Da “Il
popolo non spiega, decide. Ma c’è la legge” di Bruno Tinti, pubblicato su “il
Fatto Quotidiano” del 21 di maggio dell’anno 2015: (…). Il primo esempio conosciuto
di giudici popolari risale al 30 d.c. (ma forse al 33), quando il popolo decise
di liberare Barabba e mandare a morte Gesù. Non si sa perché i cittadini di
Gerusalemme emisero questa sentenza, il popolo non spiega le sue decisioni. Poi
arrivarono i Romani e il loro monumentale contributo alla vita civile: la legge
– un insieme di regole che ogni cittadino doveva rispettare –, il processo – un
rito per accertare se la legge era stata violata –, e la sentenza – dove si
spiegava perché il giudice aveva deciso ciò che aveva deciso. Non tutti
adottarono questo sistema. I Paesi anglosassoni preferirono quello utilizzato
per mandare a morte Gesù. L’idea era che un cittadino doveva essere giudicato
da altri cittadini. Naturalmente un processo del genere non è un giudizio tecnico,
assomiglia a quello che ognuno di noi esprime sui fatti giudiziari di cui viene
a conoscenza: un’opinione, più o meno meditata. E, naturalmente, non è prevista
una sentenza ma solo un “verdetto”: colpevole-innocente, torto-ragione,
risarcimento danni sì-no, se sì x milioni. Non si deve spiegare, proprio come
avvenne quando si decise di mandare a morte Gesù: il popolo non spiega, decide.
Il controllo popolare sulla correttezza delle decisioni giudiziarie avviene
dunque in modi diversi. Affidandosi alla saggezza del popolo (impersonato dalla
giuria) nei sistemi di Common Law; e attraverso la motivazione delle sentenze
nei sistemi derivati dal diritto romano. In questo secondo sistema i controlli
sono ripetuti più volte perché ci sono almeno tre gradi di giudizio e ognuno
termina con una sentenza che, di nuovo, spiega il perché della decisione. Nei
sistemi di Common Law non esiste l’Appello e il giudizio davanti alla Corte
Suprema è solo eventuale. Il risultato di queste differenze è evidente: tutti
possono sapere per quali motivi Amanda Knox è stata assolta; nessuno sa perché
O. J. Simpson è stato assolto o perché Mike Tyson è stato condannato. Nonostante
evidenti incongruenze, molti sistemi di origine romana hanno ceduto alla
seduzione di una giustizia “amministrata dal popolo”; e però, non fidandosi di
6 o 12 cittadini di quasi certa ignoranza giuridica e di possibile mancanza di
cultura e di buon senso, hanno optato per un sistema misto, il cosiddetto
scabinato. Uno o più giudici professionisti e un certo numero di giudici
popolari, tutti insieme a decidere; ai giudici professionisti l’obbligo di
scrivere la sentenza. Il sistema in realtà è pessimo: i giudici popolari non
sono in grado di gestire i problemi di diritto che i processi presentano e sono
spesso tentati di sovrapporre alle regole giuridiche la loro opinione quanto
alla sussistenza del fatto e dunque alla colpevolezza o meno dell’imputato. Ne
deriva una inevitabile subordinazione dei giudici popolari ai giudici
professionisti, talvolta l’emarginazione di una minoranza che non vuole sentire
ragioni, raramente la prevalenza di una decisione non condivisa dai giudici
togati (che poi però devono scrivere la sentenza). Il sistema non cambierà.
Anzi, la convinzione sempre più diffusa che le sentenze debbano rispondere a
principi di carattere etico, politico o economico e non semplicemente al
diritto, presumibilmente porterà a riforme sempre più sbilanciate verso il
giudizio sommario, il consenso popolare, perfino l’ordalia. Ha camminato sui
carboni ardenti, quindi è innocente sarà la prova decisiva.
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