Tratto da “Liberté,
egalité, fraternité. Ma per tutti?”, colloquio condotto da Eric Favereau e
Thibaut Sardier con i sociologi Edgar Morin e Alaine Touraine pubblicato su “Libération”
e riportato sul quotidiano la Repubblica del 6 di giugno 2019: (…). Nell'epoca
della globalizzazione, Alain Touraine dice spesso che lo straniero non esiste
più. È anche la sua opinione? Edgar Morin: "Vorrei partire da questa idea
che esistono delle soglie di tolleranza, e che bisognerebbe tenerne conto nel
caso dei migranti. Secondo me è un'idea di cui bisognerebbe discutere: si
tratta di una soglia di tolleranza psichica, biologica o psicologica? Possiamo
presumere che una popolazione di indios amazzonici non sia in grado di
accogliere o di sopportare l'arrivo di un gran numero di stranieri: basta anche
un piccolo numero di colonizzatori per distruggerla. Però possiamo ritenere che
le popolazioni europee non siano sovrappopolate". Alain Touraine:
"Semmai il contrario..." Morin: "In Europa possiamo ritenere che
ci siano ancora degli spazi non occupati nelle campagne, dunque non c'è nessun
problema di ordine fisico o biologico che limiti l'arrivo dei migranti.
Insomma, arriviamo a quest'idea che la soglia è psicologica.
A un certo punto "noi" ci sentiamo minacciati, saturati, e questo sia dagli stranieri che restano sia da quelli che sono qui solo di passaggio. La questione centrale è questa paura degli stranieri. Tanto più che quando ci sono delle crisi economiche o di civiltà le angosce si focalizzano su capri espiatori che diventano responsabili di tutti i mali, gli ebrei, gli arabi o i migranti. La domanda diventa: come lottare contro questa deriva psicologica?" Touraine: "Io ho un approccio abbastanza diverso. La domanda che dobbiamo porci oggi è se accettiamo la visione di un mondo egualitario o se vogliamo mantenere la nostra situazione di antichi dominatori. Questa domanda la faccio rispetto a due categorie che metto sullo stesso piano: i migranti e le donne. Vogliamo uscire da un mondo dove la libertà è limitata, dominato dagli uomini bianchi, oppure consideriamo indispensabile entrare in un mondo intero, che non sia fatto soltanto per noi? Saremo nella modernità quando avremo riconosciuto che tutti ne dobbiamo far parte. Quando si evoca il trittico "liberté, égalité, fraternité", concetti a cui amo aggiungere quello di dignità, stiamo parlando della libertà di tutti, della fratellanza di tutti? Non è tanto il discorso di lasciar entrare o meno un certo numero di persone. Io direi piuttosto: cancelliamo la macchia di un'esperienza di dominio dove si ritrovano la colonizzazione, la schiavitù, l'inferiorità delle donne. Non saremo mai in un mondo normale finché otto persone su dieci non sono uguali. Prima di ogni altra cosa, perfino prima dei problemi ecologici, che pure sono cruciali, la nostra umanità deve riconoscersi come un'unità, un insieme di esseri liberi e uguali".
A un certo punto "noi" ci sentiamo minacciati, saturati, e questo sia dagli stranieri che restano sia da quelli che sono qui solo di passaggio. La questione centrale è questa paura degli stranieri. Tanto più che quando ci sono delle crisi economiche o di civiltà le angosce si focalizzano su capri espiatori che diventano responsabili di tutti i mali, gli ebrei, gli arabi o i migranti. La domanda diventa: come lottare contro questa deriva psicologica?" Touraine: "Io ho un approccio abbastanza diverso. La domanda che dobbiamo porci oggi è se accettiamo la visione di un mondo egualitario o se vogliamo mantenere la nostra situazione di antichi dominatori. Questa domanda la faccio rispetto a due categorie che metto sullo stesso piano: i migranti e le donne. Vogliamo uscire da un mondo dove la libertà è limitata, dominato dagli uomini bianchi, oppure consideriamo indispensabile entrare in un mondo intero, che non sia fatto soltanto per noi? Saremo nella modernità quando avremo riconosciuto che tutti ne dobbiamo far parte. Quando si evoca il trittico "liberté, égalité, fraternité", concetti a cui amo aggiungere quello di dignità, stiamo parlando della libertà di tutti, della fratellanza di tutti? Non è tanto il discorso di lasciar entrare o meno un certo numero di persone. Io direi piuttosto: cancelliamo la macchia di un'esperienza di dominio dove si ritrovano la colonizzazione, la schiavitù, l'inferiorità delle donne. Non saremo mai in un mondo normale finché otto persone su dieci non sono uguali. Prima di ogni altra cosa, perfino prima dei problemi ecologici, che pure sono cruciali, la nostra umanità deve riconoscersi come un'unità, un insieme di esseri liberi e uguali".
