Da “Sinistra:
ripartire dalla Carta per combattere l’esclusione” di Nadia Urbinati,
pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 18 di gennaio dell’anno 2017: Quel
che manca alla Sinistra è prima di tutto la credibilità. Non solo dell’
elettorato da conquistare, ma anche dei suoi simpatizzanti, che spesso (come è
successo negli Stati Uniti, ma anche in alcune tornate elettorali regionali nel
nostro paese) decidono di astenersi perché non si riconoscono nei candidati,
nei progetti e nei discorsi rappresentati dal simbolo del partito. Il risultato
del referendum del 4 dicembre scorso (dell’anno 2016 n.d.r.) parla
anche di questo: gli italiani hanno mostrato di dare credibilità più al patto
fondativo, che a coloro che lo applicano. E hanno anche fatto capire che in un
tempo di grandi incertezze, la Costituzione è probabilmente la maggiore
certezza che hanno. Nel dubbio, meglio non rischiare: questa la logica in
filigrana della vittoria del No. Che non è per nulla una parentesi o una tappa
che interrompe un corso, quello cominciato dalla leadership renziana con la vittoria
alle primarie e poi l’ascesa al governo. Non è una parentesi perché dal 2014 ad
oggi è mancata una visione politica al di là dei destini della battaglia
referendaria. Cominciamo da mille giorni fa. Matteo Renzi ha esordito come
presidente del Consiglio con una introduzione al volume di Norberto Bobbio,
“Destra e sinistra”, (…). Erano due i paradigmi centrali che facevano da
architrave del suo pensiero sulla nuova sinistra: innanzi tutto la revisione a
trecentosessanta gradi della filosofia dell’eguaglianza (sulla quale Bobbio
aveva costruito la dicotomia con la destra) e, in conseguenza di ciò, la ridefinizione
della coppia destra/sinistra. Destra e sinistra, scriveva Renzi, non coincidono
più con la libertà individualistica in un caso e la libertà che riposa su
premesse di eguaglianza nell’altro. Questa dicotomia, aggiungeva, appartiene a
un mondo in cui le menti e le idee era ordinate per classi; oggi, alle classi è
subentrata la complessità e quelle due grandi idee quelle che danno identità
alla nostra, come a tutte le costituzioni democratiche, non servono ad
orientarci né nel giudizio politico, né nelle scelte. Finita la diade
libertà/eguaglianza, quel che ci resta è un aggregato di individui distribuiti
sulla scala sociale: Renzi usava paradigmi di posizione, come alto/basso: ci
sono gli “ultimi” e i “primi”, diceva, e una sinistra moderna deve porsi
l’obiettivo di attivare le energia individuali per portare gli ultimi a vincere
lotta darwiniana e salire su. Questa era l’idea di “nuova sinistra” con la
quale Renzi ha inaugurato il suo governo: una visione che ci riportava al “selfmade
man” di ottocentesca memoria e che ha in effetti orientato le sue politiche
redistributive, quelle sulla scuola e sul lavoro. (…). Renzi (…) ha sostenuto
che di sinistra c’è bisogno, e ha provato a coniugarla con altre dicotomie:
esclusi/inclusi, innovazione/identità, paura/speranza. «Gli esclusi sono la
vera nuova faccia della diseguaglianza, dobbiamo farli sentire rappresentati»
(solo farli sentire o farli essere?).
