E...100. Ri-lettura tratta da “Tu non sei tua. L’ossessione all’incontrario dei maschi che uccidono”
di Michele Serra, testo pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 12 di
giugno dell’anno 2016: (…). …la decompressione ideologica dei
nostri anni è funesta (…). Le idee, che a noi ragazzi di allora parvero fin
troppo determinanti, oggi vagolano in forma di detriti del passato oppure di
scontate banalità. Hanno perduto molto del loro appeal: in positivo, perché è
finita la sbornia ideologica, ma anche in negativo, perché molte fortissime
idee hanno perduto la loro presa sul discorso pubblico, impoverendolo e istupidendolo.
Per esempio l’idea - e veniamo al punto - che la donna appartenga a se stessa
(“io sono mia”), che la sua persona e il suo corpo non siano mai più
riconducibili alle ragioni del patriarcato e del controllo maschile. Se c’è mai
stata, al mondo, un’idea rivoluzionaria, è quella: ribalta una tendenza
millenaria, smentisce spavaldamente la Tradizione, muta la struttura sociale
perfino più radicalmente di quanto la muterebbe la sovversione della gerarchia
padrone-operaio. Perché non se ne sente più l’eco, di quello slogan così breve
e di così implacabile precisione? Forse perché lo si dà per scontato (non
essendolo!); forse perché nessun “principio” assoluto riesce più a ottenere
credito in una società smagata, relativista più per sfinimento che per cinismo.
Eppure, volendo ridurre all’osso la questione del femminicidio, è proprio
l’ignoranza o il rifiuto maschile di quel principio - io sono mia - il più
evidente, perfino il più ovvio di tutti i possibili moventi. No, tu non sei
tua, tu sei mia. Il mio bisogno è che tu stia con me, e del tuo bisogno (non
stare più con me) non ho rispetto, o addirittura non ne ho contezza. Tu esisti
solamente in quanto mia; in quanto non mia, esisti talmente poco che cancello
la tua vita. Certo, la stratificazione psichica è profonda, cause e concause si
intrecciano, paure e debolezze si sommano producendo, nei soggetti più
sconquassati, aggressività e violenza. Ma il “via libera” all’aggressione, alla
persecuzione, allo stalking, al delitto scatta anche perché nessuna esitazione
“ideologica” interviene a soccorrere il carnefice, nessuna occasione di
dibattito interno gli è occorsa, a proposito di maschi e di femmine. Politica e
cultura (ovvero: il processo di civilizzazione) esistono apposta per non
abbandonare la bestia che siamo alla sua ferinità e ai suoi istinti, regolando
in qualche maniera i rapporti sociali, rendendoli più compatibili al bisogno di
incolumità e dignità di ogni persona. Questo non esclude, ovviamente, che ci
siano stalker e aguzzini di buona cultura e di idee liberali. Ma è l’eccezione
che conferma la regola: costumi e comportamenti di massa sono largamente
influenzati, e sovente migliorati, dalla temperie politica e culturale
dell’epoca. È nell’Italia rinnovata e modernizzata degli anni Sessanta che la
contadina siciliana Franca Viola si ribella al ladro del suo corpo e pronuncia,
entusiasmando milioni di spiriti liberi, il suo semplice ma inequivocabile “io
sono mia” prefemminista e presessantottino, con la mitezza luminosa di una
Lucia aggiornata che rimette al suo posto il donrodrigo di turno. È sempre in
quell’Italia che, con fatica, si arriva finalmente a mettere in discussione
l’obbrobrio giuridico del “delitto d’onore”, che verrà finalmente cancellato
vent’anni dopo. Ed è a livello popolare, mica solo nei “salotti”, è nel
profondo della società che quei fermenti circolano, quelle discussioni si
animano, quei confitti indirizzano il senso comune. Non so quanto dipenda dalla
mia storia psichica o dalle mie attitudini caratteriali il fatto che io non
abbia mai alzato un dito su una donna. Ma so per certo che dipende in buona
parte, per dirla molto banalmente, dalla mia volontà di non farlo; dalla mia
educazione e dall’esempio ricevuto in famiglia; dalle mie inibizioni culturali,
che mi fanno considerare indegna e vile la sopraffazione dell’altro; infine, e
non ultimo, dalle mie convinzioni politiche, che mi conducono fortemente a
credere che la libertà delle donne sia condizione (forse la prima condizione)
della libertà di tutti. (…).
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