Da “La fine della società”, intervista di Fabio Gambaro al sociologo
francese Alain Touraine pubblicata sul quotidiano la Repubblica del 31 di ottobre
dell’anno 2013: (…). "Una società è sempre determinata da un insieme di pratiche
ma anche da un sistema di costruzione della realtà", (…). "In
passato, le società si sono pensate e costruite in modo religioso, poi, a
partire dal Rinascimento, si sono costruite attraverso il pensiero politico. In
seguito, negli ultimi due o tre secoli, la società industriale si è pensata in
termini socio-economici, tanto che alla fine società e economia hanno finito
per identificarsi".
Negli ultimi decenni cosa è
cambiato? "A partire dagli anni Sessanta abbiamo assistito al progressivo
declino del capitalismo industriale, dato che una parte sempre più importante
dei capitali disponibili hanno smesso di avere una funzione economica. Ha
prevalso il capitalismo finanziario e speculativo, che sottrae capitali agli
investimenti produttivi. Questa trasformazione del capitalismo ha
progressivamente svuotato di senso tutte le categorie politico-sociali con cui
eravamo abituati a pensare la società contemporanea. Siamo entrati così in
un'epoca post-sociale".
Cosa significa? "La società
si forma nel momento in cui le risorse economiche acquistano una forma sociale
attraverso le istituzioni. Quando una parte delle risorse non entra più in
circolo nella società, le costruzioni sociali si svuotano di contenuto. Oggi
tutte le categorie e le istituzioni sociali che ci aiutavano a pensare e
costruire la società - Stato, nazione, democrazia, classe,
famiglia - sono diventate inutilizzabili. Erano figlie
del capitalismo industriale. All'epoca del capitalismo finanziario non
corrispondono più a niente. Non ci aiutano più a pensare le pratiche sociali
contemporanee e a governare il mondo in cui viviamo. In questo modo, il sociale
viene meno".
Da qui l'idea della fine delle
società? "Il trionfo della finanza speculativa disarma la politica e
l'economia, disarticolando le società così come le abbiamo conosciute e pensate
finora. Di fronte a questa situazione, alcuni pensano che la società
contemporanea sia capace di trasformarsi da sola. Immaginano una società
tecnico-operativa, figlia di un capitalismo tecnologico selvaggio, che non ha
più bisogno di sistemi concettuali e di categorie sociali. Ma quando si fa a
meno dei sistemi di costruzione della realtà, si lascia spazio alla regressione
attraverso le pseudo- religioni e le pseudo-politiche, il comunitarismo e
l'ossessione dell'identità, l'edonismo individualista sfrenato che alimenta la
psicosi e la violenza su se stessi e sugli altri".
(…). Sul piano individuale
contano la coscienza e la responsabilità... "Naturalmente. E quando si
parla di soggetto si parla di diritti. La fine delle vecchie categorie ha
lasciato il vuoto. Siamo come in un teatro dove il pubblico osserva una scena
senza attori. Occorre che ogni singolo spettatore si faccia carico della scena,
rivolgendosi a se stesso e egli altri spettatori. E al centro della sua
riflessione devono esserci i diritti fondamentali, perché i diritti
costituiscono il sociale. Rispetto Stéphane Hessel, ma l'indignazione non
basta. Oggi occorre ripartire dai diritti e dalla loro difesa, come già avviene
in molte parti del mondo. E come fa anche il nuovo Papa, che sembra adottare
volentieri il vocabolario dell'etica. Hannah Arendt ha sottolineato il diritto
di avere dei diritti. Io aggiungo che i diritti stanno al di sopra delle
leggi".