Ha scritto Michele Serra in “Asintomatico con sintomi” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica”
del 5 di settembre ultimo: Spiegare i sintomi di un asintomatico è un
notevole esercizio di stile, e il professor Zangrillo ha svolto il compito con
buon controllo dialettico e un certo aplomb mediatico. Se l'è cavata bene, e
non era facile.
(…). … rimangono inspiegabili le ragioni per le quali un medico (non un blogger, o un politico che cavalca la dabbenaggine) abbia voluto esporsi così spensieratamente nella campagna di minimizzazione dei rischi di una malattia che sta scompaginando la vita dell'umanità intera. Salvo poi - colpito da quel virus il suo paziente più famoso - trovarsi nelle condizioni di dover aggiustare il tiro, almeno di quel tanto che serve per dire che a Silvio Berlusconi non bastano i suffumigi e la boule dell'acqua calda per uscirne fuori. Ci vuole almeno la tachipirina. Non si fosse distinto, come un qualunque cliente del Billionaire con il suo bravo drink in mano, sul fronte del "tutto va bene, il governo la smetta di farci paura", Zangrillo si sarebbe trovato alle prese con la più normale delle conferenze stampa: un medico che informa i giornalisti sulle condizioni di un ricoverato molto noto. Così, invece, ogni parola aveva un peso micidiale, perché era la parola di un ottimista che aveva sbagliato le previsioni, ed era dunque atteso al varco da una platea prevenuta nei suoi confronti. (…). Tratto da “Il fedelissimo Zangrillo e quel corpo conteso nella disfida dei luminari” di Francesco Merlo, pubblicato in pari data sul quotidiano “la Repubblica”: È vero che di tutti i suoi tanti medici, il professor Alberto Zangrillo è quello a cui Berlusconi è rimasto sempre devoto, in un certo senso è la sua “monogamia”, il suo “finché morte non ci separi”, la sola fedeltà di una vita ricca di tradimenti inferti e subiti. Ma l’oltraggio che Berlusconi ora non merita è di diventare il corpo conteso, la cavia clinica: se guarisce presto, aveva ragione lo spavaldo Zangrillo a minimizzare il Covid; se invece la malattia dovesse aggravarsi, avevano ragione gli irridenti Burioni, Cartabellotta e Locatelli a metterci paura. Insomma il permanente conflitto ideologico italiano sta di nuovo investendo il corpo di Berlusconi, che da trent’anni è il corpo della politica, e sta dividendo la medicina nelle sue varie branche come fosse una variante dello scontro sinistra/destra, sanità pubblica contro sanità privata, lo stato d’emergenza contro lo stato d’eccezione, da un lato i catastrofisti e dall’altro i negazionisti, quelli che “il virus è finito” contro quelli che “la seconda ondata ci travolgerà”. Ma noi, che abbiamo fieramente avversato Berlusconi, vorremmo ora proteggerlo dalla disputa. La sua malattia non è un caso che possa fare giurisprudenza. E il Covid 19, che nella suite al sesto piano del San Raffaele - nove stanze e tre bagni - sta minacciando i polmoni dell’ottantenne più famoso d’Italia, non è re Salomone, giudice supremo e perciò sovrano. È purtroppo significativo che ora Zangrillo sia diventato il portavoce di tutta Forza Italia. Nessuno infatti ha diritto di parlare tranne lui, con il suo bollettino ufficiale, la sua “breve e completa” conferenza stampa in camice bianco e mascherina sotto il mento. L’espressione accigliata, sbrigativo e insofferente, secco e netto come le buone diagnosi e le buone terapie, Zangrillo è la versione medica dell’“uomo del fare”, che è la vecchia retorica berlusconiana contro il teatrino della politica perdita di tempo. Insomma, il professore non è un medico neutrale, non è il farmaco senza ideologia, non è la pietas laica che soccorre i sofferenti, ma è il rifugio dell’ex sovrano che solo da lui ritorna, sempre e comunque, affidandogli il proprio corpo