Un popolo di “demotivati”. Un popolo di “derelitti”.
A quel popolo mi sono sentito di fare parte alla visione della esultanza di
quei “tic”,
ovvero “tipi italiani contemporanei”. L’acronimo non è mio, ma al contempo me
ne sfugge il creatore. Dove quei tipi appoggiavano la loro insana esultanza per
la scelta di Milano e Cortina quali sedi di una olimpiade invernale prossima? Il
popolo dei “demotivati” al quale appartengo hanno tutt’al più fatto una smorfia
di disgusto all’inverecondo spettacolo. Quale colpa più grande si può ascrivere
ad una “casta” politica che abbia indotto il suo popolo alla demotivazione? Ci
può essere altra colpa che sorpassi quella? Ma è la Storia propria di questo popolo
di “derelitti”, delle sue “caste digerenti” – dico proprio “digerenti”, che riescono
a digerire le vergogne che hanno creato con le loro azioni -, di quel “familismo
amorale” che hanno alimentato e prodotto i “demotivati” dell’oggi, è tutto
questo insieme a fornire illuminanti ed incontrovertibili verità. Decenni e
decenni di intrallazzi e ruberie che hanno connotato ogni iniziativa, ogni
aspetto del vivere comune. Dove appoggiare quella esultanza se non pregustando
tutto ciò che ne verrà in termini di danaro e quant’altro attenga alle malversazioni
e dintorni? Non si dimentichi che anche il terremoto che ha devastato l’Abruzzo
veniva salutato da taluni come la manna caduta dal cielo. Un popolo di “derelitti”.
Ha lasciato scritto Norberto Bobbio in “Italie
’77. Le mouvement et les intellectuels” (1977): (…). Lascio volentieri ai
fanatici, cioè a coloro che vogliono la catastrofe, e ai fatui, cioè a coloro
che pensano che alla fine tutto si accomoda, il piacere di essere ottimisti. Il
pessimismo oggi, mi sia permessa ancora questa espressione impolitica, è un
dovere civile. Un dovere civile, perché soltanto un pessimismo radicale della
ragione può destare qualche fremito in coloro che, da una parte o dall’altra,
mostrano di non accorgersi che il sonno della ragione genera mostri. (…). Si
chiede e chiede a questo popolo di “demotivati” Marco Travaglio in “Le Linguiadi” pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” di oggi 26 di giugno: Ma le avete viste le facce dei cosiddetti
vincitori delle Olimpiadi nella foto di gruppo? E le fauci già spalancate dei
Malagò, Montezemolo, Carraro, Pescante e Sala? Fauci già sperimentate sugli stadi
di Italia 90 (spese lievitate dell’85%, ultima rata dicembre 2015), le
Olimpiadi invernali di Torino 2006 (3,1 miliardi di debito, il 225% delle
entrate, cattedrali nel deserto e trampolini nella neve), i Mondiali di nuoto
2009 (700 milioni di euro per il palazzo di Calatrava con le vele a pinna a Tor
Vergata, mai finito; piscine sequestrate e/o di dimensioni sballate; scheletri
in cemento armato abbandonati ai tossici e alle sterpaglie), l’Expo di Milano
2015 (retate di tangentisti e ’ndranghetisti, 1,5 miliardi di buco, mega-aree
abbandonate). Ecco donde ne deriva la demotivazione dell’oggi. Da una
storia antica, storia nera, anzi nerissima di ruberie a tutti i livelli, di
malversazioni che sarebbe un interminabile elenco. Quelli dalle “fauci
già spalancate” non hanno da rendere conto al popolo demotivato, ché
tale lo hanno ridotto, ma a gruppi e gruppuscoli di interessi ben più
sostanziosi, per la qualcosa suona stonata quella replica ai demotivati dell’oggi,
più volta sentita, che il loro malanimo “non consentirebbe d’intraprendere
alcunché”. È quella la colpa massima di una “casta” non politica ma ridotta a “casta”
tribale. Continua Marco Travaglio nel Suo editoriale: Magari ci sbagliamo e gli stessi
personaggi, che hanno sempre fallito, al seguito di Giorgetti e Zaia si
trasformeranno in tanti Quintino Sella e faranno tutto per bene, per tempo e al
risparmio. Ma, nell’attesa, solo un pazzo smemorato può unirsi all’esultanza di
lorsignori per avere “vinto” un evento che negli ultimi 50 anni – dati
dell’Università di Oxford – ha regolarmente sforato i preventivi per una media
del 257% (796% Montréal, 417 per Barcellona, 321 Lake Placid, 287 Londra, 277
Lillehammer, 201 Grenoble, 173 Sarajevo, 147 Atlanta, 135 Albertville, 90
Sydney, 82 Torino, 51 Rio). Lasciando ai Paesi e alle città ospitanti un conto
salatissimo da pagare, che ha portato al default Atene e Rio, al debito-record
Torino e le altre all’aumento vertiginoso delle imposte locali. Anche al netto
delle eventuali tangenti. Infatti le città più avvedute – Sion, Calgary,
Innsbruck e Graz – si sono ritirate, terrorizzate da quella che Oxford chiama
la “maledizione del vincitore” (le Olimpiadi le vince chi le perde e le perde
chi le vince: l’unico che ci guadagna è il Cio). Il Giornale Unico degli Affari
suona le grancasse e le trombette a reti ed edicole unificate, come se l’Italia
avesse vinto la guerra mondiale e non un “evento” che dura 15 giorni. Ma è
tutta propaganda per pompare Lega&Pd che si sono spartiti queste strane
Olimpiadi invernali in una città senza montagne, Milano, e in un’altra che
rischia di tracollare sotto il peso dei visitatori, Cortina, distante 409 km.
