Tratto da “Ad
amare si impara da piccoli” di Umberto Galimberti, pubblicato sul
settimanale “D” del 28 di giugno dell’anno 2014: Si è soliti dire che nella vita
"non si finisce mai di apprendere". Ma le mappe affettive che sono
alla base delle emozioni si creano nelle prime settimane di vita. Aristotele
diceva che l'uomo è un «animale sociale», cioè può raggiungere la felicità solo
in una relazione con gli altri. Questa intuizione, peraltro di tutta evidenza,
è stata studiata e confermata nel secolo scorso da John Bowlby (1907-1990),
psicoterapeuta infantile di fama internazionale che ha lavorato alla Tavistock
Clinic di Londra. Scostandosi dalla teoria di Freud, secondo il quale il
lattante è sollecitato unicamente dalla soddisfazione delle pulsioni e dalle
gratificazioni libidiche connesse all'allattamento, Bowlby ritiene che fin
dalle prime due o tre settimane si verificano nel bambino «fasi di vivace
interazione sociale, con uno scambio animato che comprende espressioni facciali
e vocalizzi, durante la quale il neonato si orienta verso la madre con
movimenti agitati delle braccia e delle gambe, a cui seguono fasi di disimpegno
che preparano la successiva fase di interazione». Se la madre è attenta e
risponde alle sollecitazioni del suo bambino, il neonato impara ad amare.
Questa «forza motivazionale relazionale», come la chiama Bowlby, orienta il
ciclo vitale, regolando gli stati fisiologici ed emotivi. Il modello di Bowlby,
secondo il quale lo sviluppo dell'individuo non è deciso tanto dai processi
maturativi interni, quanto dai processi interpersonali, è stato condiviso anche
da Michael Balint che parla di «amore primario», da Erik Erikson che ha
introdotto il concetto di «fiducia di base», da Joseph Sandler che parla di
«sfondo di sicurezza», e da Arnold Modell che giunge a ipotizzare un «istinto
relazionale». Se la capacità di amare non si apprende in quella prima fase
dell'esistenza, difficilmente la si può in seguito acquisire. Lo stesso si può
dire per la formazione delle "mappe cognitive" che decidono il modo
di conoscere il mondo e delle "mappe affettive" che sono alla base
del modo di sentirlo, ossia della risonanza emotiva che le cose del mondo
producono in noi. Secondo Freud queste mappe si costituiscono in maniera
definitiva (e difficilmente modificabile) entro i primi 6 anni di vita. Oggi le
neuroscienze ci dicono che si strutturano definitivamente entro i primi tre
anni. Questo significa che nei primi anni di vita ai bambini - che non crescono
come le piante - va prestata grande attenzione. Che quando mostrano i loro
primi sgangherati disegni non bisogna rispondere: «Li guarderò dopo» (che vuol
dire mai), perché il bambino conclude di non aver fatto nulla di interessante e
quindi di non essere interessante per la madre. E allo stesso modo quando
chiedono il perché di tutte le cose (facendo domande che, pur nella loro
ingenuità, possiamo senz'altro definire filosofiche) non si deve rispondere:
«Quando sarai grande capirai», perché in quella fase i bambini stanno cercando
il principio di causalità che riduce l'angoscia dell'imprevedibile. Una volta
per strada ho sentito dire da un bambino: «Dio non esiste perché non ha una
mamma». La risposta della mamma fu una bella risata con la sua amica, con
conseguente mortificazione del bambino. La capacità di amare si decide in
quell'età, insieme alla formazione della propria identità che nasce dal
riconoscimento. (…).
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