vissuto. Attenzione, Zangrillo non è il custode arcigno e misterioso di tutti i malanni che Berlusconi non ha mai nascosto, ma ha sempre esibito con una sorta di “voluptas”. Zangrillo è il rimedio a tutto, è il rifugio, è la casa, è la cura, è sia la Penelope di Berlusconi sia la sua pietrosa Itaca. C’era infatti Zangrillo ad aspettarlo in auto quando in piazza del Duomo a Milano uno squilibrato (…) lo ferì sul viso colpendolo con una statuetta. Ed è sempre Zangrillo che gli prende la mano e gli conta i battiti alla fine dei dibattiti. Zangrillo è il dottore che gli ha curato il tumore alla prostata, la calvizie, la pancia a pera … È il medico compiacente che firmava i certificati per fargli saltare le udienze dei processi. È il pratico professorone che lo guarì con il Bimixin, vecchio farmaco di tradizione, in un famoso Consiglio d’Europa dove, con strizzatine d’occhio e moine d’intesa, Berlusconi accennava ai propri disordini intestinali chiamandoli “notizie dall’interno”. Zangrillo, (…), ha una spavalderia esibita dimessamente, una baldanza quasi timida, con una voce di testa, misurata e guidata, il timbro cupo, velato e grave della medicina in prima linea, dell’empirismo saggio, della normalità e della verità. Nel 2004, per esempio, rimproverò sobriamente l’indimenticabile, simpaticissimo professor Scapagnini che di Berlusconi, allora di 67 anni, aveva detto: «Non fatevi illusioni, ci seppellirà tutti perché la sua vera età è 55 anni. Berlusconi è tecnicamente quasi immortale». Ecco, Zangrillo lo pregò di non esagerare perché così «si rischia la caricatura» ed effettivamente Scapagnini più che a fargli da medico aspirava a essere il suo Rasputin. E però, qualche anno dopo, quando Berlusconi aveva abbondantemente superato i 70, invitato alla Zanzara, la trasmissione di Cruciani e Parenzo, la radio degli umori autentici e degli odori forti, non solo di zolfo, lo stesso Zangrillo disse: «Berlusconi è straordinariamente vitale: clinicamente ha solo 50 anni». E meno male che Scapagnini aveva esagerato. C’è insomma un disorientato orientamento verso l’eccesso nella scienza di Zangrillo, primario plurititolato al San Raffaele di Milano, specialista in terapia intensiva generale, vale a dire in quelle macchine del respiro che danno il ritmo alla vita, vento e polmoni, nell’ospedale di don Verzé, il prete fondatore che spiegava in Io e Cristo (Bompiani) come la «la Fede si fa opera». E confermando la sua immortalità garantiva nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: «Berlusconi è un dono di Dio». E tuttavia non sono eleganti né opportune sia le frecciatine dei soliti scienziati in vetrina destinate al professore (…) che rimane un medico di prim’ordine, sia le bravate concettuali dello stesso Zangrillo che ieri in conferenza stampa ha finalmente ammesso che la sua frase, «il virus clinicamente non esiste più»,era «stonata». Ma si è poi impegnato, con il vocabolario degli smarriti, a spiegarci che Berlusconi è sì «asintomatico» ma «il coinvolgimento polmonare è blando», che «la situazione è tranquilla ma il soggetto è a rischio»… E più parlava e più si imbrogliava sino al «conforto» e all’«ottimismo» perché «non è intubato e respira da solo». Tutti alla fine abbiamo capito che Zangrillo era lì per difendere sé stesso e non tanto per informarci sulla salute di Berlusconi, (…). Non ci importa nulla se Zangrillo crede che, nella famosa “seconda ondata”, il covid numero due sarà solo un virus gemello spennacchiato, mentre il dottor Cartabellotta, in buona e autorevole compagnia, pensa già alla fine del mondo bis. Per una volta il corpo di Berlusconi andava sottratto a questa disputa ideologica italiana che è la stessa, eterna lite dei tre medici al capezzale di Pinocchio, “Un Corvo, una Civetta e un (Zan)grillo-parlante…”. (…).
