Da “Pescatori
di uomini senza frontiere” di Erri De Luca, pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” del 26 di aprile 2017: (…). Questo è oggi il trasporto delle vite
sul Mediterraneo, da una parte crociere in girotondo, dall’altra parte zattere
alla deriva, affidate all'arbitrio di chi intasca quattrini sia dai trafficanti
che dall’Unione europea. Una pacchia per loro: perché dovrebbero rinunciare a
uno dei contribuenti? Un naufragio qua e là, l'arresto di qualche gommone a
casaccio, così per fingere di rispettare gli accordi. Gli accordi prevedono i
naufragi? Non sia mai detto. Gli accordi ammettono effetti collaterali, colpa
degli irriducibili che vogliono viaggiare per forza. Proprio così, per forza:
vengono prelevati di notte dai recinti, a scaglioni di centocinquanta è
costretti a salire sul gommone.Costretti: parecchi vorrebbero ritirarsi di
fronte al buio e al rischio assurdo. Non possono. Chi resiste, sale sotto
spinta di armi. Uno di questi, recuperato in un salvataggio precedente, aveva
un proiettile nella gamba. I trafficanti li incalzano, poi affidano bussola a
timone a uno del carico. Gli scafisti non ci sono più. Una delle unità veloci
calate dalla Prudence per avvicinamento ai gommoni, chiede a quello che regge
la barra del fuoribordo di spegnere il motore. Risponde che non lo sa fare. Gli
scafisti hanno messo in moto e lui sa solo reggere la barra. L’unità veloce è
costretta all'abbordaggio. Lionel, operativo di Msf, si fa tenere per i piedi e
dalla prua si lancia sul motore fuoribordo del gommone per spegnerlo. Gli scafisti
non esistono più. Nel porto di Augusta in Sicilia, dove salgo a bordo della
Prudence, c'è un campo di primo internamento per chi sbarca da navi soccorso. A
fianco, grandi gru caricano rottami di ferro dentro stive dirette a fonderie in
Asia. Viaggiano con documenti in regola pure i chiodi arrugginiti. Gli esseri
umani del campo vicino sono invece carico fuorilegge in attesa di
respingimento.
Le ultime procedure introdotte dal nuovo malgoverno cancellano
il diritto di appello del richiedente asilo, in caso di primo rigetto della sua
domanda. Tolgono il diritto di appello: a chi ha perso tutto quello che poteva
già perdere. Si scrivono e si approvano da noi leggi d' inciviltà feroce.
Qualche svaporato nostrano dice che i gommoni partono perché ci sono le navi di
soccorso al largo. Sono venti anni che partono zattere a motore imbottite di
umanità spaesata. La prima fu affondata nella Pasqua del ‘97 da una nave
militare italiana che aveva l'ordine d'imporre un abusivo blocco navale in
acque internazionali. Veniva dall'Albania, il suo nome era Kater i Rades. Lo
Stato italiano se la cavò con dei risarcimenti alle famiglie dei circa novanta
annegati. Sono venti anni che viaggiano sul Mediterraneo zattere a motore senza
alcun soccorso. Ora che finalmente esiste una comunità internazionale di pronto
intervento in mare, sarebbe colpa sua se partono i gommoni. Come dire che
esistono le malattie per colpa delle medicine. Se i delfini venissero in aiuto
dei dispersi in mare, questi svaporati li accuserebbero di complicità coi
trafficanti. In verità la loro fandonia intende accusare i soccorritori
d’interrompere il regolare svolgimento del naufragio. Perché siamo e dobbiamo
rimanere contemporanei incalliti del più lungo e massiccio affogamento in mare
della storia umana. (…). …all’alba torniamo a scrutare l'orizzonte dietro le
lenti dei binocoli. Sappiamo che sono partiti di notte da Sabrata. Il mio
compagno di cabina, Firas, di origini siriane, legge su FB messaggi in arabo
dove si scambiano queste notizie. Localizziamo il primo gommone, stracarico,
gli uomini stanno a cavallo dei tubolari, a prua è mezzo sgonfio. Si cala
l’unità veloce che per prima cosa distribuisce giubbotti di salvataggio. Spesso
la vista del soccorso produce una pericolosa agitazione a bordo del gommone. Il
mare è quello piatto di ieri. Firas a prua col megafono mantiene la calma
spiegando le manovre seguenti. Quando tutti hanno indossato il giubbotto, la
Prudence si accosta e aggancia il gommone alla sua fiancata. Da una scaletta di
corda salgono a bordo uno per volta, aiutati da braccia robuste. Alcuni non si
reggono in piedi per la posizione forzata tenuta sul gommone per molte ore.
Salgono donne incinte e due bambini. A ognuno viene dato subito uno zainetto
con una tuta, barrette caloriche, succhi di frutta, acqua, un asciugamano. La
squadra medica fa a ognuno una prima visita. Tre container sul ponte sono
attrezzati a unità ospedaliera, divisa in rianimazione, pronto soccorso,
isolamento per casi infettivi e una piccola sala parto. Se ne occupa Stefano
Geniere Nigra, giovane medico torinese. A bordo della Prudence non si usa il
termine di profughi, migranti e titoli affini. Sono chiamati ospiti. Ricevono
la più urgente ospitalità, quella data a chi arriva dal deserto. Mi affaccio
sul gommone svuotato, il fondo è tenuto insieme da un tavolato sconnesso. Ha
portato centoventinove persone, con un motorino fuoribordo di 40 cavalli. Dalle
sei di mattina fino a sera si raggiungono altri tre gommoni sparsi fuori delle
12 miglia, più un trasbordo da una nave soccorso più piccola che era a limite
di carico. A sera si trovano sistemati seicentoquarantanove ospiti. La Prudence
può contenerne mille, è la più grande unità della zona. La sera si fa rotta su
Reggio Calabria, destinazione assegnata dal comando di Roma. Gli ospiti
finalmente al sicuro, nutriti, riscaldati, iniziano preghiere, canti e ballano
insieme, popoli di terre diverse e lontane tra loro. Sono a bordo, diretti in
Italia. È la sola parte del viaggio che non costa loro nulla. È il solo dono,
l’unico passaggio gratis venuto loro incontro. È anche il migliore trasporto.
