“(…).
…rispetto ai primitivi, noi oggi disponiamo di una psiche più ampia. Chiamo
psiche l’intervallo tra la pulsione che mi induce all’azione e l’azione. Non
più odio quindi uccido, non più desidero
e quindi stupro, non più voglio e quindi rubo. Ma questo solo a livello
individuale. A livello collettivo quello che è proibito a livello individuale
diventa praticabile a livello di Stati, Nazioni, Religioni perché, in questi
casi, gli individui sono portati a difendere la loro appartenenza, la loro
identità, la loro fede, non personalmente, ma attraverso i governi che eleggono
e che li rappresentano. (…). Le nostre procedure democratiche hanno trasferito
dagli individui alle nazioni e dalle nazioni alle civiltà i sentimenti più
primitivi e bestiali che nel tempo antico albergavano solo nell’animo
dell’individuo. Il risultato è che oggi abbiamo individui abbastanza riflessivi
e Stati o addirittura civiltà scatenate. Gli effetti sono catastrofici e sotto
gli occhi di tutti. (…). Ne concludo che l’individuo, che ha guadagnato la
riflessione capace di dominare la violenza dei sentimenti, è impotente di
fronte alla collettività che, attraverso la retorica ideologica
dell’appartenenza, dell’identità, della civiltà da difendere, scatena la
violenza delle emozioni senza concedere spazio alla riflessione. E questo (…)
attraverso il gioco delle parole (…). L’informazione televisiva fa il resto.
Mescolando le parole e diffondendo il fraintendimento, incanala l’odio individuale
che c’è in ciascuno di noi e lo fa diventare odio collettivo che, a questo
punto, diventa innocente: le forze del bene contro le forze del male. Così
convertita, la nostra coscienza è tranquilla, i mali invece restano
incalcolabili”. Così scriveva il professor Umberto Galimberti nel Suo “L’odio di Stato” pubblicato sul
quotidiano “la Repubblica” del 21 di febbraio dell’anno 2004, che ho appena trascrivo
in parte. Lo “scarto” è tutto lì. Evidente. Lo “scarto” è tra la
pulsione ancestrale, lo spirito animale che ci domina, ed il dominio che di quella
pulsione riusciamo a mettere in atto “un istante prima di…”. A
ripensarci, dopo tanti anni oramai, ritorna vivido alla mia mente il ricordo di
F.R., un mio alunno che a quel tempo mi fu carissimo assai, di quelli dipinti dall’istituzione
come “elementi”
– sì, proprio così definiti e tratteggiati nei profili dei giudizi, “elemento”
come si definiscono nella tavola chimica di Mendeleev - “difficili”, a “rischio”,
ma in verità, ricordo bene ancor’oggi, un adolescente pieno di spirito aperto,
sveglio, bisognevole d’affetto, di aiuto, di quell’aiuto che tante volte
l’istituzione scuola gli negava anche al suo minimo necessario. E fu F.R. che,
in una pausa delle nostre quotidiane attività, ebbe a dirmi, di fronte alla
scolaresca tutta: - Professo’, ma quanta pazienza avete avuto con me! -. Lui
scambiava per pazienza ciò che l’essere educatori ci richiedeva ed imponeva
costantemente e senza misura minima alcuna. È che, anche nella difficile arte
dell’educare, diveniva necessario la riduzione di quello “scarto” poiché le nostre
stesse pulsioni primordiali abbisognavano d’essere costantemente individuate,
imbrigliate, domate ed incanalate per quelle vie trasversali per le quali
giungere dolcemente e diritti all’animo ed alla mente di chi ci era stato
affidato dalla sorte. Ed è alla difficile conquista ed assimilazione profonda dell’imperativo
“un
istante prima di..”, conquista ed assimilazione profonda con intransigenza imposte prima di
tutto a noi stessi, a me stesso, che ispiravo la mia azione educativa,
uniformavo la mia prassi quotidiana, affinché dalla conquista di quella
consapevolezza e da quell’esercizio derivassero poi, nei miei giovanissimi alunni,
delle persone nuove, persone nuove che fossero capaci per l’appunto di fermarsi,
dinanzi al baratro di quello “scarto”
individuato e segnalato dal sopracitato dotto Autore. È che allora mi
sorreggeva, come non mai, l’intima convinzione che per quella via passasse
anche la possibilità di costruire nel Paese una democrazia che fosse più compiuta,
una democrazia che, con un’aggettivazione che mi è molto cara, definirei senza
mezzi termini “resistenziale”.