(…). … rimangono inspiegabili le ragioni per le quali un medico (non un blogger, o un politico che cavalca la dabbenaggine) abbia voluto esporsi così spensieratamente nella campagna di minimizzazione dei rischi di una malattia che sta scompaginando la vita dell'umanità intera. Salvo poi - colpito da quel virus il suo paziente più famoso - trovarsi nelle condizioni di dover aggiustare il tiro, almeno di quel tanto che serve per dire che a Silvio Berlusconi non bastano i suffumigi e la boule dell'acqua calda per uscirne fuori. Ci vuole almeno la tachipirina. Non si fosse distinto, come un qualunque cliente del Billionaire con il suo bravo drink in mano, sul fronte del "tutto va bene, il governo la smetta di farci paura", Zangrillo si sarebbe trovato alle prese con la più normale delle conferenze stampa: un medico che informa i giornalisti sulle condizioni di un ricoverato molto noto. Così, invece, ogni parola aveva un peso micidiale, perché era la parola di un ottimista che aveva sbagliato le previsioni, ed era dunque atteso al varco da una platea prevenuta nei suoi confronti. (…). Tratto da “Il fedelissimo Zangrillo e quel corpo conteso nella disfida dei luminari” di Francesco Merlo, pubblicato in pari data sul quotidiano “la Repubblica”: È vero che di tutti i suoi tanti medici, il professor Alberto Zangrillo è quello a cui Berlusconi è rimasto sempre devoto, in un certo senso è la sua “monogamia”, il suo “finché morte non ci separi”, la sola fedeltà di una vita ricca di tradimenti inferti e subiti. Ma l’oltraggio che Berlusconi ora non merita è di diventare il corpo conteso, la cavia clinica: se guarisce presto, aveva ragione lo spavaldo Zangrillo a minimizzare il Covid; se invece la malattia dovesse aggravarsi, avevano ragione gli irridenti Burioni, Cartabellotta e Locatelli a metterci paura. Insomma il permanente conflitto ideologico italiano sta di nuovo investendo il corpo di Berlusconi, che da trent’anni è il corpo della politica, e sta dividendo la medicina nelle sue varie branche come fosse una variante dello scontro sinistra/destra, sanità pubblica contro sanità privata, lo stato d’emergenza contro lo stato d’eccezione, da un lato i catastrofisti e dall’altro i negazionisti, quelli che “il virus è finito” contro quelli che “la seconda ondata ci travolgerà”. Ma noi, che abbiamo fieramente avversato Berlusconi, vorremmo ora proteggerlo dalla disputa. La sua malattia non è un caso che possa fare giurisprudenza. E il Covid 19, che nella suite al sesto piano del San Raffaele - nove stanze e tre bagni - sta minacciando i polmoni dell’ottantenne più famoso d’Italia, non è re Salomone, giudice supremo e perciò sovrano. È purtroppo significativo che ora Zangrillo sia diventato il portavoce di tutta Forza Italia. Nessuno infatti ha diritto di parlare tranne lui, con il suo bollettino ufficiale, la sua “breve e completa” conferenza stampa in camice bianco e mascherina sotto il mento. L’espressione accigliata, sbrigativo e insofferente, secco e netto come le buone diagnosi e le buone terapie, Zangrillo è la versione medica dell’“uomo del fare”, che è la vecchia retorica berlusconiana contro il teatrino della politica perdita di tempo. Insomma, il professore non è un medico neutrale, non è il farmaco senza ideologia, non è la pietas laica che soccorre i sofferenti, ma è il rifugio dell’ex sovrano che solo da lui ritorna, sempre e comunque, affidandogli il proprio corpo vissuto. Attenzione, Zangrillo non è il custode arcigno e misterioso di tutti i malanni che Berlusconi non ha mai nascosto, ma ha sempre esibito con una sorta di “voluptas”. Zangrillo è il rimedio a tutto, è il