Da “I
superstiti dell'Apocalisse” di Ezio Mauro, pubblicato sul quotidiano la
Repubblica del 13 di maggio dell’anno 2016: (…). È un triangolo che dovrebbe
avere una base comune, e condivisa: la legalità. In un sistema democratico
trasparente nelle procedure e nei controlli, la legalità dovrebbe essere una
condizione preliminare dell'agire politico, insieme con l'onestà dei suoi
attori. In questo Paese si è trasformata invece in un vero e proprio programma
politico (…), assorbendone ogni identità, proprio a causa delle forme di
illegalità diffusa che le inchieste giudiziarie hanno portato alla luce nei
partiti tradizionali insieme con la disonestà di molti amministratori pubblici,
generosamente distribuiti in tutto lo schieramento partitico. Questo fa sì che
il triangolo entri in crisi: da un lato, la politica dei partiti si chiude
sulla difensiva, maledice a bassa voce i magistrati ritenendoli intrusi
abusivi, incredibilmente incapace di rispondere alla sfida del malcostume
corruttivo con misure interne (forte pulizia, selezione rigorosa, guardia alta)
e con provvedimenti di legge che raccolgano l'allarme sociale per la diffusione
di pratiche illegali e stabiliscano subito contromisure efficaci. (…). Si
potrebbe dire che la bandiera dell'onestà rappresenta comunque un passo avanti
e una buona garanzia di base, nelle attuali condizioni del Paese. In realtà è
una condizione indispensabile, ma non sufficiente, in quanto rischia di ridurre
la politica ad una sola dimensione, di non chiederle altro, di accontentarsi di
ciò che è già dovuto ai cittadini e alla comunità che si governa. La modernità,
insieme con la costituzionalizzazione dell'intero universo politico-culturale
nei Paesi occidentali aveva superato la concezione della politica come scontro
tra Bene e Male, usandola anzi come strumento di neutralizzazione dei
conflitti. Oggi si rischia una neutralizzazione della politica perché il
sistema viene additato dai nuovi populismi come interamente colpevole,
completamente colluso, totalmente complice e dunque definitivamente perduto.
Non resta che aspettare l'ora "x" in cui "Dio sputerà sulla
candela" e si spegnerà la luce su questa Seconda Repubblica, in attesa
dell'avvento politico del Redentore. Ovviamente è uno schema che getta a mare
(insieme con le responsabilità dei corrotti e con l'incapacità dei partiti
storici di reagire all'ondata di corruzione che li sommerge, dopo aver
sradicato il sistema) anche le speranze nella democrazia, la fiducia nelle sue
risorse, la capacità soprattutto di distinguere e di graduare i giudizi, che
dovrebbe essere il compito di chi fa politica, oltre che di chi fa
informazione. Siamo ormai al fascio di ogni erba, purché sia o sembri erba
cattiva: e se un po' di grano finisce in mezzo al loglio non importa, si fa
buon peso. (…). Tutto questo è inevitabile quando si scommette sulla crisi del
sistema a fini di profitto politico: che succede quando la crisi coinvolge (sia
pure in minima parte) chi la alimenta, soffiando sul peggior fuoco con quella
che Croce chiamava la "feroce gioia" contro le istituzioni? Qual è il
segno culturale che questo atteggiamento porta nelle istituzioni, e nel
rapporto tra le istituzioni e i cittadini, già consumato dalla crisi di
legalità che rischia ogni giorno di più di diventare crisi di legittimità?
Cioran definisce il reazionario come "un profittatore del terribile, il
cui pensiero irrigidito per calcolo calunnia il tempo".
