Il “nuovo”, ovvero “l’anno nuovo” che è
cominciato e che avanza. Storia “vecchia” – e sempre la stessa - in un “anno
nuovo”. Come non tenerne conto? Per che fare? “Che fare?”, si chiedeva
quello della rivoluzione d’ottobre appena ricordata. Tratto da “Anno dei Signori 2017: ci hanno guadagnato
soltanto i miliardari” di Alessandro Robecchi, pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” del 3 di gennaio 2018: (…). Su con la vita! I 500 uomini più ricchi
del pianeta nel 2017 si sono messi in tasca giusti giusti mille miliardi di
dollari, con un incremento del 23 per cento rispetto all’anno prima e insomma,
non facciamola lunga: si certifica, nell’anno dei Signori 2017, che per
diventare ricchi la cosa migliore è essere già molto ricchi. La forbice della
diseguaglianza non solo non si chiude, ma si apre a dismisura, in un’annata
d’oro per i miliardari. Il primo della lista, Jeff Bezos, il capo di Amazon, ha
incrementato la sua fortuna del 34 e passa per cento, ora è vicino ai 100
miliardi di dollari (99,6, per la precisione, cioè per arrivare a 100 gli
mancano solo 400 milioni di dollari, suggerisco di aprire una sottoscrizione).
Lo inseguono Bill Gates e Warren Buffet, staccati di una manciata di miliardi
(91 e 85). Il primo europeo è in sesta posizione, ed è quel Bernard Arnault,
francese, che vende lusso a tutti, cioè di sicuro ai suoi 500 colleghi della
classifica degli uomini più ricchi del mondo. Più ricchi che nel 2016, anno in
cui erano diventati più ricchi che nel 2015, anno in cui… Potete tornare
indietro un bel po': nei dieci anni della crisi è gente che non si è mai fatta
mancare il segno più. Ma sì, ma sì, sono classifiche che lasciano il tempo che
trovano. L’indignazione generica del momento e poi basta. Eppure – lo dico,
male, un po’ rozzamente, perdonate – queste classifiche potrebbero mettere
qualche idea in testa. Per esempio che lì dentro potrebbero annidarsi i famosi
soldi che non ci sono mai. Ritornello costante di ogni governo più o meno o
para-liberale (non solo italiano) quando si parla di servizi e diritti è “sì,
sarebbe giusto, ma non ci sono i soldi”. Ora con tutti i soldi che ti fanno
ciao ciao con la manina dalle classifiche (mille miliardi di dollari in più in
un anno), direi che i soldi ci sono, invece, e pure tanti, e si sa anche chi li
ha in tasca. È noto il ritornello liberista, che sono in realtà due. Il
liberista classico dirà che ci pensa il mercato e che se uno ha cento miliardi
di dollari in tasca e un suo dipendente fa fatica a mettere insieme il pranzo
con la cena, pazienza, che ci vuoi fare, è il mercato. Poi c’è il liberista moderno,
smart e di sinistra, quello che dice uh, che bello i ricchi diventano più
ricchi, e così anche chi lavora per loro sarà più felice. È un classico da Tony
Blair in poi: la convinzione che se aiuti i padroni automaticamente aiuti anche
i lavoratori. Una teoria interessante, che però cade un po’ a pera appena si
guardano i numeri, perché i famosi padroni guadagnano mille miliardi in un
anno, e i famosi lavoratori – pardon – una cippa di cazzo. Peggio: si sentono
ripetere ogni giorno che i tempi sono cambiati e che devono cedere terreno e
diritti. E quando la grande politica, i grandi leader mondiali (e anche i
piccoli di casa nostra), parlano di diseguaglianze e di come combatterle,
tendono a parlarne con Jeff Bezos e Bill Gates più che con quelli che spostano
pacchi e scrivono software. Gli anni della crisi, che hanno messo in ginocchio
il ceto medio e proletarizzato tutti gli altri, in molti paesi e più che
altrove in Italia, sono stati anni benedetti soltanto per i ricchi, coronati
dal boom del 2017. Naturalmente né la storia né la geopolitica, né l’economia
si fanno con l’aritmetica, ma non è difficile fare due più due e capire che i
soldi che mancano qui (al lavoro) sono finiti là (al profitto e al capitale),
in misura eccessiva rispetto a qualsiasi decenza. Farsi rendere un po’ di quei
soldi – e non soltanto in metafora – dovrebbe essere al primo punto di ogni
programma che osasse chiamarsi “di sinistra”.
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