Poiché ero convinto, allora come oggi, che i tiranni, i furbi, i despoti di tutti i tempi e di tutte le latitudini cerchino sempre di far sì che quello “scarto”, tra la pulsione e l’azione cosciente e riflessiva, divenga sempre più largo, profondo, un baratro, per fare affiorare e passare attraverso di esso le paure che albergano nel profondo delle nostre menti, affinché da quelle paure, convenientemente aizzate, si abbia ad invocare prepotentemente la “discesa in campo” di un “egoarca” di turno, di qualsivoglia coloritura, ma che sappia bene districarsi in quello “scarto” che madre natura predispone per altri fini, per blandirne le coscienze, per impedirne l’azione responsabile, per rendere vana l’azione di arresto “un istante prima di..”, azione che deve in verità essere sempre allertata e resa vigile, per come mi impegnavo a fare con F.R. ed i suoi compagni di classe, affinché F.R. e tutti gli altri ancora, divenuti cittadini, non avessero a cedere stretti nelle mortali spire della demagogia. Della “demagogia” ne ha scritto dottamente il professor Maurizio Viroli su “il Fatto Quotidiano” col titolo “Demagogia, l’arte di adulare”, in occasione della pubblicazione del volume “L’eterno demagogo” - per i tipi Aragno - del ricercatore Andrea Bocchi. Di seguito ne trascrivo ampie parti. (…). …il demagogo è il frutto velenoso della democrazia, il segno più evidente della sua corruzione o patologia. Nasce infatti, e prospera – come ricordano Aristotele e i commentatori medievali – dove il popolo è sovrano e si riunisce in assemblea per deliberare delle leggi e dei magistrati. E proprio nell’assemblea gli uomini che sanno parlare con efficacia persuasiva riescono a diventare guide, portavoce e capi del popolo. Li aiuta una voce non tonante, ma accattivante, e la capacità ipnotica. La loro tecnica di persuasione è l’ adulazione: ‘l’adulatore magnifica il merito di qualcuno per essergli gradito e per esserne onorato. E poiché in questo tipo di governo vi sono alcuni che parlano del gran merito del popolo, quando affermano che tutto deve essere riportato al popolo, e che tutti sono uguali, ecco che in questo governo gli adulatori, cioè i capipopolo, sono onorati e apprezzati. E il popolo che così governa è come i tiranni nelle monarchie assolute’ (p. 68) Con le sue arti, il demagogo concentra nelle sue mani un potere immenso. Per questa ragione, ci spiega Bocchi, il demagogo è stato sempre giudicato una figura eversiva e guardato con sospetto. Eversivo, ma non necessariamente illegittimo. Fonte del suo potere è infatti il popolo, e in democrazia il popolo è sovrano legittimo. Ma è altrettanto vero che il popolo adulato, eccitato e sedotto dà al demagogo un potere che lo rende più forte delle leggi e vero signore della città. Due sono i principali ostacoli che si oppongono all’ascesa e al trionfo del demagogo: le leggi e i cittadini migliori: ‘in quelle città in cui vige la democrazia nel rispetto della legge, lì non ha spazio il demagogo, perché in esse la legge governa in ogni aspetto; e in esse sono i migliori cittadini ad essere collocati nelle posizioni di rilievo, e non vi è alcun bisogno del demagogo’ (p. 61). Quando invece in una democrazia sono i peggiori (in senso morale e nel senso di incompetenti) a governare, e le leggi sono calpestate, allora il demagogo ha buon gioco ad affermarsi dicendo al popolo che è tempo di affermare tutto il proprio potere e cacciare gli incapaci dal governo. Oltre ad attaccare le leggi e i migliori cittadini, il demagogo incoraggia il popolo a vivere secondo il suo arbitrio e seguendo le sue passioni: ‘gli espedienti cui fanno ricorso i tiranni sembrano tutti democratici: valga l’esempio della licenza accordata agli schiavi – scriveva Aristotele – alle donne e ai bambini, e la concessione di vivere ognuno come vuole; una siffatta costituzione avrà molti appoggi, perché i più preferiscono vivere disordinatamente che saggiamente’ (p. 79). Abituato a vivere senza regole e senza doveri, il popolo non critica i comportamenti sfrenati del demagogo, anzi, li ammira, e rivolge il suo odio verso coloro che proclamano che le vera vita da cittadini è vita secondo saggezza. (…). …Adam Smith, nel saggio sulla natura e sulle cause della ricchezza delle nazioni, spiegava che più gli strati inferiori del popolo sono educati, meno sono soggetti alle delusioni dell’entusiasmo e della superstizione che portano, nelle nazioni ignoranti, ai peggiori disordini. (…).”