L’alternativa era Torino che, oltre al dettaglio delle Alpi, aveva il pregio di
costare poco grazie alle strutture del 2006. (…). …Repubblica titola “Miracolo
a Milano (e a Cortina)”. Ma il 14.2.2012 plaudiva al ritiro della candidatura
olimpica addirittura in tre articoli. Francesco Bei flautava: “Le ‘cricche’
d’affari romane, lo spettro del default greco, la vaghezza del piano, il
rischio di una guerra diplomatica al termine dalla quale, alla fine, l’Italia
sarebbe finita distrutta come un vaso di coccio. Sono molte le ragioni che
hanno spinto Monti a pronunciare il suo no”. Gli faceva eco Tito Boeri: “La
tragedia greca era iniziata proprio lì, con la candidatura ad ospitare le
Olimpiadi. I sovracosti incorsi nella preparazione di Atene 2004 hanno contribuito
a quella spirale di deficit pubblici crescenti, mascherati in vario modo per
non pregiudicare l’ingresso nell’unione monetaria, che hanno portato alla crisi
del debito”. Seguiva un’impietosa analisi finanziaria di Walter Galbiati: “Non
esiste una formula matematica certa che possa valutare il ritorno economico che
giustifichi lo spendere 5, 10 o 15 miliardi per realizzare i Giochi. Il ritorno
di immagine e gli introiti aggiuntivi, che si trasformano in Pil, sono frutto
di stime difficilmente ponderabili. I costi invece sono certi”. (…). …il
Corriere esalta “La vittoria di Milano e Cortina”, “immagine di un Paese
giovane che sa sorridere” (le fauci della Banda dei Quattro). Sette anni fa
tripudiava per lo scampato pericolo: “Tra il 2014 e il 2018 lo Stato avrebbe
dovuto trovare una copertura di 800 milioni l’anno. Con buona pace di chi aveva
parlato di Olimpiadi a costo zero”. E Sergio Rizzo irrideva ai “musi lunghi
delle nostre alte gerarchie sportive” (i soliti Malagò, Montezemolo, Carraro e
Pescante): “Si è arrivati a sostenere che sarebbe stata un’operazione ‘a costo
zero’ con le spese coperte da introiti fiscali e incassi dei biglietti. Spese
astronomiche già in partenza. Otto miliardi? Dieci? Quanti davvero? Il partito
dei Giochi avrebbe dovuto ricordare che da troppi anni sbagliamo, e per
difetto, ogni preventivo. Di soldi e di tempi”. E giù botte alle solite
cricche: “Un impasto mostruoso di burocrazia, interessi politici e lobbistici
che spesso alimenta la corruzione e ci fa pagare un chilometro di strada il
triplo che nel resto d’Europa. E in due decenni non è cambiato proprio nulla.
Anzi. Per rifare gli stadi di Italia 90 abbiamo speso l’equivalente di un
miliardo e 160 milioni di euro, l’84% più di quanto era previsto? Nel 2009 ci
siamo superati, arrivando ai Mondiali di nuoto senza le piscine, ma con una
bella dose di inchieste”. Quattro anni dopo, Rizzo passò a Repubblica e
massacrò la Raggi per aver ribadito il no montiano per il 2024. E ora magnifica
“l’occasione per Milano per fare un altro salto nella graduatoria delle
metropoli europee. E scavare ancora più in profondità l’abisso che già la
separa dalla capitale”. Tutto fa brodo. La Stampa è tutto un peana all’ “Italia
che vince”, a “Mr Wolf Giorgetti missione compiuta”, mentre lacrima per “Torino
beffata” e l’Appendino che “non si pente”. Quando invece era Monti a ritirarsi
dai Giochi, elogiava “la coerenza di un no responsabile”, in sintonia con “le
attese dei cittadini”. E persino il Sole 24 Ore, organo di Confindustria, oggi
entusiasta perché “vince lo sprint dell’Italia”, nel 2012 definiva “l’avventura
delle Olimpiadi un rischio il cui costo avrebbe creato un effetto sui conti
pubblici difficilmente calcolabile”. Un po’ come Salvini, che quando Renzi
candidò Roma per il 2026 twittava furibondo: “Gente che in tutta Italia aspetta
una casa e un lavoro da anni. E Renzi pensa di fare le Olimpiadi.
Ricoverateloooo”. E nel 2016 ribadiva: “Renzi propone le Olimpiadi a Roma nel
2024. Per me è una follia, sarebbe l’Olimpiade dello Spreco. Il fenomeno di
Firenze pensi alle migliaia di società sportive dilettantistiche italiane, che
fanno fare sport a tantissimi bambini e che rischiano di chiudere per colpa
dello Stato, invece di fantasticare su improbabili Olimpiadi. Senza contare
tutti i debiti e gli sprechi del passato e del presente. Tirino fuori i soldi
per sistemare strade, scuole e ospedali”. (…).
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