Se dovessi dare una data e
segnare quindi l’inizio del mio personale impegno a contrastare, nel mio
piccolo, anzi nel mio “piccolissimo”, la “deriva” politico-istituzionale-sociale
del bel paese troverei facilmente la risposta: 27 di giugno dell’anno 2003,
allogato com’era questo blog su di un’altra piattaforma. A quella data risulta
il mio primo post sfacciatamente “controcorrente”, da bastian
contrario. Non che prima di quella data me ne stessi buono buono, zitto zitto.
Avevo intuito, e non era una percezione ma una terribile consapevolezza, che
l’eredità lasciata al bel paese dal latitante socialista in terra d’Africa
sarebbe stata delle più disastrose in termini di tenuta e rinvigorimento degli
istituti democratici e della vita associata. La cosiddetta nefasta “discesa
in campo” – a datare dall’anno 1994 – aveva consolidato infatti la mia
consapevolezza che tutto non sarebbe stato più come prima. Importanti,
ingombranti ed inquietanti personaggi salivano sul podio di regia della cosa
pubblica. Con quali interessi? Con quale formazione politico-istituzionale
personale? Per fare cosa? Per un dovere storiografico, detto senza albagia, ma
nel rispetto della storia piccola piccola, minima, minuta anzi, che ciascuno di
noi è riuscito a scrivere in questi anni tormentati, trascrivo quel post del 27
di giugno dell’anno 2003: “A seguito
delle singolari vicende parlamentari che hanno portato il Paese a dotarsi di
una legge tutta speciale che vale solo per cinque persone. Stiamo smarrendo la
nostra identità e con essa anche la possibilità di costruire una sempre più
civile convivenza. La civile convivenza di un Paese, di un qualsiasi Paese di
questo pianeta, deve avere dei tratti fondamentali che ne impregnino tutto il
tessuto civile, le istituzioni, il ragionare collettivo che, seppur diversificato,
riconosce in quei tratti fondamentali il suo tratto caratteristico, il suo
collante indiscutibile. Trovo allora confortante proporre una "spiga d'oro"
di un altro "grande vecchio", Paolo Sylos Labini, raccolta da una sua
pubblicazione recente "Diario di un cittadino indignato". Essa, in un
momento così difficile per il nostro Paese, potrà essere memoria e guida per
una pronta riscossa: "(...). La
cultura è l'elemento unificante di una società e nella cultura rientra l'arte.
(...) Ma, per la società, non meno importante è l'onestà civile della gente di
ogni livello; è l'onestà civile diffusa che rende vivibile una società. L'
autostima a livello popolare e la stima degli altri paesi sono la base
dell'amor di patria e dell'orgoglio di appartenere ad una comunità.
Esortazioni, gare sportive e festeggiamenti non sono inutili, ma senza quella
base sono addirittura dannosi, perché pongono in risalto il contrasto fra
l'apparire e l'essere, e l'amor di patria, quando c'è ipocrisia, invece di
crescere diminuisce ulteriormente. (...)”. Così scriveva Paolo Sylos
Labini. Così la pensava quel grande vecchio. Siamo divenuti orfani oramai dei
grandi Maestri. Da quella data, ma ancor prima, ne è venuto un impegno personale
che a tutt’oggi non scema, sentendo sempre di più i sinistri rumori che
avvertono di un “ruinare” della Italia. Un’unica grande consolazione: essermi
ritrovato in numerosissima compagnia, di persone anche di grandissima levatura
morale, intellettuale e civile. Sul versante della necessaria, ancor oggi, denuncia
pubblica della nefasta opera di imbarbarimento delle istituzioni tutte derivante
da quell’infausta “discesa in campo”, imbarbarimento che ha coinvolto anche la
vita associativa nel bel paese, ho trovato interessante, a quel tempo – della sua
pubblicazione - come al tempo presente, l’attenta analisi del professor Paul
Ginsborg, analisi pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” del 16 di ottobre
dell’anno 2010 – nello stesso giorno il testo veniva letto a Firenze nel
corso del convegno "Società e Stato nell’era del berlusconismo" - col titolo
“La scomparsa del ceto medio”. Di seguito la trascrivo in parte:
(…).
