Da “Una
scuola che insegni a pensare” di Umberto Galimberti, pubblicato sul
settimanale “D” del 14 di gennaio dell’anno 2017: Era l'auspicio di Kant, ma per
realizzarsi ha bisogno di insegnanti autorevoli. E di genitori che smettan di
sostenere l'indolenza dei propri figli. Al di là di tutte le riforme della
scuola che immancabilmente si introducono a ogni cambio di Ministro, i mali
della scuola sono arcinoti, ma non si vogliono vedere nonostante la loro
evidenza. Il primo è costituito dagli insegnanti, molti dei quali o non
conoscono la loro materia, o non la sanno comunicare nel modo giusto, o non
sono abbastanza carismatici da affascinare i ragazzi che, solo se affascinati,
trovano gusto e passione per lo studio. Quando si ha carisma, da cui deriva
un'automatica autorevolezza, la disciplina non è un problema, e quando lo è,
ciò è dovuto al fatto che il professore non è all'altezza del compito. Il
secondo problema sono i genitori i quali, dopo che non hanno mai detto un no ai
loro figli, e mai hanno chiesto loro un sacrificio, per non avere conflitti in
famiglia, invece di riprovare la loro condotta indolente (eufemismo per non dir
di peggio), riprovano la condotta dei professori che, con le loro valutazioni,
richiamano i ragazzi a un minimo (e dico minimo) impegno. Facendo i
sindacalisti dei figli, i genitori pensano di garantirsi il loro affetto e la
loro stima, quando invece altro non garantiscono che un apprezzamento per la
loro indolenza. Il diritto allo studio va assicurato solo a chi ha davvero
voglia di studiare, dopo aver dato a tutti la possibilità di farlo e di assaporare
il piacere e il sacrificio che lo studio richiede. Quanto alla filosofia è
ovvio che, al pari delle lingue straniere, sarebbe utile praticarla fin dalle
elementari, alle quali i bambini accedono avendo già avuto modo di porsi le
domande filosofiche di quella stagione dei "perché" (4 anni), quando
chiedevano: "Perché se la terra che è rotonda e gira intorno al sole, noi
non ci capovolgiamo?", oppure: "Come fa a esistere Dio se non ha una
mamma che l'ha messo al mondo?". Questo tipo di domande non ricevono mai
una risposta seria e alla portata della loro età; i genitori non hanno mai
tempo, o non sapendo come rispondere chiudono con: "Quando sarai grande
capirai". Così il bambino interiorizza che le domande che fanno pensare
non sono interessanti (visto che nessuno le prende in considerazione), per cui
è meglio non porsele e vivere spensieratamente (senza pensieri, quindi da
superficiali, per non dire da deficienti). La filosofia non è solo, e neppure
soprattutto, una materia scolastica. È un atteggiamento, un modo di stare al
mondo che stabilisce una differenza tra chi si pone problemi, non solo teorici,
ma anche pratici, e cerca una soluzione, e chi non se li pone, e quando gliene
capita uno non ha strumenti per affrontarlo e neppure capisce se è un vero
problema o no. E questo vale anche per il dolore, a proposito del quale Eschilo
diceva che "È un errore della mente". La mente, infatti, se ha solo
quattro pensieri in testa, non ha strumenti per affrontare il dolore, oppure,
ancor peggio, il dolore è tanto più acuto quanto meno si è capaci di
relativizzarlo, dal momento che l'orizzonte della nostra coscienza è troppo
angusto, perché ci si è tenuti per tutta la vita, e magari con orgoglio,
lontani dalla cultura.
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