Qui sul mare è successo il sottosopra dell'economia: il peggiore trasporto è
costato loro carissimo, il migliore invece niente. Esultano per liberazione. Ho
con me il passaporto. Nessuno di loro ha un documento nè un bagaglio. Il loro
esilio li ha privati del nome, l' identità è che sono vivi e basta. I loro
figli, i loro nipoti vorranno sapere, ritrovare le impossibili piste
attraversate, l’epica leggendaria che oggi è un trafiletto in cronaca, in caso
di strage. “Ennesimo” è l'aggettivo osceno che accompagna il titolo, accanto al
neutrale sostantivo di naufragio. Ennesimo: il cronista è stanco di dover
tenere il conto, alzare il sopracciglio per l’ennesima volta. Sulle rive del
lago Kinneret, chiamato Tiberiade dai conquistatori venuti da Roma, il giovane
fondatore del cristianesimo cercò i primi compagni. Erano di mestiere
pescatori. Al giovane piacevano le metafore. Secondo Matteo (4,19) disse:
“Venite con me, vi farò pescatori di uomini”. Eccomi in un tempo e su una nave
che applica alla lettera l'impulsiva metafora. Sto con persone che si sono
messe a pescare uomini, donne, bambini. Il Mediterraneo è un lago Kinneret
salato e più grande. (…). Domenica mattina di Pasqua la Prudence è in vista del
porto di Reggio Calabria. Troveremo sul molo in un giorno di festa solenne il
dispositivo necessario alla sbarco? Il dubbio si dilegua all'imbocco del porto:
primi si vedono per numero e colore di magliette azzurre i giovani volontari
cattolici che cantano cori di benvenuti. Poi il personale medico al completo, i
funzionari di polizia del servizio immigrazione, i molti autobus per il
trasporto degli sbarcati nelle varie destinazioni. A ognuno che scende lungo la
passerella, i volontari danno un opuscolo in varie lingue che informa su
diritti e procedure, a conferma di quanto già spiegato a bordo. Scendo e ricevo
addirittura il saluto del sindaco venuto al molo con alcuni assessori. Non
riesco a credere: è domenica di Pasqua, ma sono tutti pronti a funzionare con
efficienza, cordialità, rispetto. A Reggio Calabria, mi dicono, è prassi da due
anni. Matthias Kennes mi conferma che anche nel porto di Palermo hanno un
simile spirito di servizio negli sbarchi. Gli uomini e le donne scendono
separatamente. Una di loro si volta intorno smarrita. Una funzionaria di
polizia fa chiedere a un’interprete cosa stia cercando. Si tratta del marito.
La funzionaria lo va a cercare, lo trova e si assicura che la coppia viaggi
insieme. Si può fare: tenere insieme procedure e senso di umanità solidale.
Grazie Reggio. Il mattino dopo si è di nuovo in mare dopo un rifornimento
accelerato. Si va a velocità sostenuta, c'è urgenza in zona. Sono partiti molti
gommoni e sul posto la nave Phoenix del Moas è già carica, con intorno nove
gommoni, cioè mille persone senza acqua né giubbotti salvataggio. Sono tenuti
insieme con qualche corda. Abbiamo davanti almeno trenta ore di navigazione e
mare grosso che ci rallenta. Non potremo arrivare in tempo. Uno dei gommoni
cede e nessuno può farci niente. Questo può spiegare che i trafficanti lanciano
gommoni al largo senza nessun calcolo circa la presenza di soccorsi. La loro
unica condizione è che il mare sia calmo, non per motivi umanitari, ma perché
centocinquanta persone spinte da un motore di 40 cavalli non riescono a
prendere il largo se il mare appena increspa. A bordo della Prudence queste
partenze vengono chiamate lanci, perché scagliati da un lanciatore che rimane a
riva. L’intensità dei lanci di aprile è dovuta alla nostra fornitura di
motovedette nuove alla Guardia Costiera libica, che entreranno in servizio a
maggio. I trafficanti nell’incertezza affrettano tutti i lanci consentiti dalle
condizioni meteo. Il capitano Pietro Catania e il suo equipaggio sono coinvolti
anima e corpo in queste operazioni, perché sono gente di mare. Non badano a
turni né a orari, fanno tutt’uno con la gioventù di Msf. In rotta da Reggio
Calabria la nave incontra maltempo. Veniamo a sapere che è rimasto un gommone,
in attesa fuori delle 12 miglia. Siamo i meno lontani ma comunque arriveremo
troppo tardi. Allora da Lampedusa, che sta parecchio più a sud di noi, la
Guardia Costiera manda due motovedette veloci, che arrivano molto prima e
salvano centoquarantatre persone caricandole a bordo. Ci corrono incontro e le
trasferiscono da noi. I due equipaggi sono partiti così in fretta da Lampedusa,
da non avere caricato neanche il cibo per loro. Sono digiuni, i marinai della
Prudence li riforniscono per il loro viaggio di ritorno. Salgono
centoquarantatre persone intirizzite, una donna all'ottavo mese di gravidanza.
I loro occhi hanno perduto espressione di domanda, di preghiera, di messa a
fuoco. Stanno ancora fissando l'orizzonte vuoto. (…).
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