Negli ultimi quindici anni il ceto medio si è diviso in due mondi, piuttosto
diversi uno dall’altro... Chiamerei l’uno il ceto medio riflessivo, capace di
bridging (cioè capacità di costruire ponti verso altri) e, in termini
occupazionali, caratterizzato dal lavoro dipendente; l’altro il ceto medio
concorrenziale, tendente al bonding (cioè tendenza a rafforzare i legami interni
a uno specifico gruppo) e prevalentemente dedito al lavoro autonomo. Partiamo
con la prima componente, il ceto medio riflessivo. In tutta l’Europa si è
sviluppato un ceto medio attivo nelle professioni socialmente utili, nel terzo
settore e tra gli assistenti sociali, ma anche tra gli insegnanti e gli
studenti, gli impiegati direttivi e di concetto del settore pubblico, i nuovi
operatori nel mondo dell’informazione e della cultura... Ad ingrossarne le file
è stato un numero sempre crescente di donne molto istruite, alla ricerca di un
impiego adeguato alla loro professionalità, ma in forte difficoltà nel
trovarlo, soprattutto al Sud... Questa componente dei ceti medi contemporanei
in apparenza è dotata di notevole potenziale civico. Se guardiamo il caso italiano
vediamo come l’opposizione al regime di Berlusconi provenga in parte
considerevole da questi settori dei ceti medi. A partire dalle grandi
manifestazioni della primavera e dell’autunno 2002, fino alle dimostrazioni
organizzate attraverso internet dal ‘Popolo Viola’ del dicembre 2009 e di
ottobre 2010, numerosi appartenenti a questi strati sociali si sono mobilitati
contro il regime... Non bisogna in nessun modo esagerare le capacità civiche di
questa parte dei ceti medi, né la loro consapevolezza di sé come gruppo
sociale... Essi hanno sempre possibilità di scelta e, di fronte alla
ripetitività delle proteste e soprattutto allo scarso incoraggiamento
proveniente dal ceto politico di sinistra, perdono slancio e speranza... Vengo
ora alla seconda agglomerazione – i ceti medi – prevalentemente dediti al
lavoro autonomo e fortemente orientati al mercato... Storicamente una
componente di spicco di questo mondo sono sempre stati i distretti industriali
italiani, apprezzati da numerosi studi internazionali e considerati anche
portatori di un specifico modello di coesione sociale... Viene da chiedersi,
però, quanto questo quadro sia ancora valido nel Nord Italia, di fronte alla
crescita della Lega... Nella Lombardia e nel Veneto, se non nella Toscana e
nell’Emilia-Romagna, si è sviluppato un modello diverso, fortemente basato sul
bonding territoriale e sull’appartenenza etnica, sullo sfruttamento di una
sottoclasse di immigrati, sulla scarsa presenza di equità sociale e su una
forma di democrazia fortemente personalizzata e di partito. Davanti a
quest’onda gli studiosi devono dirci cosa resta dell’ethos dei vecchi gloriosi
distretti industriali... Qual è l’apporto del ‘Berlusconismo’ a questo quadro
generale?... La singolarità del ‘Berlusconismo’ risiede nell’uso particolare
che egli ha fatto delle opportunità che il degrado democratico degli anni ‘80
gli ha offerto. In modo precoce (1984) ha potuto stabilire un controllo
mediatico sulla televisione commerciale unico in Europa, senza la sorveglianza
di un qualsiasi garante pubblico, e ha potuto utilizzare questa libertà per
reiterare incessantemente determinati valori e stili di vita, e per trascurarne
o denigrarne altri... Questo sfrenato potere mediatico è il primo elemento del
Berlusconismo. Un secondo è il comportamento di Berlusconi nei confronti dello
Stato e della sfera pubblica. Qui riscontriamo una forte diversità rispetto
alla signora Thatcher. Quest’ultima, per quanto radicale, non mise mai in
dubbio le istituzioni e le pratiche della democrazia britannica. Berlusconi, al
contrario, come dimostra anche la sua famosa videocassetta del 26 gennaio 1994,
quella della ‘discesa in campo’, ha sempre considerato la sfera pubblica una
zona di conquista, di occupazione, di trasformazione... L’ultimo apporto del
Berlusconismo... è l’esplicito appoggio a un elemento dei ceti medi – quello
del lavoro autonomo e concorrenziale – a spese dell’altro, quello più
riflessivo e basato sul lavoro dipendente. Berlusconi blandisce il primo con
tutta una serie di carezze - agevolazioni fiscali, condoni edilizi, la
depenalizzazione sostanziale del falso in bilancio... All’altro elemento dei
ceti medi, il ‘Berlusconismo’ riserva solo schiaffi – lo smantellamento
progressivo della scuola pubblica, il degrado senza fine delle grandi istituzioni
culturali, gli stipendi in calo verticale in termini di potere d’acquisto. Così
- e questo forse è la sua eredità più dannosa - Berlusconi contribuisce in modo
drammatico a spaccare il ceto medio, e ad incrementare il livello di
incomunicabilità tra le sue due componenti principali. Ogni tanto mi sembra che
i moniti ottocenteschi di Disraeli circa il rischio di creare due Nazioni siano
di scottante attualità per l’Italia contemporanea...”.
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