A lato: "San Francisco" (2018), acquarello di Anna Fiore.
"Non ho mai esercitato nella mia vita
alcuna violenza né fisica né morale, semplicemente perché mi sono affidato alla
mia natura, cioè alla mia cultura". "Il fondo del mio insegnamento
consisterà nel convincerti a non temere la sacralità e i sentimenti, di cui il
laicismo consumistico ha privato gli uomini trasformandoli in bruti e stupidi
automi adoratori di feticci". Sono due preziosissime citazioni tratte
da scritti di Pier Paolo Pasolini che la carissima amica Agnese A. ha lasciato
a commento del post di ieri. Nel solco di quelle citazioni ho preso coraggio a
due mani per postare oggi uno scritto di Massimo Recalcati – “Nessuno tocchi Caino” – pubblicato sul
quotidiano “la Repubblica” del primo di settembre 2020. Un approfondimento sul
tema della gratuita “violenza”. Ha scritto Massimo Recalcati – psicoterapeuta di
scuola lacaniana -: (…). …nella narrazione biblica l'amore per il prossimo viene dopo
l'esperienza originaria dell'odio. Essa non istituisce alcuna retorica
altruistica, non racconta una pastorale "umanistica" senza ombre, non
sostiene il mito dell'uomo nato "buono", non misconosce che la
tentazione dell'odio e della distruzione alberghi nell'uomo assai prima
rispetto a quella dell'amore. Il racconto biblico appare implacabile e
disincantato: la violenza del crimine viene al mondo solo attraverso l'uomo e
segna indelebilmente il rapporto col fratello.
L'innocenza della natura appare
scossa da un vortice imprevisto; non si tratta solo di un impulso irrazionale,
né tantomeno di una regressione dell'umano alla dimensione primitiva
dell'animale. In gioco è una rottura tra l'uomo e la natura e tra l'uomo e
l'altro uomo che definisce l'uomo in quanto tale. Più di preciso, il testo
biblico mostra che nella violenza si manifesta il carattere perverso e
narcisistico del desiderio umano; la sua spinta a distruggere l'alterità,
l'aspirazione alla propria divinizzazione, il desiderio dell'uomo di essere
Dio. In questa spinta si cela la vera ambizione umana e la matrice ultima della
tentazione della violenza. È questo un tema che percorre come una costante
tutta la narrazione biblica. Il vero peccato non è quello che privilegia la
creatura a scapito del Creatore invertendo il loro ordine ontologico - come
riteneva classicamente Agostino - , ma è quello che conduce la creatura ad
assimilarsi al Creatore, che spinge l'uomo a voler essere come Dio. Il
desiderio umano è infatti attratto dall'illusione di realizzare un essere che
non conosca l'esperienza negativa e lacerante della mancanza. L'esistenza
simbolica della Legge della parola si configura come una interferenza indebita
che compromette e differisce inevitabilmente questa realizzazione. Per questo
l'odio è innanzitutto odio nei confronti del linguaggio. La Legge della parola
impone infatti l'impossibilità di essere senza l'Altro, dunque di essere senza
mancanza. Di qui l'odio dell'uomo nei confronti di questa Legge che lo espone a
riconoscere il carattere insuperabile della propria "mancanza a
essere", che, come ricorda Lacan, non è semplicemente mancanza di
qualcosa, ma è una mancanza che pervade l'essere stesso della soggettività
umana. È questo il vero oggetto dell'odio: la mancanza - generata dalla Legge
della parola - che vincola il soggetto all'Altro. Il ricorso alla violenza
punta ad aggirare questo vincolo volendo raggiungere il suo obiettivo che è
quello di distruggere la mediazione - inaggirabile - dell'Altro. La meta
perversa del desiderio umano è quella di costituirsi come un essere che basta a
se stesso, come un ens causa sui, un essere padrone del proprio fondamento.
Nella violenza come nell'allucinazione, l'illusione consiste nel rendere
raggiungibile questa meta, come direbbe Freud, per "via breve", senza
passare, appunto, dalla faticosa e ineludibile mediazione dell'Altro. Se il
movimento dell'amore per il prossimo incontra l'alterità dell'Altro come
irriducibile a ogni simmetria e a ogni reciprocità e se conduce l'uomo a
riconoscere la sua dipendenza dall'esistenza dell'Altro, la spinta indomita
dell'odio è quella di distruggere l'Altro come sede della nostra alienazione
nel nome di un ideale assoluto di autonomia e di indipendenza, nel nome di un
farsi essere senza mancanza. Il gesto fratricida di Caino irrompe dunque come
una figura traumatica sulla scena della narrazione biblica sin dal suo esordio.