Questo si ricollega al pensiero
universalista di Edgar Morin. Morin:"Quello che propone Alain è il
problema che mi pongo da anni e che rimane senza soluzione. Nel 1991, scrivendo
Terra-patria, presi coscienza del fatto che con la globalizzazione tutti i
terrestri hanno un destino comune. Questa consapevolezza deve portare con sé un
umanesimo rigenerato, che prenda coscienza che tutta l'umanità è trascinata in
un'avventura comune. Ora, più appare evidente che questa comunità di destini
esiste, con la progressione di eventi mondiali che ci riguardano tutti, meno si
forma questa coscienza. Perché? Perché le angosce provocate dalla
globalizzazione conducono a un ripiegamento sulla propria cultura, sulla
propria identità religiosa e nazionale? Sicuramente sì. È un problema
drammatico, che ha pesato su tutta la mia opera intellettuale. Sono trent'anni
che avanziamo con grande lentezza. La questione ecologica, che avrebbe dovuto
essere una delle leve per percepire questa comunità di destini, non è percepita
come tale. Come riusciremo a invertire la direzione degli spiriti e delle
coscienze? Abbiamo avuto l'esperienza della crisi degli anni 30, che era
economica ma anche democratica, quasi di civiltà, e già in quell'occasione
abbiamo visto arrivare il ripiegamento, la chiusura nazionalista. Oggi, il
neoautoritarismo nazionalista progredisce nel mondo intero. Tutte queste
problematiche sono collegate e tu hai ragione, Alain, ad aggiungervi la
questione femminile e quella degli strascichi della colonizzazione. I paesi che
si sono decolonizzati fino agli anni 70 sono stati ricolonizzati
economicamente. L'emancipazione politica non è stata seguita da una
democratizzazione. Peggio ancora, le terre fertili sono state vendute a società
cinesi, coreane ecc., che le sfruttano a loro vantaggio".
Che cosa si può fare per combattere il
ripiegamento nazionalista? Morin: "Sono d'accordo con l'idea che dobbiamo
fare appello al nostro sentimento di identità umana, che contiene anche quello
dell'alterità. Qual è il criterio della comprensione dell'altro? È capire che è
identico a te per la sua capacità di soffrire, di amare, di sentire, ma al
tempo stesso diverso per il suo carattere, le sue convinzioni, le sue manie
ecc. Ma il fatto è che nella logica binaria tecnocratica che predomina
attualmente siamo incapaci di percepire questa cosa: o è lo straniero assoluto
o è il fratello. Ma siamo tutti compatrioti della nostra Terra-patria, e allo
stesso tempo ci sono delle particolarità in ognuno di noi". Touraine: "Il
modello razionalista, democratico, è direttamente minacciato. Per la prima
volta da centinaia di anni, il mondo è dominato sempre più da non democrazie,
da quelli che io chiamo, per usare una vecchia parola, imperi: con Donald
Trump, gli Stati Uniti diventano un impero. La Cina anche, così come i Paesi
con un potere religioso. In questo contesto, il riconoscimento dei diritti è un
dato fondamentale: solo se ci consideriamo come individui che hanno tutti gli
stessi diritti possiamo mettere in moto i nostri meccanismi politici. Quello
che chiedo è di difendere i nostri diritti di cittadini, perché preferisco dire
che i problemi ecologici sono problemi che rientrano nella difesa del nostro
essere cittadini. È importante soprattutto non separare l'aspetto politico,
quello ecologico e quello economico, anche se sostengo che i problemi politici
devono avere una certa priorità. Per noi si tratta di sapere se si fa o non si
fa l'Europa, l'unico continente che rappresenta la democrazia. Potremo
riuscirci solo se daremo la priorità ai temi dell'umanità unita. Perché o si fa
nazionalismo xenofobo, come l'Ungheria, la Polonia o l'Italia, o si fa
l'Europa". Morin: "L'Europa - lo abbiamo visto per la crisi della
Grecia e per quella dei migranti - ha mostrato la sua cecità, ma anche il suo
lato reazionario. Io direi che di fronte a questa regressione generalizzata non
sono soltanto i regimi autoritari il problema, ma anche il modo di pensare
delle classi dominanti, fondato sul calcolo economico e sul profitto, che nasconde
i problemi fondamentali. Per contrastare tutto questo, bisogna creare il
maggior numero possibile di oasi, per creare uno spazio dove resistere.
Fortunatamente nei nostri paesi c'è un rigoglio di associazioni, luoghi di
fraternità dove regna l'idea che non esistono stranieri, che siamo tutti
fratelli, come abbiamo visto in Savoia. Così ci prepariamo a essere punti di
partenza di una nuova progressione, e allo stesso tempo punti di resistenza
all'attuale regressione. Ma io, contrariamente ad Alain, osservo che le
condizioni attuali sono sfavorevoli. Oggi il solo uomo politico animato da
spirito umanista è il sindaco di Palermo, quando dice che non ci sono
stranieri, ma solo palermitani. È la dimostrazione di quanto siamo isolati, in
regressione. Per questo penso che sia il momento di opporre resistenza a tutte
le regressioni e le barbarie, compresa la barbarie gelida del calcolo, che
ignora il fatto che gli esseri umani sono fatti di carne, di sangue e di
anima". Touraine: "Il tema dei migranti è lo stesso banco di prova.
Se cedi sui migranti, cedi su tutto. In particolare sull'Europa. L'immigrazione
è anche nel nostro interesse. Molte delle nostre regioni hanno bisogno di
essere reindustrializzate, altre devono far fronte alla desertificazione, altre
ancora soffrono di una carenza di servizi pubblici. Non bisogna dimenticare che
la popolazione francese è molto poco globalizzata. Abbiamo soltanto due città
globali in Francia: Lione e Parigi".
Nessun commento:
Posta un commento