Da “Costituzione
tradita: più poveri, più delitti e impunità per tutti”, tratto dall'intervento
del Pg di Palermo Roberto Scarpinato all’apertura dell’Anno giudiziario e
riportato su “il Fatto Quotidiano” del 28 di gennaio 2018: (…). Il 15 gennaio 2016 sono
stati emanati i decreti legislativi n.7 e n.8 che hanno abrogato e
depenalizzato una quota indicativa di reati. Se si tiene conto che le predette
depenalizzazioni nel loro sommarsi hanno diminuito le iscrizioni di nuovi reati
nei registri delle procure in percentuali complessivamente variabili dal 20% al
30%, appare tanto più significativa la circostanza, che non nonostante siffatte
politiche criminali deflattivi, i dati statistici attestino tuttavia una
crescita percentuale delle iscrizioni di reati pari a circa il 10%. Ciò vuol
dire che l’area dell’illegalità registra una crescita tale da neutralizzare
l’efficacia delle politiche criminali deflattive, tuttavia indispensabili
perché in assenza di tali interventi deflattivi il tasso di crescita dei reati
in alcune zone del territorio raggiungerebbe il 40% ed il 70%, con relativo
incremento del numero dei procedimenti da gestire. Per apprezzare pienamente la
crescita dell’aria dell’illegalità, occorre considerare un secondo fattore. Gli
indici statistici della Procura della Repubblica prendono in considerazione solo
i reati segnalati dai cittadini a seguito di denunce e querele e i reati
autonomamente accertati delle Forze di Polizia e dalla magistratura. Resta
fuori dal computo la cifra oscura dei reati consumati e tuttavia non denunciati
o non accertati (…). Alcune cause si radicano certamente nelle condizioni di
progressivo degrado sociale ed economico in cui versano ampi strati della
popolazione soprattutto un una regione quale la Sicilia, divenuta secondo gli
indici Istat la regione più povera del paese con il 54,4% della popolazione a
rischio di povertà e con il più alto indice di disuguaglianza economica tra i
suoi abitanti a livello nazionale europeo. (…). Sussiste una connessione
profonda tra questione criminale e questione sociale che diviene di anno in anno
sempre più ineludibile. (…). Non ci può essere sicurezza, equilibrio sociale e
crescita della cultura della legalità laddove non ci sono politiche di
inclusione sociale, se non si riduce drasticamente la percentuale di persone
che svolgono un lavoro instabile, che confinate in periferie degradate si
arrangiano come possono, che violano la legge per andare avanti, senza che la
legalità o fra loro concrete possibilità di sopravvivenza e di ascesa sociale
senza passare dal crimine. (…). Per altro verso per non superare il limite di
capienza massima a causa dell’aumento costante della popolazione carceraria si
ampliano i presupposti per l’accesso alle misure alternative alla detenzione,
senza tuttavia investire le risorse necessarie per garantire la risocializzazione
dei condannati (…) estromessi dal circuito carcerario. (…). Da qui anche una
delle cause del costante incremento statistico (+23%) dei reati di spaccio di
stupefacenti posti in essere in molti casi da spacciatori agli arresti
domiciliari e di fatto fuori controllo. Alla prova dei fatti, è forte il dubbio
che lo sfollamento delle carceri e la sostituzione delle pene detentive o
misure alternative - se realizzati senza adeguati investimenti economici per la
successiva risocializzazione - possano tradursi in buona parte in un
riaffollamento delle vie delle città di condannati per nulla rieducati, per
nulla reinseriti socialmente, e nella sostanza riconsegnati a un destino di
emarginazione sociale di precarietà esistenziale, anticamera del loro pendolare
ritorno al crimine anche come forma di sussistenza. (…). Nel distretto di
Palermo si registra un incremento del 97% dei procedimenti per reati di
corruzione, del 77% per reati di concussione, del 27% per i reati di
malversazione a danno dello Stato e di indebita percezione dei contributi. (…).
