Bolsa retorica a gogò. Dal più alto colle
capitolino. Da “Come dire ai giovani: vi
è andata di culo” di Alessandro Robecchi, pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” dell’8 di gennaio 2018: (…). …quando il presidente Sergio
Mattarella, nel suo discorso di fine anno, ha ricordato che a marzo voteranno
per la prima volta i ragazzi del ’99 (inteso come 1900) e ha tracciato un
sottile paragone con i ragazzi del ’99 (inteso come 1800) che vennero mandati
nelle trincee della Grande Guerra, la
sensazione è stata quella di camminare su un terreno insaponato. Sottotesto: le
cose non vanno benissimo, ma ricordatevi che oggi avete diritto di voto, pace,
Youtube e telefonini, mentre cento anni fa, alla vostra età, si andava a morire
per la patria (ultima vittoria registrata dai libri di storia, peraltro).
Paragone storico giustificato solo dall’assonanza dalla data, ovviamente,
perché tutto il resto c’entra – senza polemica e anzi con un po’ di leggero
divertimento – come i cavoli a merenda. Un po’ come dire, ehi, ragazzi del ’99,
pensate che culo che avete oggi che potete alzarvi alla mattina e andare a
votare, mentre i ragazzi del 3099 avanti Cristo passavano le loro giornate a
scheggiare le pietre per fabbricare frecce e andavano a cacciare i mammut senza
nemmeno il jobs act o l’alternanza scuola-lavoro. Beh, in effetti, a vederla
così, è un bel salto in avanti. Anche i ragazzi del 1609 ebbero i loro rovesci
del destino: nemmeno il tempo di compiere diciotto anni ed ecco la peste,
quando si dice la sfiga. Per non parlare dei ragazzi del 1879, che a
diciott’anni si misero in mente la balzana idea di chiedere diritti, lavoro e
socialismo e vennero falciati, a Milano, dalle mitragliatrici di Bava Beccaris…
Ok, ok, si sta meglio adesso: il vecchio trucco di consolarsi con le sfighe del
passato funziona sempre. Nel 1979, per esempio, questo articolo l’avrei scritto
con la macchina da scrivere, nel 1909 a mano con il calamaio, nel ’99 avanti
Cristo su fogli di papiro e prima ancora sulle tavolette di cera, che poi
spedirle al giornale, sai che casino. Dei ragazzi del ’99, quelli ricordati con
orgoglio nazionale da Mattarella, tra l’altro, si ricorda il successo a
Vittorio Veneto (un micidiale contropiede alla Ronaldo, dopo Caporetto),
insomma, li si ricorda perché contribuirono a una vittoria, mentre si potrebbe
anche ricordare che furono mandati in trincea a calci nel culo, obbligati,
coscritti pena la galera per diserzione, persino molti ragazzi del ’99 per cui
l’Italia, il re, Trieste, erano faccende lunari e lontanissime. Di quei ragazzi
si ricorda il risultato finale (vittoria!) ma quasi mai le angherie subite, le
rivolte contro i propri stessi ufficiali (leggere Un anno sull’altipiano di
Emilio Lussu, strepitosa cronaca di quei massacri), persino la satira (“Il
general Cadorna / ha detto alla regina / se vuoi veder Trieste / guardala in
cartolina”). Dicono i sondaggi che i ragazzi del ’99, intesi come Novecento,
andranno a votare se va bene nel trenta per cento dei casi, uno su tre, e
questo perché non si può obbligarli come si fece, mandandoli in trincea, con
quelli di cent’anni fa. Il paragone, insomma, non regge. Ai ragazzi del ’99,
anche se vinsero, non andò poi benissimo: se sopravvissuti alla grande mattanza
del 15-18 ebbero poi 39 anni alla data delle leggi razziali, e dai 40 ai 45 nella
seconda guerra mondiale. Come viatico per il futuro, diciamo, il Carso non fu
granché, speriamo che le elezioni del 4 marzo, come portafortuna, funzionino un
po’ meglio. Usare la storia passata per consolarsi dell’oggi rimane però una
tentazione troppo forte. Parlo di nonni, genitori a corto di argomenti,
professori convinti che oggi si stia meglio di ieri e che domani si starà
meglio di oggi (cosa decisamente smentita dall’andamento dell’economia, che
certifica i figli oggi meno sicuri e fiduciosi dei loro padri ieri). Insomma
giocare col passato per dire del presente è affascinante, ma non funziona
sempre, anzi. I ragazzi del ’99 (inteso come Novecento), pur disoccupati,
sottopagati, precari, incerti sul futuro, spronati a lavorare gratis perché “fa
curriculum” stanno meglio dei ragazzi del ’99 (inteso come 1100) che partirono
per la quinta crociata e finirono spesso sbudellati dagli infedeli. Innegabile.
Che un giovane operatore di call center oggi stia meglio di Pietro Micca
(specie dopo l’esplosione) è difficilmente contestabile, così come uno che
partecipa al concorso per aspiranti bidelli o infermieri (tipo: ottomila
concorrenti per tre posti disponibili) sia meno disperato di un adolescente
precolombiano all’arrivo di Pizarro è abbastanza evidente. Però è un po’ troppo
facile. Risultato: non è vero che si stava meglio quando si stava peggio, no,
no, si stava proprio peggio, e adesso si sta benone e andate a votare che fa
bene alla salute. Quanto ai ragazzi del ’49 (inteso come 900), che compirono diciott’anni
nel 1968 e assistettero e parteciparono a un tentativo di cambiare gli
equilibri del mondo, sognavano la “fantasia al potere” e altre amenità che oggi
sembrano lontane come una carestia nell’anno Mille o una guerra nel Medio Evo.
La fantasia chissà dov’è (maddai! Un’app ci sarà di sicuro, no?), ma il potere
è ancora lì, sempre lui, anche quando è sereno, tranquillo, rassicurante, un
po’ noioso, a dirci di non lamentarci troppo, perché cent’anni fa si stava
peggio, signora mia!
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