"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 23 settembre 2020

Ifattinprima. 91 Meloni e «la gara delle idiozie».

Ha scritto Silvia Truzzi su “il Fatto Quotidiano” di oggi 23 di settembre in «La barzelletta del Parlamento “delegittimato”»: (…). …la teoria del “Parlamento delegittimato”, evocata sia da Giorgia Meloni che da Matteo Salvini, ha stravinto la gara delle idiozie. Dice Meloni che “ora è necessario dare all’Italia le ulteriori coraggiose riforme costituzionali di cui ha bisogno, e solo un Parlamento pienamente legittimato dal voto popolare può farlo. Non certo un Parlamento delegittimato dagli italiani nella sua composizione e anche nella sua numerosità. Per questo diventa necessario ridare al più presto la voce agli italiani affinché ogni forza politica possa presentare le proprie proposte di riforma. Fratelli d’Italia porrà come prioritario il passaggio a una Repubblica presidenziale e a un sistema che garantisca la stabilità di governo”.

Ognuno ha le sue priorità, d’accordo, ma giova qui ricordare che per fortuna gli italiani nel 2006 hanno bocciato, sempre con un referendum dall’inequivocabile risultato, l’ipotesi di trasformare la nostra Repubblica parlamentare in una presidenziale. Salvini lunedì ha finalmente chiarito la sua posizione con ardite acrobazie logiche: “Il voto degli italiani ha fatto giustizia di tante ricostruzioni e dietrologie. Ho sempre sostenuto il Sì, ho votato convintamente Sì, con piena legittimità di chi sostenesse il No. Il referendum è il trionfo della democrazia, se è finito 70 a 30 vuol dire che abbiamo fatto bene a votare il taglio dei parlamentari”. E comunque: “Sicuramente la riflessione che alcuni costituzionalisti in queste ore stanno facendo su quanto questo Parlamento rappresenti il voto degli italiani è legittima”. Noi questi costituzionalisti che sostengono l’illegittimità del Parlamento non li abbiamo trovati. E per fortuna, visto e considerato che è stato proprio il Parlamento a votare praticamente all’unanimità la riforma sottoposta a referendum e quindi non si capisce proprio come le Camere possano dirsi “sconfessate” dall’esito referendario. L’argomento “Parlamento delegittimato” però acquista sfumature più ridicole se torniamo indietro di una legislatura. Correva l’anno 2014 e la Consulta, all’alba di gennaio, formulava una sentenza che Meloni e Salvini devono aver dimenticato: riguardava la legge elettorale già ribattezzata porcata dal leghista Calderoli che ne era il “titolare”, voluta nel 2005 dal centrodestra e poi mantenuta per comodità (o governabilità) dal centrosinistra. La Corte statuiva che, nonostante il Parlamento fosse stato eletto con una legge incostituzionale in più punti, vigeva il principio di continuità dello Stato. Per un breve periodo. Cioè le Camere potevano continuare a lavorare fino a nuove elezioni, i precedenti atti erano validi, ma tutti i riferimenti che i giudici facevano indicavano un tempo limitato, dopo il quale sarebbe stato necessario sanare quel gravissimo vulnus di legittimità. Cosa accadde? Il governo (prima Letta, poi Renzi) e il Parlamento continuarono a lavorare come se nulla fosse accaduto. E anzi: cominciarono con l’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi le grandi manovre per scassinare la Costituzione, per mano di un Parlamento gravato da quel peso. La storia non è finita qui: siccome al peggio non c’è limite, quel Parlamento approvò un’altra legge elettorale, l’Italicum, dichiarata incostituzionale dalla Consulta nel gennaio 2017, prima che potesse essere usata. In tema di illegittimità, i Parlamenti figli del Porcellum sono imbattibili: Salvini e Meloni possono stare tranquilli, è un primato difficilissimo da eguagliare. Tratto da “Conte unico vincitore e occhio ai 209 miliardi” di Massimo Fini pubblicato in pari data su “il Fatto Quotidiano”: Tutti i principali media e i loro commentatori riconoscono, alcuni ‘obtorto collo’, che l’unico, vero vincitore di questa doppia tornata elettorale (referendum più Regionali e Comunali) è, per la disperazione della Trimurti (Giornale, Verità, Libero), il disprezzatissimo “Giuseppi”, vale a dire il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e con lui il suo governo giallo-rosa che, a dispetto di tutti