Il numero dei soggetti coinvolti, i ruoli apicali o strategici da tanti di essi
ricoperti all’interno di ministeri nazionali, di vari assessorati della Regione
siciliana, della più diversa tipologia di uffici ed enti pubblici - dalle
Comuni alle Asl, dal Genio Civile alla Inail e via elencando, la serialità
delle condotte criminose, la vastità delle reti di relazioni e di complicità,
la rilevantissima entità economica dei danni causati dalle condotte criminose
al pubblico erario e alla collettività, ricompongono - tessera dopo tessera -
il quando di un collasso etico e di una deriva criminale di segmenti
significativi della classe dirigente. La crescita costante anno dopo anno di
tale fenomenologia criminale, in larga misura sommersa, (nell’ultimo triennio
l’andamento di crescita a Palermo è stata del 23%) attesta che anche in questo
settore la giustizia penale non riesce ad assolvere la funzione
generalpreventiva di disincentivare la consumazione dei reati mediante la minaccia
dell’irrogazione delle sanzioni e la loro successiva comminazione. Il deficit
degli effetti della risposta penale in tale specifico settore appare il
risultato di politiche legislative stratificate nel tempo che hanno depresso in
vari modi il rischio ed il costo penale derivanti dalla consumazione di tali
reati, alimentando così la crescita di una cultura impunitaria che a sua volta
ha operato da propellente per la crescita del fenomeno. (…). In un paese come
l’Italia, caratterizzato da un livello di corruzione tra i più elevati al
mondo, il numero di persone detenute in espiazione pena definitiva per i reati
più gravi contro la P.A. è statisticamente talmente irrisorio da non essere
neppure quotato. I pochi condannati con sentenza definitiva, quelli nei cui
confronti si è resto possibile definire i tre gradi del giudizio prima che
intervenisse la prescrizione dei reati, sono pressoché tutti ammessi ad
usufruire di misure alternative alla detenzione che dovrebbero risocializzare e
rieducare alla legalità mediante l’istruzione ed il lavoro, colletti bianchi
altamente scolarizzati, di reddito elevato e già professionalmente realizzati.
Un habitat sociale caratterizzato dal regredire progressivo della cultura della legalità e della solidarietà sociale sia nelle classi popolari che in quelle alte, dal ripiegamento individualistico nella cura esclusiva del proprio tornaconto personale e da perseguire con tutti i mezzi leciti e illeciti, costituisce certamente un humus fertile per lo sviluppo della criminalità mafiosa. Una criminalità mafiosa che nonostante l’incessante azione repressiva svolta dalla magistratura e dalle forze dell’ordine concretatasi in una media annuale di arresti che supera le 200 unità e in pesanti condanne detentive che hanno falcidiato sia la manovalanza mafiosa che i quadri direttivi dell’organizzazione, dimostra straordinarie capacità di metabolizzare i colpi subiti e di adottare sofisticate strategie di riorganizzazione (…). Leggi di revisione (costituzionale di Berlusconi e di Renzi n.d.r.) entrambe respinte da referendum popolari nel giugno 2006 e nel dicembre 2016 (…) hanno dimostrato come il nostro popolo sia più consapevole del valore della nostra Costituzione e del modello di società in essa insito, di quanto lo siano larghe componenti della classe politica. Se tale affezione popolare alla Costituzione è un motivo di consolazione per chi si riconosce pienamente nei suoi valori, è tuttavia motivo di inquietudine dovere constatare come il disegno di modificarne i contenuti respinto in sede referendaria, prosegua di fatto per vie oblique mediante l’approvazione di leggi ordinarie che nel loro susseguirsi nel tempo hanno in buona misura svuotato di reali contenuti diritti sociali costituzionali fondamentali quali quelli del lavoro garantiti dagli articoli 4,35 e 36. (…). Una decostituzionalizzazione strisciante che funge da lasciapassare per politiche economiche che hanno determinato una crescita vertiginosa nel nostro paese delle disuguaglianze sociali e con essa dell’ingiustizia sociale. L’Italia si colloca oggi al ventesimo posto per disuguaglianza dei redditi nella classifica mondiale. Il 20% della popolazione più ricca detiene il 66,41% della ricchezza nazionale. Ai più poveri va solo lo 0.09%. Ogni giorno di più viene tradito il solenne impegno dello Stato sancito dall’art.3 della Costituzione di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana. È il tradimento di questa promessa che determina la disaffezione di larghe componenti popolari non solo nei confronti della politica ma anche nei confronti dello Stato. (…). Le sfide che ci attendono vanno ben al di là di assicurare la produttività della c.d. azienda giustizia. La posta in gioco è ben più alta. È la tenuta stessa dello Stato democratico, è il senso stesso che vogliamo dare al nostro ruolo di operatori di giustizia, è il senso stesso del nostro essere comunità e non solo una somma aritmetica di individui consegnati ciascuno alla propria solitudine.
