Da “Banca
Etruria, la scintilla della crisi” di Andrea Greco, sul settimanale “A&F”
del 15 di maggio 2017: (…). Perché finisce nei guai. La crisi di
Banca Etruria è stata una sorpresa solo per chi guardava altrove, o non voleva
vedere. L'istituto era arroccato e protetto tra le mura e il campanile di uno
storico feudo Dc dai tempi di Amintore Fanfani (il nipote Giuseppe è stato
sindaco con il Pd fino al dicembre 2014). Ma la "banca dell'oro", 186
sportelli, 1.800 dipendenti e una dozzina di miliardi di attivi, era al disopra
delle fazioni politiche, in un sommo intreccio di poteri cattolico-agricoli e
laico-massonici per un trentennio governati dal presidente massone Elio
Faralli, che lasciò nel 2012 a 87 anni. Sotto il suo regno la crescita per
acquisizioni aveva ingigantito anche i crediti, specie quelli ad amici e colleghi
amministratori: al momento della risoluzione 13 ex amministratori e 5 ex
sindaci dell'istituto erano affidati per 185 milioni, che si erano accordati
senza lesinare, originando 198 posizioni di fido finite tra le sofferenze e gli
incagli. I problemi del credito, già notevoli dal 2010, erano nelle cure di
Emanuele Boschi, fratello di Maria Elena assunto in banca a fine 2007 come
analista e salito tra i dirigenti fino al marzo 2015, quando uscì poco prima
del dissesto. Insieme agli insider, i principali beneficiari dell'eccesso di
generosità di Banca Etruria sono stati il gruppo Sacci, storica azienda
cementiera esposta per 70 milioni; l'Acqua Marcia di Francesco Bellavista
Caltagirone (60 milioni); il cantiere Privilege Yard, che doveva costruire un
panfilo da 127 metri, tra i più lussuosi al mondo e di cui fu costruito solo il
modellino; realizzazioni e bonifiche del gruppo Uno a erre (10,6 milioni);
immobiliare Cardinal Grimaldi (11,8 milioni). Ispezioni, crisi e governo. La
situazione inizia a scappare di mano dall'inizio del 2012: Banca Etruria
licenzia l'agenzia Fitch, che le ha assegnato un merito di credito BB+
("spazzatura") proprio per le sofferenze "a un livello doppio
rispetto alla media del sistema". Anche la Banca d'Italia, da mesi in
pressing, si fa sotto: a fine 2012 chiede al management, dopo un'altra
ispezione, "adeguate misure correttive per sanare la gestione" e di
"integrarsi in un gruppo più solido". Il bilancio 2012 porta i segni
dell'emergenza, con crediti svalutati per oltre un miliardo. Gli organi sociali
cercano rimedi (benché la vigilanza poi li sanzionerà anche per la loro
"sostanziale inerzia"). A metà 2013 Etruria aumenta il capitale per
100 milioni, ed emette con il beneplacito della Consob bond subordinati per
120, rifilati alla clientela minuta; una fetta dei 275 milioni che due anni
dopo saranno azzerati dal bail in. Il governo Renzi, che ad Arezzo è di casa,
inizia ad affannarsi per la mina Etruria, con cauti sondaggi istituzionali.
Come risulta da diverse ricostruzioni e fonti, i problemi dell'Etruria, che è
banca popolare, sono anche uno degli sproni perché Renzi acceleri nel progetto
di riforma del credito cooperativo, che viaggia in parallelo e passerà per
decreto nel gennaio 2015: ma la moral suasion aveva indotto Etruria a portarsi
avanti, trasformandosi in spa sei mesi prima. Togliere di mezzo il principio
"una testa, un voto" avrebbe facilitato la vendita dell'istituto,
ormai necessaria. E proprio tramite ambienti del governo s'era cercato un
abboccamento tra Arezzo e il fondo del Qatar, poi chiamato in causa due anni
dopo per investire nel Monte dei Paschi (sempre invano). Tentativi disperati di
fusione. Nel 2014 la situazione patrimoniale degenera: Bankitalia forza al
cambio dei vertici e di metà del cda Etruria (è il passaggio in cui Lorenzo
Rosi diventa presidente e Pier Luigi Boschi suo vice, senza deleghe).
Mediobanca e il legale Paolo Gualtieri sono nominati dei consulenti per trovare
compratori. La banca d'affari si occupa solo dei rapporti con tre fondi
stranieri: si parla degli israeliani Hapoalim e Bank Leumi, ma nulla si muove.
Più concreto il dialogo con Bper, altra popolare in storici rapporti con
Arezzo, e con la popolare di Vicenza. Solo la vicentina entra nella "data
room", che presuppone lo scambio di informazioni confidenziali.