Ma come fare questo? Una risposta (di sinistra) sarebbe quella di partire dalla Costituzione, che non è una carta di vuote promesse e che impegna i partiti e i cittadini, che con essi “concorrono” alla determinazione delle politiche, a mettere in atto scelte coerenti. Combattere l’esclusione significa, allora, dare vigore alla capacità di governo e di rappresentanza che si sprigiona dalla cittadinanza, a questo serve una legge elettorale coerente. Ma non basta: occorre prendere sul serio gli articoli 2 e 3 che spronano a promuovere coraggiose politiche di opportunità al lavoro e all’educazione. Non si tratta di una lotta per fare “primi” gli “ultimi”, ma per dare a tutti/e le condizioni essenziali affinché la realizzazione personale non sia un’illusione o una vuota speranza. In questo contesto sta la sinistra: il contesto delle politiche del lavoro e dello sviluppo delle capacità. Il lavoro è la condizione imprescindibile dei cittadini moderni, e alcune costituzioni, come la nostra, sono molto esplicite nel riconoscerlo. Amintore Fanfani (che comunista non era) difese l’articolo 1, dicendo con limpida chiarezza (che fa difetto alla sinistra attuale), che il lavoro è sinonimo di eguaglianza democratica, contro il privilegio e il parassitismo; è un dovere responsabile verso se stessi e la società, perciò luogo di diritti, tra i quali quelli a salari che consentano «una esistenza libera e dignitosa» (a questo proposito l’articolo 35 dice che «La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni»). È da questa visione democratica e sociale che nasce, infine, l’idea che l’iniziativa economica sia soggetta a vincoli, nel senso che «non può svolgersi in contrasto con l’ utilità sociale» o in modo da «recar danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» (articolo 41). Bisogna volere mettere in opera la Costituzione. È questa la politica alla quale dovrebbe orientarsi con decisione una forza che si ispiri a valori di solidarietà e di democrazia. Certo, non si tratta di progetti che stanno facilmente insieme a politiche liberiste, e che anzi mettono in discussione la filosofia degli 80 euro e anche buona parte della riforma cosiddetta della “buona scuola”. Partire dalla Costituzione è una condizione essenziale e non nebuslosa per superare le divisioni e le fratture. Per recuperare la fiducia e credibilità dei cittadini, che non vogliono la luna o teorie sofisticate e astratte, ma una forza politica che si proponga di mettere in atto con intelligenza e passione le promesse della nostra democrazia.
Ma come fare questo? Una risposta (di sinistra) sarebbe quella di partire dalla Costituzione, che non è una carta di vuote promesse e che impegna i partiti e i cittadini, che con essi “concorrono” alla determinazione delle politiche, a mettere in atto scelte coerenti. Combattere l’esclusione significa, allora, dare vigore alla capacità di governo e di rappresentanza che si sprigiona dalla cittadinanza, a questo serve una legge elettorale coerente. Ma non basta: occorre prendere sul serio gli articoli 2 e 3 che spronano a promuovere coraggiose politiche di opportunità al lavoro e all’educazione. Non si tratta di una lotta per fare “primi” gli “ultimi”, ma per dare a tutti/e le condizioni essenziali affinché la realizzazione personale non sia un’illusione o una vuota speranza. In questo contesto sta la sinistra: il contesto delle politiche del lavoro e dello sviluppo delle capacità. Il lavoro è la condizione imprescindibile dei cittadini moderni, e alcune costituzioni, come la nostra, sono molto esplicite nel riconoscerlo. Amintore Fanfani (che comunista non era) difese l’articolo 1, dicendo con limpida chiarezza (che fa difetto alla sinistra attuale), che il lavoro è sinonimo di eguaglianza democratica, contro il privilegio e il parassitismo; è un dovere responsabile verso se stessi e la società, perciò luogo di diritti, tra i quali quelli a salari che consentano «una esistenza libera e dignitosa» (a questo proposito l’articolo 35 dice che «La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni»). È da questa visione democratica e sociale che nasce, infine, l’idea che l’iniziativa economica sia soggetta a vincoli, nel senso che «non può svolgersi in contrasto con l’ utilità sociale» o in modo da «recar danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» (articolo 41). Bisogna volere mettere in opera la Costituzione. È questa la politica alla quale dovrebbe orientarsi con decisione una forza che si ispiri a valori di solidarietà e di democrazia. Certo, non si tratta di progetti che stanno facilmente insieme a politiche liberiste, e che anzi mettono in discussione la filosofia degli 80 euro e anche buona parte della riforma cosiddetta della “buona scuola”. Partire dalla Costituzione è una condizione essenziale e non nebuslosa per superare le divisioni e le fratture. Per recuperare la fiducia e credibilità dei cittadini, che non vogliono la luna o teorie sofisticate e astratte, ma una forza politica che si proponga di mettere in atto con intelligenza e passione le promesse della nostra democrazia.
Nessun commento:
Posta un commento