"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 26 giugno 2019

Cronachebarbare. 66 «Il Giornale Unico degli Affari suona le grancasse e le trombette».


Un popolo di “demotivati”. Un popolo di “derelitti”. A quel popolo mi sono sentito di fare parte alla visione della esultanza di quei “tic”, ovvero “tipi italiani contemporanei”. L’acronimo non è mio, ma al contempo me ne sfugge il creatore. Dove quei tipi appoggiavano la loro insana esultanza per la scelta di Milano e Cortina quali sedi di una olimpiade invernale prossima? Il popolo dei “demotivati” al quale appartengo hanno tutt’al più fatto una smorfia di disgusto all’inverecondo spettacolo. Quale colpa più grande si può ascrivere ad una “casta” politica che abbia indotto il suo popolo alla demotivazione? Ci può essere altra colpa che sorpassi quella? Ma è la Storia propria di questo popolo di “derelitti”, delle sue “caste digerenti” – dico proprio “digerenti”, che riescono a digerire le vergogne che hanno creato con le loro azioni -, di quel “familismo amorale” che hanno alimentato e prodotto i “demotivati” dell’oggi, è tutto questo insieme a fornire illuminanti ed incontrovertibili verità. Decenni e decenni di intrallazzi e ruberie che hanno connotato ogni iniziativa, ogni aspetto del vivere comune. Dove appoggiare quella esultanza se non pregustando tutto ciò che ne verrà in termini di danaro e quant’altro attenga alle malversazioni e dintorni? Non si dimentichi che anche il terremoto che ha devastato l’Abruzzo veniva salutato da taluni come la manna caduta dal cielo. Un popolo di “derelitti”. Ha lasciato scritto Norberto Bobbio in “Italie ’77. Le mouvement et les intellectuels” (1977): (…). Lascio volentieri ai fanatici, cioè a coloro che vogliono la catastrofe, e ai fatui, cioè a coloro che pensano che alla fine tutto si accomoda, il piacere di essere ottimisti. Il pessimismo oggi, mi sia permessa ancora questa espressione impolitica, è un dovere civile. Un dovere civile, perché soltanto un pessimismo radicale della ragione può destare qualche fremito in coloro che, da una parte o dall’altra, mostrano di non accorgersi che il sonno della ragione genera mostri. (…). Si chiede e chiede a questo popolo di “demotivati” Marco Travaglio in “Le Linguiadi” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi 26 di giugno: Ma le avete viste le facce dei cosiddetti vincitori delle Olimpiadi nella foto di gruppo? E le fauci già spalancate dei Malagò, Montezemolo, Carraro, Pescante e Sala? Fauci già sperimentate sugli stadi di Italia 90 (spese lievitate dell’85%, ultima rata dicembre 2015), le Olimpiadi invernali di Torino 2006 (3,1 miliardi di debito, il 225% delle entrate, cattedrali nel deserto e trampolini nella neve), i Mondiali di nuoto 2009 (700 milioni di euro per il palazzo di Calatrava con le vele a pinna a Tor Vergata, mai finito; piscine sequestrate e/o di dimensioni sballate; scheletri in cemento armato abbandonati ai tossici e alle sterpaglie), l’Expo di Milano 2015 (retate di tangentisti e ’ndranghetisti, 1,5 miliardi di buco, mega-aree abbandonate). Ecco donde ne deriva la demotivazione dell’oggi. Da una storia antica, storia nera, anzi nerissima di ruberie a tutti i livelli, di malversazioni che sarebbe un interminabile elenco. Quelli dalle “fauci già spalancate” non hanno da rendere conto al popolo demotivato, ché tale lo hanno ridotto, ma a gruppi e gruppuscoli di interessi ben più sostanziosi, per la qualcosa suona stonata quella replica ai demotivati dell’oggi, più volta sentita, che il loro malanimo “non consentirebbe d’intraprendere alcunché”. È quella la colpa massima di una “casta” non politica ma ridotta a “casta” tribale. Continua Marco Travaglio nel Suo editoriale: Magari ci sbagliamo e gli stessi personaggi, che hanno sempre fallito, al seguito di Giorgetti e Zaia si trasformeranno in tanti Quintino Sella e faranno tutto per bene, per tempo e al risparmio. Ma, nell’attesa, solo un pazzo smemorato può unirsi all’esultanza di lorsignori per avere “vinto” un evento che negli ultimi 50 anni – dati dell’Università di Oxford – ha regolarmente sforato i preventivi per una media del 257% (796% Montréal, 417 per Barcellona, 321 Lake Placid, 287 Londra, 277 Lillehammer, 201 Grenoble, 173 Sarajevo, 147 Atlanta, 135 Albertville, 90 Sydney, 82 Torino, 51 Rio). Lasciando ai Paesi e alle città ospitanti un conto salatissimo da pagare, che ha portato al default Atene e Rio, al debito-record Torino e le altre all’aumento vertiginoso delle imposte locali. Anche al netto delle eventuali tangenti. Infatti le città più avvedute – Sion, Calgary, Innsbruck e Graz – si sono ritirate, terrorizzate da quella che Oxford chiama la “maledizione del vincitore” (le Olimpiadi le vince chi le