Da “Ora la
corruzione è a norma di legge” di Roberta De Monticelli, pubblicato su “il
Fatto Quotidiano” del 21 di gennaio dell’anno 2015: La questione morale ha cambiato
taglia. Ma non è la mappa della corruzione nella Pubblica amministrazione,
con le sue percentuali di illeciti che sembrano aver impressionato il ministro
della Giustizia Orlando (…) a fare la differenza. Per la semplice ragione che
si tratta di illeciti. Cioè di violazioni della legge. Almeno dai tempi di
Tacito è ben noto che la peggiore corruzione è quella a norma di legge, (…).
Ma
ancora peggiore è la corruzione della legge stessa. Qui per illustrare il
fenomeno vien buona un’altra immagine di sartoria. Secondo una famosa ricetta
cinica di Giolitti, “un sarto che deve tagliare un abito per un gobbo deve fare
la gobba anche all’abito”. La corruzione delle leggi è appunto questo: una
legge non serve a prevenire, impedire o raddrizzare una deformità, ma ad
adattarcisi al meglio. Se proprio serve un esempio, oltre alla reiterata
depenalizzazione del falso in bilancio, che non ha invece impensierito il
ministro, può valere l’ormai ben noto 19-bis del Decreto-legge sulla delega
fiscale. La cosa più sorprendente di questo vestito tagliato a misura di gobba
è che il clamore che ha finito per suscitare si sia limitato nella maggior
parte dei casi a censurare il carattere ad personam di questo mostriciattolo
partorito probabilmente da un accordo sordido: come se il suo effetto
riabilitante nei confronti di un noto pregiudicato ne esaurisse la mostruosità.
Come se non ci fossero due altri aspetti mostruosi. Il
primo è l’atto con cui l’articolo è improvvisamente comparso nel testo di un
decreto del Consiglio dei ministri. Questo, stando alle autorevoli dichiarazioni
di due costituzionalisti, è semplicemente un falso in atto pubblico. Per il Prof.
Sorrentino si tratta di un reato commesso nell’esercizio delle funzioni del
ministro o del presidente del Consiglio… un fatto di una gravità straordinaria,
passato sotto silenzio (…). Per il Prof. Pace chi se ne è assunto la
responsabilità ha usato un sotterfugio per far sì che una sua volizione
individuale assumesse le sembianze di una disposizione legislativa approvata
con tutti i crismi dal Consiglio dei ministri, contro la verità dei fatti (…).
E il contenuto di questa volizione? Ecco, dall’intervista di F. Forquet al
ministro Padoan (Sole 24 Ore 17/01/2015). Domanda: Quella franchigia del 3%
sarà riproposta? Risposta: Bisogna ragionare su un sistema di percentuali e di
margini, dall’intreccio di questi due parametri può uscire un sistema equo. Traduzione:
dall’intreccio di una frode che non viene più trattata come frode e di una
legge che calcola gli sconti per le frodi invece di sanzionarle, può uscire un
sistema equo. Domanda: Ma qual è la sua versione sulla famosa manina che ha
introdotto la norma del 3%? Risposta: …è il metodo di lavoro abituale di questo
governo: l’interazione tra ministeri e presidenza e quindi il Consiglio. Cioè:
un falso in atto pubblico come lo chiama, un ministro della Repubblica? Un
metodo di lavoro! Ecco: per capire la gravità di questi due
aspetti, l’atto e il suo contenuto, occorre allargare la visuale al più vasto
fenomeno cui il colpaccio che si sperava passasse inosservato appartiene. È un
fenomeno di proporzioni apocalittiche, la cui profondità e vastità ci impedisce
forse di prenderne veramente coscienza: perché ci nuotiamo dentro, come pesci
nell’acqua. Questo fenomeno è l’appiattimento del dover essere sull’essere, del
valore sul fatto, della norma sulla pratica comune anche se abnorme, e in definitiva
del diritto sulla forza. Tutto quel che è reale è razionale, dice il filosofo
che dà ragione alla forza, purché vinca. Tutto quello che è reale è normale,
dice il cinismo che ha permeato il linguaggio popolare. Al
fondo, è la dissoluzione dei vincoli di senso, i vincoli all’interno dei quali
soltanto le parole umane dicono qualcosa di definito, i comportamenti umani
hanno un significato e un valore definito. Sciogliete una lingua dalle sue
norme logiche e nessuno potrà più affermare o negare nulla. Si dirà insieme
tutto e il contrario di tutto. Sciogliete i comportamenti umani dai vincoli pur
minimi dell’etica, da quelle norme implicite che sono i mores o da quelle
ponderate che sono le leggi, e non potrete più valutare se la mano che vi si
tende offre morte o amicizia. Leggiamola a questa profondità, la piccola
porcheria del 19-bis. Ci consente di farlo il comportamento degli individui che
con atti, parole e omissioni contribuiscono, come tutti ormai facciamo senza
accorgercene neppure più, ad appiattire la norma sul fatto e il diritto sul
potere. Perché l’erosione dell’idealità non avviene da sola, e neppure da soli
i vestiti si attagliano alle gobbe, ci vuole chi dispone, chi scrive, chi tace,
chi usa le leggi corrotte. E cosa c’è di terribile in questo? Quasi niente: l’auto-destituzione
del soggetto morale in noi, vale a dire la semplice impossibilità di dissentire
anche nel foro interiore da ciò che non è come dovrebbe essere, perché la
distinzione non c’è più: la realtà ha vinto completamente, ovunque. Chi si
ribella a uno Stato totalitario, come fecero i coniugi Solgenitsin quando
decisero di non mentire più qualunque conseguenza potesse seguirne, ha una
chance di uscire libero dalla sofferta prigionia della mente. Nel caso
totalitario resta la potenziale coscienza della libertà perduta: la
costrizione, il dolore di subirla, la vergogna di piegarsi… mentre lo Stato
impunitario è una distruzione irreversibile di risorse di senso. Chi ha sciolto
il suo pensiero dal vincolo della legge ha destituito in se stesso per sempre l’autonomia,
la libertà di resistere all’arbitrio, dentro e fuori di sé. Il parricidio della
civiltà, come predisse Socrate, è vicino. E questo è il vero ultimo senso della
parola corruzione: dissoluzione e morte di un intero vivente. Ecco perché la
questione morale ha cambiato taglia.
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