Un habitat sociale caratterizzato dal regredire progressivo della cultura della legalità e della solidarietà sociale sia nelle classi popolari che in quelle alte, dal ripiegamento individualistico nella cura esclusiva del proprio tornaconto personale e da perseguire con tutti i mezzi leciti e illeciti, costituisce certamente un humus fertile per lo sviluppo della criminalità mafiosa. Una criminalità mafiosa che nonostante l’incessante azione repressiva svolta dalla magistratura e dalle forze dell’ordine concretatasi in una media annuale di arresti che supera le 200 unità e in pesanti condanne detentive che hanno falcidiato sia la manovalanza mafiosa che i quadri direttivi dell’organizzazione, dimostra straordinarie capacità di metabolizzare i colpi subiti e di adottare sofisticate strategie di riorganizzazione (…). Leggi di revisione (costituzionale di Berlusconi e di Renzi n.d.r.) entrambe respinte da referendum popolari nel giugno 2006 e nel dicembre 2016 (…) hanno dimostrato come il nostro popolo sia più consapevole del valore della nostra Costituzione e del modello di società in essa insito, di quanto lo siano larghe componenti della classe politica. Se tale affezione popolare alla Costituzione è un motivo di consolazione per chi si riconosce pienamente nei suoi valori, è tuttavia motivo di inquietudine dovere constatare come il disegno di modificarne i contenuti respinto in sede referendaria, prosegua di fatto per vie oblique mediante l’approvazione di leggi ordinarie che nel loro susseguirsi nel tempo hanno in buona misura svuotato di reali contenuti diritti sociali costituzionali fondamentali quali quelli del lavoro garantiti dagli articoli 4,35 e 36. (…). Una decostituzionalizzazione strisciante che funge da lasciapassare per politiche economiche che hanno determinato una crescita vertiginosa nel nostro paese delle disuguaglianze sociali e con essa dell’ingiustizia sociale. L’Italia si colloca oggi al ventesimo posto per disuguaglianza dei redditi nella classifica mondiale. Il 20% della popolazione più ricca detiene il 66,41% della ricchezza nazionale. Ai più poveri va solo lo 0.09%. Ogni giorno di più viene tradito il solenne impegno dello Stato sancito dall’art.3 della Costituzione di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana. È il tradimento di questa promessa che determina la disaffezione di larghe componenti popolari non solo nei confronti della politica ma anche nei confronti dello Stato. (…). Le sfide che ci attendono vanno ben al di là di assicurare la produttività della c.d. azienda giustizia. La posta in gioco è ben più alta. È la tenuta stessa dello Stato democratico, è il senso stesso che vogliamo dare al nostro ruolo di operatori di giustizia, è il senso stesso del nostro essere comunità e non solo una somma aritmetica di individui consegnati ciascuno alla propria solitudine.
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