano la legge
Falcone sull’arresto dei falsi testimoni. Carra, che da incensurato non era
deputato, lo diventa da pregiudicato nel 2001 con la Margherita. E, oggi come
trent’anni fa, la legge uguale per tutti fa scandalo: meglio la vecchia, lurida
giustizia di classe. Di seguito, “Intercettazioni,
un romanzo italiano” di Filippo Ceccarelli pubblicato sul settimanale “il
Venerdì di Repubblica” del 3 di febbraio ultimo: Ogni scandalo offre i suoi insegnamenti
e ogni inchiesta illumina il lato misero e buffo del potere, dei soldi e in fondo
della vita. Nell'indagine sul Mose, coordinata una decina d'anni orsono
dall'allora procuratore aggiunto e attuale ministro della Giustizia Nordio,
venne fuori che per ingraziarsi un potente del Veneto una società di
costruzioni gli aveva regalato un trattorino su cui il ministro si divertiva
nel parco della splendida magione, impreziosita addirittura da una maxi gabbia
di pappagalli. Sempre in quel caso si scopri che un generale della Guardia di
finanza nascondeva le banconote sotto terra; mentre da un'intercettazione -
ahi-ahi! - emerse che la moglie del dominus del Consorzio, naturalmente
denominata "Lady Mose", affittò a spese pubbliche un motoscafo per
portare la nipotina dal medico. E sarà per giustizialismo sadico, intento
pedagogico o morboso guardonismo; sarà sociologia, commedia, conferma del
peccato originale; sarà gusto di sputtanamento o ardore di smascheramento, ma
nessun divieto potrà mai negare che le intercettazioni sono il vero - grande romanzo
italiano in un tempo di apparenze e finzioni. O almeno: senza di esse nulla
avremmo saputo dei genitori che spingevano le figliole tra le braccia del capo
del governo, né mai avremmo immaginato costruttori che gongolavano nel loro
letto durante il terremoto, leader della sinistra compiaciuti di
"avere" finalmente una banca o chirurghi che organizzavano dolorose
operazioni quando non ce n'era alcun ' bisogno. «I furbetti del quartierino»,
«la patonza deve girare», «la mucca da mungere» sono entrate di forza nel
linguaggio. Ci sono intercettazioni degne del miglior cinema, ma più vere del
vero: quando muore il Papa e il governo va male alle elezioni ecco che in Rai
parlottano su come trattare i risultati, «facciamo più confusione possibile per
camuffarli», letteralmente. I baci sulla fronte del governatore di Bankitalia. L’arruolamento
massivo di attrici per accontentare il vecchio presidente smanioso. I magheggi
sugli arbitraggi. Le vacanze esotiche del governatore scroccone. Le nomine dei
magistrati all'hotel Champagne. Il Gentiluomo di Sua Santità ingolosito da una
«situazione cubana». Il super eroe delle emergenze incastrato nottetempo in
sala massaggi con una brasiliana. E d'accordo gli abusi, la privacy, la legge
che c'entra poco con la letteratura, ma è quantomeno sospetto che nel dibattito
sul bavaglio non entri mai il diritto, per non dire la necessità di sapere che
i ricchi e i potenti sono in realtà dei poveracci, come tutti. E seppure l'Italia
è «un Paese di merda». Come captato a un ex premier con i cinque minuti, resta
pur sempre il nostro, certo non migliore né peggiore senza questi squarci di
veritiera umanità.
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