perde e le perde chi le vince: l’unico che ci guadagna è il Cio). Il Giornale Unico degli Affari suona le grancasse e le trombette a reti ed edicole unificate, come se l’Italia avesse vinto la guerra mondiale e non un “evento” che dura 15 giorni. Ma è tutta propaganda per pompare Lega&Pd che si sono spartiti queste strane Olimpiadi invernali in una città senza montagne, Milano, e in un’altra che rischia di tracollare sotto il peso dei visitatori, Cortina, distante 409 km. L’alternativa era Torino che, oltre al dettaglio delle Alpi, aveva il pregio di costare poco grazie alle strutture del 2006. (…). …Repubblica titola “Miracolo a Milano (e a Cortina)”. Ma il 14.2.2012 plaudiva al ritiro della candidatura olimpica addirittura in tre articoli. Francesco Bei flautava: “Le ‘cricche’ d’affari romane, lo spettro del default greco, la vaghezza del piano, il rischio di una guerra diplomatica al termine dalla quale, alla fine, l’Italia sarebbe finita distrutta come un vaso di coccio. Sono molte le ragioni che hanno spinto Monti a pronunciare il suo no”. Gli faceva eco Tito Boeri: “La tragedia greca era iniziata proprio lì, con la candidatura ad ospitare le Olimpiadi. I sovracosti incorsi nella preparazione di Atene 2004 hanno contribuito a quella spirale di deficit pubblici crescenti, mascherati in vario modo per non pregiudicare l’ingresso nell’unione monetaria, che hanno portato alla crisi del debito”. Seguiva un’impietosa analisi finanziaria di Walter Galbiati: “Non esiste una formula matematica certa che possa valutare il ritorno economico che giustifichi lo spendere 5, 10 o 15 miliardi per realizzare i Giochi. Il ritorno di immagine e gli introiti aggiuntivi, che si trasformano in Pil, sono frutto di stime difficilmente ponderabili. I costi invece sono certi”. (…). …il Corriere esalta “La vittoria di Milano e Cortina”, “immagine di un Paese giovane che sa sorridere” (le fauci della Banda dei Quattro). Sette anni fa tripudiava per lo scampato pericolo: “Tra il 2014 e il 2018 lo Stato avrebbe dovuto trovare una copertura di 800 milioni l’anno. Con buona pace di chi aveva parlato di Olimpiadi a costo zero”. E Sergio Rizzo irrideva ai “musi lunghi delle nostre alte gerarchie sportive” (i soliti Malagò, Montezemolo, Carraro e Pescante): “Si è arrivati a sostenere che sarebbe stata un’operazione ‘a costo zero’ con le spese coperte da introiti fiscali e incassi dei biglietti. Spese astronomiche già in partenza. Otto miliardi? Dieci? Quanti davvero? Il partito dei Giochi avrebbe dovuto ricordare che da troppi anni sbagliamo, e per difetto, ogni preventivo. Di soldi e di tempi”. E giù botte alle solite cricche: “Un impasto mostruoso di burocrazia, interessi politici e lobbistici che spesso alimenta la corruzione e ci fa pagare un chilometro di strada il triplo che nel resto d’Europa. E in due decenni non è cambiato proprio nulla. Anzi. Per rifare gli stadi di Italia 90 abbiamo speso l’equivalente di un miliardo e 160 milioni di euro, l’84% più di quanto era previsto? Nel 2009 ci siamo superati, arrivando ai Mondiali di nuoto senza le piscine, ma con una bella dose di inchieste”. Quattro anni dopo, Rizzo passò a Repubblica e massacrò la Raggi per aver ribadito il no montiano per il 2024. E ora magnifica “l’occasione per Milano per fare un altro salto nella graduatoria delle metropoli europee. E scavare ancora più in profondità l’abisso che già la separa dalla capitale”. Tutto fa brodo. La Stampa è tutto un peana all’ “Italia che vince”, a “Mr Wolf Giorgetti missione compiuta”, mentre lacrima per “Torino beffata” e l’Appendino che “non si pente”. Quando invece era Monti a ritirarsi dai Giochi, elogiava “la coerenza di un no responsabile”, in sintonia con “le attese dei cittadini”. E persino il Sole 24 Ore, organo di Confindustria, oggi entusiasta perché “vince lo sprint dell’Italia”, nel 2012 definiva “l’avventura delle Olimpiadi un rischio il cui costo avrebbe creato un effetto sui conti pubblici difficilmente calcolabile”. Un po’ come Salvini, che quando Renzi candidò Roma per il 2026 twittava furibondo: “Gente che in tutta Italia aspetta una casa e un lavoro da anni. E Renzi pensa di fare le Olimpiadi. Ricoverateloooo”. E nel 2016 ribadiva: “Renzi propone le Olimpiadi a Roma nel 2024. Per me è una follia, sarebbe l’Olimpiade dello Spreco. Il fenomeno di Firenze pensi alle migliaia di società sportive dilettantistiche italiane, che fanno fare sport a tantissimi bambini e che rischiano di chiudere per colpa dello Stato, invece di fantasticare su improbabili Olimpiadi. Senza contare tutti i debiti e gli sprechi del passato e del presente. Tirino fuori i soldi per sistemare strade, scuole e ospedali”. (…).

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