È questa la seconda grande trasgressione dopo quella compiuta da Adamo ed Eva
nell'Eden con il furto del frutto dall'albero della conoscenza del bene e del
male. La potenza negativa dell'umano emerge con forza sin dall'origine: la
spinta a trasgredire la Legge non definisce tanto un comportamento o una
attitudine psicologica dell'uomo, ma una sua disposizione fondamentale a
realizzarsi - al di là della Legge simbolica della parola - come una totalità,
rigettando la mancanza che esso porta con sé. Nel racconto di Genesi relativo
alla trasgressione di Eva è questa la promessa tentatrice del serpente:
mangiare il frutto proibito, valicare la soglia della Legge significa
trasfigurare l'umano in divino, negare il carattere insuperabile della mancanza
che, come detto, costituisce l'uomo in quanto tale. Anche Caino - come i suoi
genitori - è costretto a fare esperienza del trauma dell'impossibile: la sua
vita di figlio unico è confrontata con l'intrusione traumatica di Abele; il
narcisismo del suo Ego sbatte contro lo spigolo del giudizio di Dio che
preferisce i doni del fratello minore ai suoi. Tutto questo è troppo per lui.
La furia omicida del suo gesto vuole colpire chi è alla radice della sua
caduta. Il fratello non è percepito come tale, non è degno di amore, ma solo di
odio poiché colpevole di aver sottratto a Caino il suo prestigio narcisistico
presso la madre e presso Dio. Nel gesto fratricida non dobbiamo però leggere
solo la deviazione perversa dalla via dell'amore, ma una tendenza che definisce
l'umano in quanto tale: colpire il prossimo viene prima dell'amore per il
prossimo. Se il prossimo indica il mio limite interno, dunque un'alterità non
semplicemente esterna ma anche interna, perché la mia esistenza non potrebbe
esistere senza quella dell'Altro, l'odio vorrebbe distruggere proprio questa
alterità istituendo il soggetto come assoluto e indipendente. Per questa
ragione, come ha notato tra i primi sant'Ambrogio, Caino e Abele non sono solo
due figure letterariamente autonome del racconto biblico - due personaggi - ma
due parti "interne" del soggetto, l'indice di una divisione che
attraversa ciascuno di noi. Non si tratta dunque di avallare una lettura
moralistica del conflitto tra i fratelli - Caino, il male, contro Abele, il
bene - che favorirebbe inevitabilmente la scissione tra il bene e il male, ma
di cogliere la complessità del cammino di Caino come un movimento di
progressiva soggettivazione di questa scissione: dal suo gesto brutale e dal
rifiuto di assumersene la responsabilità, sino al suo ingresso effettivo nella
vita della città. Se la violenza criminogena dell'assassinio avviene in
antagonismo con la Legge della parola - "la violenza", ricorda
Deleuze, "non parla" -, il percorso di Caino - per certi versi simile
a quello dell'Edipo di Sofocle - passa dalla tormentata assunzione della
propria colpa, alla maledizione di Dio; dall'erranza e dalla fatica del lavoro
sino alla costruzione della prima città umana e della propria paternità. Un
lento e difficile processo che ha innanzitutto come presupposto il gesto di Dio
di proteggere Caino con un "segno". In questo modo Egli interrompe la
catena della violenza che porterebbe ad assassinare l'assassino, grazie
all'emancipazione della Legge dalla logica della ritorsione e della vendetta,
consentendo a Caino di fare il lutto del proprio gesto senza il terrore di
restare ucciso. Il marchio che Dio iscrive sulla sua fronte è dunque, nello
stesso tempo, quello luttuoso che commemora la morte del fratello e quello che
lo protegge dall'automatismo di una Legge solo sanzionatoria che vorrebbe dare
la morte a chi ha dato la morte; il segno di Dio, contro questa versione della
Legge, disidentifica Caino dal suo stesso gesto, ricorda che la sua colpa non
deve autorizzare a identificare il suo essere con quello
dell'"assassino". L'ebreo Freud concepisce la storia dell'umanità
come la storia di una serie infinita ed efferata di assassinii e il nostro
stesso inconscio come ispirato da una vocazione criminogena. Il nostro compito
è dunque lo stesso che ha atteso Caino all'indomani del suo gesto disperato e
spietato: tradurre la violenza senza Legge dell'odio - espressione del
narcisismo dell'Uno che vorrebbe cancellare la mancanza che lo lega all'Altro -
in un nuovo legame possibile con l'Altro; consentire alla Legge della parola di
interrompere la ripetizione senza fine dell'odio e della distruzione.
"L'invidia e l'odio vanno sempre insieme. Si fortificano reciprocamente per il fatto di perseguire il medesimo obiettivo". (Jean de la Bruyere)."Per non odiare gli altri esseri umani, bisogna amare meno se stessi".(Eldridge Cleaver)."L'espansione è vita, la contrazione è morte. Abbiamo cominciato a morire il giorno in cui abbiamo cominciato a contrarci - a odiare gli altri - e niente può impedire la nostra morte finché non ritorniamo alla vita, all'espansione. (Swami Vivekananda). Grazie anche per questo post che è un invito pressante a riflettere sulla complessità dell'animo umano... È buona continuazione.
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