Poiché ero convinto, allora come oggi, che i tiranni, i furbi, i despoti di tutti i tempi e di tutte le latitudini cerchino sempre di far sì che quello “scarto”, tra la pulsione e l’azione cosciente e riflessiva, divenga sempre più largo, profondo, un baratro, per fare affiorare e passare attraverso di esso le paure che albergano nel profondo delle nostre menti, affinché da quelle paure, convenientemente aizzate, si abbia ad invocare prepotentemente la “discesa in campo” di un “egoarca” di turno, di qualsivoglia coloritura, ma che sappia bene districarsi in quello “scarto” che madre natura predispone per altri fini, per blandirne le coscienze, per impedirne l’azione responsabile, per rendere vana l’azione di arresto “un istante prima di..”, azione che deve in verità essere sempre allertata e resa vigile, per come mi impegnavo a fare con F.R. ed i suoi compagni di classe, affinché F.R. e tutti gli altri ancora, divenuti cittadini, non avessero a cedere stretti nelle mortali spire della demagogia. Della “demagogia” ne ha scritto dottamente il professor Maurizio Viroli su “il Fatto Quotidiano” col titolo “Demagogia, l’arte di adulare”, in occasione della pubblicazione del volume “L’eterno demagogo” - per i tipi Aragno - del ricercatore Andrea Bocchi. Di seguito ne trascrivo ampie parti. (…). …il demagogo è il frutto velenoso della democrazia, il segno più evidente della sua corruzione o patologia. Nasce infatti, e prospera – come ricordano Aristotele e i commentatori medievali – dove il popolo è sovrano e si riunisce in assemblea per deliberare delle leggi e dei magistrati. E proprio nell’assemblea gli uomini che sanno parlare con efficacia persuasiva riescono a diventare guide, portavoce e capi del popolo. Li aiuta una voce non tonante, ma accattivante, e la capacità ipnotica. La loro tecnica di persuasione è l’ adulazione: ‘l’adulatore magnifica il merito di qualcuno per essergli gradito e per esserne onorato. E poiché in questo tipo di governo vi sono alcuni che parlano del gran merito del popolo, quando affermano che tutto deve essere riportato al popolo, e che tutti sono uguali, ecco che in questo governo gli adulatori, cioè i capipopolo, sono onorati e apprezzati. E il popolo che così governa è come i tiranni nelle monarchie assolute’ (p. 68) Con le sue arti, il demagogo concentra nelle sue mani un potere immenso. Per questa ragione, ci spiega Bocchi, il demagogo è stato sempre giudicato una figura eversiva e guardato con sospetto. Eversivo, ma non necessariamente illegittimo. Fonte del suo potere è infatti il popolo, e in democrazia il popolo è sovrano legittimo. Ma è altrettanto vero che il popolo adulato, eccitato e sedotto dà al demagogo un potere che lo rende più forte delle leggi e vero signore della città. Due sono i principali ostacoli che si oppongono all’ascesa e al trionfo del demagogo: le leggi e i cittadini migliori: ‘in quelle città in cui vige la democrazia nel rispetto della legge, lì non ha spazio il demagogo, perché in esse la legge governa in ogni aspetto; e in esse sono i migliori cittadini ad essere collocati nelle posizioni di rilievo, e non vi è alcun bisogno del demagogo’ (p. 61). Quando invece in una democrazia sono i peggiori (in senso morale e nel senso di incompetenti) a governare, e le leggi sono calpestate, allora il demagogo ha buon gioco ad affermarsi dicendo al popolo che è tempo di affermare tutto il proprio potere e cacciare gli incapaci dal governo. Oltre ad attaccare le leggi e i migliori cittadini, il demagogo incoraggia il popolo a vivere secondo il suo arbitrio e seguendo le sue passioni: ‘gli espedienti cui fanno ricorso i tiranni sembrano tutti democratici: valga l’esempio della licenza accordata agli schiavi – scriveva Aristotele – alle donne e ai bambini, e la concessione di vivere ognuno come vuole; una siffatta costituzione avrà molti appoggi, perché i più preferiscono vivere disordinatamente che saggiamente’ (p. 79). Abituato a vivere senza regole e senza doveri, il popolo non critica i comportamenti sfrenati del demagogo, anzi, li ammira, e rivolge il suo odio verso coloro che proclamano che le vera vita da cittadini è vita secondo saggezza. (…). …Adam Smith, nel saggio sulla natura e sulle cause della ricchezza delle nazioni, spiegava che più gli strati inferiori del popolo sono educati, meno sono soggetti alle delusioni dell’entusiasmo e della superstizione che portano, nelle nazioni ignoranti, ai peggiori disordini. (…).”
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