Ma ad Arezzo prevale ancora il principio "padroni a casa nostra: e nel maggio 2014 il cda dell'Etruria rigetta l'Opa a 1 euro proposta da Vicenza. Una mossa che irrita ulteriormente la vigilanza, che nel novembre avvia l'ispezione decisiva, quella che tre mesi dopo condurrà al commissariamento. E' la fase più drammatica: il management Etruria guarda a 360°. Proprio a novembre, il 4, Maria Elena Boschi presenzia a una ricorrenza di Unicredit a Milano, in cui c'è anche l'ad del colosso Federico Ghizzoni. Pochi giorni dopo, Ghizzoni vede anche il presidente dell'Etruria, Rosi, e si parla di una possibile acquisizione. Ghizzoni prende tempo e passa il dossier a Marina Natale allora vice dg ed esperta di fusioni. Si vocifera di una strategia che possa unire i punti bancari critici di Vicenza, Veneto Banca ed Etruria, con Unicredit a fare da pivot. Ma la banca di Ghizzoni, che ha problemi propri come attesta la ricapitalizzazione da 13 miliardi cui sarà costretta nel 2016, declina e non s'impegna. Intanto l'ispezione di vigilanza attesta che il patrimonio ad Arezzo non c'è più e commina un giudizio "sfavorevole" di 6/6, dopo aver preso atto di una situazione che, a microfoni spenti, gli ispettori di Via Nazionale raccontano di non avere mai visto da decenni. La banca viene commissariata, ma neanche questo basta, anzi le cose peggiorano: nove mesi dopo Etruria è in risoluzione coatta. Epilogo. Siamo al presente. Mentre le macerie ad Arezzo fumano, il credito nazionale cerca di riprendersi con una terapia di tagli, fusioni e smaltimento dei tanti crediti mal concessi. L'esecutivo traccheggia, in attesa che l'ex presidente del consiglio Matteo Renzi ritrovi la leadership: e il "caso Boschi", per cui il sottosegretario dovrà zittire le accuse di conflitto di interesse e di bugia detta al Parlamento ("Non mi sono mai occupata di Banca Etruria", dicembre 2015) è un test rilevante. Il carisma dei vigilanti ha traballato, così come le poltrone di Ignazio Visco alla Banca d'Italia e di Giuseppe Vegas alla Consob; entrambi in scadenza e solo il primo confermabile, anche se lo stato dei rapporti con chi governa e i cortei di cittadini sotto le finestre di palazzo Koch complicano le previsioni. Il moncone vivo di Banca Etruria, Tirrenica spa, al primo giorno di vita ha annunciato qualche centinaio di esuberi.
Ma ad Arezzo prevale ancora il principio "padroni a casa nostra: e nel maggio 2014 il cda dell'Etruria rigetta l'Opa a 1 euro proposta da Vicenza. Una mossa che irrita ulteriormente la vigilanza, che nel novembre avvia l'ispezione decisiva, quella che tre mesi dopo condurrà al commissariamento. E' la fase più drammatica: il management Etruria guarda a 360°. Proprio a novembre, il 4, Maria Elena Boschi presenzia a una ricorrenza di Unicredit a Milano, in cui c'è anche l'ad del colosso Federico Ghizzoni. Pochi giorni dopo, Ghizzoni vede anche il presidente dell'Etruria, Rosi, e si parla di una possibile acquisizione. Ghizzoni prende tempo e passa il dossier a Marina Natale allora vice dg ed esperta di fusioni. Si vocifera di una strategia che possa unire i punti bancari critici di Vicenza, Veneto Banca ed Etruria, con Unicredit a fare da pivot. Ma la banca di Ghizzoni, che ha problemi propri come attesta la ricapitalizzazione da 13 miliardi cui sarà costretta nel 2016, declina e non s'impegna. Intanto l'ispezione di vigilanza attesta che il patrimonio ad Arezzo non c'è più e commina un giudizio "sfavorevole" di 6/6, dopo aver preso atto di una situazione che, a microfoni spenti, gli ispettori di Via Nazionale raccontano di non avere mai visto da decenni. La banca viene commissariata, ma neanche questo basta, anzi le cose peggiorano: nove mesi dopo Etruria è in risoluzione coatta. Epilogo. Siamo al presente. Mentre le macerie ad Arezzo fumano, il credito nazionale cerca di riprendersi con una terapia di tagli, fusioni e smaltimento dei tanti crediti mal concessi. L'esecutivo traccheggia, in attesa che l'ex presidente del consiglio Matteo Renzi ritrovi la leadership: e il "caso Boschi", per cui il sottosegretario dovrà zittire le accuse di conflitto di interesse e di bugia detta al Parlamento ("Non mi sono mai occupata di Banca Etruria", dicembre 2015) è un test rilevante. Il carisma dei vigilanti ha traballato, così come le poltrone di Ignazio Visco alla Banca d'Italia e di Giuseppe Vegas alla Consob; entrambi in scadenza e solo il primo confermabile, anche se lo stato dei rapporti con chi governa e i cortei di cittadini sotto le finestre di palazzo Koch complicano le previsioni. Il moncone vivo di Banca Etruria, Tirrenica spa, al primo giorno di vita ha annunciato qualche centinaio di esuberi.
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