rifugio, è la casa, è la cura, è sia la Penelope di Berlusconi sia la sua pietrosa Itaca. C’era infatti Zangrillo ad aspettarlo in auto quando in piazza del Duomo a Milano uno squilibrato (…) lo ferì sul viso colpendolo con una statuetta. Ed è sempre Zangrillo che gli prende la mano e gli conta i battiti alla fine dei dibattiti. Zangrillo è il dottore che gli ha curato il tumore alla prostata, la calvizie, la pancia a pera … È il medico compiacente che firmava i certificati per fargli saltare le udienze dei processi. È il pratico professorone che lo guarì con il Bimixin, vecchio farmaco di tradizione, in un famoso Consiglio d’Europa dove, con strizzatine d’occhio e moine d’intesa, Berlusconi accennava ai propri disordini intestinali chiamandoli “notizie dall’interno”. Zangrillo, (…), ha una spavalderia esibita dimessamente, una baldanza quasi timida, con una voce di testa, misurata e guidata, il timbro cupo, velato e grave della medicina in prima linea, dell’empirismo saggio, della normalità e della verità. Nel 2004, per esempio, rimproverò sobriamente l’indimenticabile, simpaticissimo professor Scapagnini che di Berlusconi, allora di 67 anni, aveva detto: «Non fatevi illusioni, ci seppellirà tutti perché la sua vera età è 55 anni. Berlusconi è tecnicamente quasi immortale». Ecco, Zangrillo lo pregò di non esagerare perché così «si rischia la caricatura» ed effettivamente Scapagnini più che a fargli da medico aspirava a essere il suo Rasputin. E però, qualche anno dopo, quando Berlusconi aveva abbondantemente superato i 70, invitato alla Zanzara, la trasmissione di Cruciani e Parenzo, la radio degli umori autentici e degli odori forti, non solo di zolfo, lo stesso Zangrillo disse: «Berlusconi è straordinariamente vitale: clinicamente ha solo 50 anni». E meno male che Scapagnini aveva esagerato. C’è insomma un disorientato orientamento verso l’eccesso nella scienza di Zangrillo, primario plurititolato al San Raffaele di Milano, specialista in terapia intensiva generale, vale a dire in quelle macchine del respiro che danno il ritmo alla vita, vento e polmoni, nell’ospedale di don Verzé, il prete fondatore che spiegava in Io e Cristo (Bompiani) come la «la Fede si fa opera». E confermando la sua immortalità garantiva nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: «Berlusconi è un dono di Dio». E tuttavia non sono eleganti né opportune sia le frecciatine dei soliti scienziati in vetrina destinate al professore (…) che rimane un medico di prim’ordine, sia le bravate concettuali dello stesso Zangrillo che ieri in conferenza stampa ha finalmente ammesso che la sua frase, «il virus clinicamente non esiste più»,era «stonata». Ma si è poi impegnato, con il vocabolario degli smarriti, a spiegarci che Berlusconi è sì «asintomatico» ma «il coinvolgimento polmonare è blando», che «la situazione è tranquilla ma il soggetto è a rischio»… E più parlava e più si imbrogliava sino al «conforto» e all’«ottimismo» perché «non è intubato e respira da solo». Tutti alla fine abbiamo capito che Zangrillo era lì per difendere sé stesso e non tanto per informarci sulla salute di Berlusconi, (…). Non ci importa nulla se Zangrillo crede che, nella famosa “seconda ondata”, il covid numero due sarà solo un virus gemello spennacchiato, mentre il dottor Cartabellotta, in buona e autorevole compagnia, pensa già alla fine del mondo bis. Per una volta il corpo di Berlusconi andava sottratto a questa disputa ideologica italiana che è la stessa, eterna lite dei tre medici al capezzale di Pinocchio, “Un Corvo, una Civetta e un (Zan)grillo-parlante…”. (…).
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