gli aruspici malauguranti, finirà regolarmente la legislatura. Ma c’è un altro partito, che esiste da decenni in Italia, ma di cui prudentemente si parla poco o preferibilmente nulla, che esce vincitore da queste elezioni ed è il più forte di tutti: il partito degli astenuti. Prendiamo il referendum. Il quesito era semplice e tale da attizzare l’attenzione dei cittadini: mandare a casa, per la prossima legislatura, un bel numero di deputati e senatori. L’affluenza è stata del 53,84%, 12 punti in meno rispetto al referendum del 2016 (65,47%) che pur poneva questioni molto più complesse. L’affluenza alle Regionali di quest’anno (57,19%) è superiore a quella delle Regionali del 2015 (53,15%), ma si avvale del balzo dell’affluenza in Toscana (quasi 3 milioni aventi diritto al voto) dove quest’anno si giocava la partita decisiva per la tenuta del governo del Paese. Nel 2015 quando questo problema non esisteva andò a votare solo il 48,3% mentre questa volta si è arrivati al 62,6%. Interessante è l’alta affluenza, sia pur sempre in termini relativi, alle elezioni comunali dove ci si attesta al 66,19% confermando, con un lieve margine di aumento, il dato del 2015. E si capisce il perché. Il voto nei Comuni e soprattutto nei piccoli Comuni è l’unico autenticamente democratico perché il sindaco è permanentemente sotto il controllo dei concittadini, poiché vive fianco a fianco con loro. Come esce di casa c’è sempre qualcuno che gli può contestare ciò che ha fatto o piuttosto non ha fatto. Il partito degli astensionisti è contro la politica in generale? Non credo. È contro la democrazia parlamentare? Forse. Sicuramente è contro una democrazia trasformatasi da decenni in partitocrazia, cioè in strapotere del tutto illegittimo di queste lobby di cui la nostra Costituzione si occupa in un solo articolo, il 49 (“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”) e che invece ha finito per occupare abusivamente gli altri 138, infiltrandosi nel Csm, nella Magistratura ordinaria, nella burocrazia, nelle Forze Armate, nell’industria pubblica e anche privata, negli enti di Stato e di parastato (la Rai-tv è solo l’esempio più noto e clamoroso), nei giornali, negli enti culturali, nei teatri, nei conservatori, nelle mostre, nelle banche, nelle grandi compagnie di assicurazione, nelle università, giù giù fino ai vigili urbani e agli spazzini. Questa avversione nei confronti dei partiti è confermata anche da chi in questa tornata a votare ci è andato turandosi montanellianamente il naso. Tutti i partiti, dal Pd alla Lega ai Cinque Stelle a Forza Italia, hanno perso, solo il partito di Giorgia Meloni ha guadagnato in consensi. Prendiamo la Toscana: il Pd ha perso 12 punti, è stato salvato dalle cosiddette liste civiche cioè da cittadini che al Pd non credono più affatto ma non si sentivano di consegnare quella regione e forse il Paese a Matteo Salvini. Non è stato quindi un voto a favore, ma un voto contro. Mai come in questa occasione si è potuto osservare come la democrazia partitocratica sia fatta di accordi e accordicchi in funzione del proprio potere personale o di lobby senza alcuno sguardo all’interesse nazionale. L’esecutivo Conte, che ha governato bene, si è salvato perché i partiti si sono paralizzati a vicenda.  Poi ci sono naturalmente le eccezioni, il governatore del Veneto Zaia è stato riconfermato perché evidentemente ha governato bene soprattutto durante l’emergenza Covid e quello della Liguria Toti per lo stesso motivo e anche perché, coadiuvato dal sindaco di Genova Marco Bucci, ha affrontato con efficacia le conseguenze del crollo del ponte Morandi che noi ‘stranieri’ abbiamo sempre chiamato il “ponte sul Polcevera” e i genovesi “ponte Saragat” perché fu inaugurato dall’allora Presidente della Repubblica e che ora si chiamerà ponte San Giorgio. E questo apre uno spiraglio di speranza per il nostro futuro che però dipende molto, almeno nell’immediato, da come verranno utilizzati i 209 miliardi che l’Europa, l’inutile Europa secondo i cretini ‘sovranisti’, ci ha generosamente concesso: se cioè finiranno nelle fauci dei soliti noti che le hanno già aperte o verranno distribuiti con intelligenza e soprattutto equità sociale.

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