Certamente questa scommessa sul peggio avviene in un luogo politico che non appartiene alla storia della sinistra anche se ne mima i linguaggi e i codici, raschiandone efficacemente l'elettorato. Non c'è infatti nessuna rappresentanza sociale di interessi, nessuna tutela di diritti, nessuna attenzione di classe ai più deboli, nessuna costruzione culturale in questa delega della politica al disvelamento del malaffare altrui, che annulla ogni soggettività e qualsiasi autonomia dell'antipolitica, ridotta appunto ad accontentarsi di essere "anti". Tutto si tiene in questo mondo chiuso della diversità che si mangia la politica: la cabala informatica spacciata come trasparenza, l'idolo blog venduto come partecipazione diffusa, il rifiuto degli "altri", anche quando propongono una buona legge. Com'è evidente, in questo schema il problema democratico non è la radicalità delle accuse che vengono rivolte al sistema dei partiti, e ancor più ai corrotti, che in alcuni casi meriterebbero giudizi ancora più severi: il problema è il sentimento di "alterità", che consente ai Cinque Stelle di vivere in un immaginario altrove dove non sono permesse contaminazioni, accordi, concorsi nelle decisioni utili al Paese e condivisioni di responsabilità, ma conta solo marcare la diversità sperando in questo modo di ereditare il sistema. Ereditieri del collasso del sistema, più che soggetti attivi del cambiamento: è la riduzione della politica alla sola dimensione di denuncia, tribunizia, nel senso degli antichi Tribuni che parlavano a nome di tutto il popolo, apostrofando il potere. Mentre nella concezione liberale dello Stato moderno il fondamento morale pubblico non risiede nel sentimento etico soggettivo (naturalmente necessario) ma nel rispetto di regole e procedure stabilite per tutti nell'interesse di tutti. Distinguere (perché non è vero che "così fan tutti"), pretendere il rispetto della legge, lavorare perché il sistema politico salvi se stesso rientrando nel rispetto della legalità, invece di scommettere sul suo affondamento. Rispettare le istituzioni anche quando l'offerta politica è modesta e la disaffezione allo Stato è alta. (…). L'alternativa è continuare a vivere nel presunto "altrove" aspettando l'Apocalisse prossima ventura, per delegarle la cancellazione del sistema invece di usare la politica per cambiarlo. Solo che l'Apocalisse è il libro "di coloro che si pensano come superstiti" e come tale è il rifiuto della politica, la rinuncia al cambiamento, un gesto di superbia. E poi, cosa succede quando i superstiti sono coinvolti?
Certamente questa scommessa sul peggio avviene in un luogo politico che non appartiene alla storia della sinistra anche se ne mima i linguaggi e i codici, raschiandone efficacemente l'elettorato. Non c'è infatti nessuna rappresentanza sociale di interessi, nessuna tutela di diritti, nessuna attenzione di classe ai più deboli, nessuna costruzione culturale in questa delega della politica al disvelamento del malaffare altrui, che annulla ogni soggettività e qualsiasi autonomia dell'antipolitica, ridotta appunto ad accontentarsi di essere "anti". Tutto si tiene in questo mondo chiuso della diversità che si mangia la politica: la cabala informatica spacciata come trasparenza, l'idolo blog venduto come partecipazione diffusa, il rifiuto degli "altri", anche quando propongono una buona legge. Com'è evidente, in questo schema il problema democratico non è la radicalità delle accuse che vengono rivolte al sistema dei partiti, e ancor più ai corrotti, che in alcuni casi meriterebbero giudizi ancora più severi: il problema è il sentimento di "alterità", che consente ai Cinque Stelle di vivere in un immaginario altrove dove non sono permesse contaminazioni, accordi, concorsi nelle decisioni utili al Paese e condivisioni di responsabilità, ma conta solo marcare la diversità sperando in questo modo di ereditare il sistema. Ereditieri del collasso del sistema, più che soggetti attivi del cambiamento: è la riduzione della politica alla sola dimensione di denuncia, tribunizia, nel senso degli antichi Tribuni che parlavano a nome di tutto il popolo, apostrofando il potere. Mentre nella concezione liberale dello Stato moderno il fondamento morale pubblico non risiede nel sentimento etico soggettivo (naturalmente necessario) ma nel rispetto di regole e procedure stabilite per tutti nell'interesse di tutti. Distinguere (perché non è vero che "così fan tutti"), pretendere il rispetto della legge, lavorare perché il sistema politico salvi se stesso rientrando nel rispetto della legalità, invece di scommettere sul suo affondamento. Rispettare le istituzioni anche quando l'offerta politica è modesta e la disaffezione allo Stato è alta. (…). L'alternativa è continuare a vivere nel presunto "altrove" aspettando l'Apocalisse prossima ventura, per delegarle la cancellazione del sistema invece di usare la politica per cambiarlo. Solo che l'Apocalisse è il libro "di coloro che si pensano come superstiti" e come tale è il rifiuto della politica, la rinuncia al cambiamento, un gesto di superbia. E poi, cosa succede quando i superstiti sono coinvolti?
Nessun commento:
Posta un commento