Dicono: “Stravolgono la Carta del 1948 e tradiscono
la volontà dei nostri Padri costituenti!”. Ma chi? Non per un caso
tutti coloro che hanno fatto sì che il Parlamento divenisse un “Parlatorio”
– da “casa penale” - per via degli inquisiti, dei condannati, dei voltagabbana
al servizio non del Paese ma dei potentati economico-finanziari del bel – solamente
per loro - Paese? Gli esempi non mancano. Sono questi “lor signori” di
melloniana memoria ad essere andati a braccetto di quegli scalmanati che in un
giorno tristissimo della Repubblica hanno consacrato il “rapporto parentale” di
una pulzella con un ras dell’Egitto pur di salvare gli accoliti di quel “parlatorio”
infangando tutto insieme la Repubblica, la Costituzione e quant’altro attiene
alla rispettabilità di un Paese serio, democratico e giusto con i suoi
cittadini. Balle sesquipedali! Sotto cova l’eterna, infingarda lotta del potere!
Tratto da “Fine degli alibi” di
Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 5 di settembre 2020:
(…). “Stravolgono
la Carta del 1948 e tradiscono la volontà dei nostri Padri costituenti!” (ma i
630 deputati e i 315 senatori nella Carta non c’erano: furono aggiunti dopo,
nel 1963, da un’altra riforma della Dc). “Il Parlamento, una volta tagliato,
non funzionerà più” (ma tra il 1948 e il ’63, a ranghi ridotti, funzionava
benissimo). “Qui si ledono la rappresentanza e la democrazia!” (che non
dipendono dal numero degli eletti: altrimenti la Cina, con quasi 3mila parlamentari,
avrebbe il record mondiale di rappresentanza e democrazia). Un lettore ligure –
spero non nostalgico di Scajola – teme addirittura che col taglio “Imperia non
sia più rappresentata”: il che è ben possibile, ma lo è anche oggi, e non per
le norme costituzionali, ma per la legge elettorale che dà ai capipartito il
potere di candidare non i rappresentanti dei territori, ma i suoi nominati
(qualcuno sa chi rappresenta la sua città nell’attuale Parlamento?). Altri
inorridiscono per il risparmio di “soli” 80-100 milioni all’anno, come se ci
fosse qualcosa di male se il Parlamento, dopo decenni di polemiche anti-casta,
si mette a dieta e recupera prestigio mentre chiede sacrifici ai cittadini. Per
fortuna i sondaggi (Sì fra il 70 e l’82%) segnalano che la maggioranza degli
italiani, come nel 2016 quando a fare terrorismo erano i renziani del Sì, non
si lascia spaventare da false paure.Molto più serie sono le obiezioni e i dubbi
sui rischi di un Sì “al buio”, senza i correttivi imposti dalla riforma: sulla
legge elettorale, che per fortuna si dovrà per forza cambiare dopo il Sì al
taglio (se vince il No ci terremo i nominati del Rosatellum in saecula
saeculorum); sul numero dei delegati regionali per eleggere il capo dello
Stato, che va ridotto anch’esso di un terzo; e sull’elezione dei senatori su
base circoscrizionale anziché regionale, per impedire che le Regioni più
piccole e i partiti minori siano sottorappresentati. Ma negli ultimi giorni la
maggioranza s’è accordata per votare i correttivi in parte prima del referendum
e in parte subito dopo. Così chi preferiva il No per mancanza di correttivi
potrà votare serenamente Sì. Magari ricordando ciò che disse all’Assemblea
Costituente il 18 settembre 1946 uno dei Padri più nobili, Luigi Einaudi:
“Quanto più è grande il numero dei componenti un’Assemblea, tanto più essa
diventa incapace ad attendere all’opera legislativa che le è demandata”.
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