Questa “sfogliatura” è del
giovedì 4 di agosto dell’anno 2011. Vi si riporta, in essa, una riflessione di
quel “grande vecchio” che è stato Alfredo Reichlin, recentemente scomparso, riflessione
che risale al 3 di agosto dell’anno 2010. E l’incipit della parte trascritta della
stessa, in fatto di una “diversità politica” che al tempo si
invocava per fronteggiare il malessere sociale crescente, non poteva che essere:
“Chi
comanda?”. E il dispiegarsi poi, sempre lucidissimo nella Sua
riflessione, sugli immensi problemi che allora, come oggigiorno, affliggono le
nostre derelitte società. Invocava quel “grande vecchio” una “diversità
politica” delle forze della “sinistra”, una “diversità politica” colpevolmente
venuta meno per l’ignavia delle classi dirigenti di essa, una “diversità
politica” che avrebbe dovuto indirizzare efficacemente le lotte e le
azioni per fronteggiare il “male oscuro” della globalizzazione incalzante. Così
non è stato. Ha scritto Curzio Maltese in “I
lupi del mondo e gli agnelli della sinistra”, pubblicato sul settimanale “il
Venerdì di Repubblica” del 28 di aprile 2017: (…). Nel sentimento popolare
ormai la sinistra è identificata con macchiette di pseudo intellettuali da
salotto che ingaggiano furibonde battaglie ideologiche con grezzi antagonisti
di destra su temi rispettabili ma storicamente non essenziali nella storia
delle lotte operaie, come l’animalismo, i matrimoni gay, i prodotti a
chilometri zero e il linguaggio politicamente corretto. Argomenti che hanno il
vantaggio di non provocare alcun conflitto con gli interessi del
neocapitalismo. Nessuno di loro ha un amico povero o sfigato e se ne compare
uno, quello è invariabilmente reazionario.
Sono i personaggi “di sinistra che
compaiono nel cinema italiano, da Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese ai
film di Luca Medici, in arte Checco Zalone (“Li hai visti? Il letto basso,
l’ippoterapia, il cibo vegano: questi so’ comunisti”). Per mancanza di
fantasia, nelle sceneggiature non è ancora comparsa un’altra diffusa
macchietta, il tipetto azzimato della sinistra “moderna” che dice soltanto cose
di destra, esalta le privatizzazioni, si eccita parlando di competizione e
tecnologia 4.0, ripete che non esistono pasti gratis e metterebbe in sezione il
poster di Marchionne invece del vecchio ritratto di Gramsci. Anni fa, in pieno
berlusconismo trionfante, Ezio Mauro scrisse che alla sinistra occorreva un
papa straniero, una metafora per dire uno cresciuto fuori dalle stanze del
partito. Oggi il papa straniero di sinistra è arrivato in carne e ossa ed è
l’unico a parlare ancora di fratellanza e giustizia sociale, povertà di massa,
sfruttamento dei lavoratori, guerra alla guerra, solidarietà internazionale. Ma
l’hanno eletto i cardinali del Vaticano e non un’assemblea di sinistra. Prima o
poi, per le leggi della storia, avanzerà un cavaliere libero anche nelle
praterie della politica per ridare voce a chi l’ha persa da troppi anni. Non
sarà difficile riconoscerlo perché non assomiglierà a nessuno di quelli che
vediamo tutte le sere in televisione. Riporto quanto veniva allora scrivendo
Alfredo Reichlin: “(…). Stiamo attenti, perché il problema che sta ormai venendo in
discussione è se globalizzazione economica, democrazia politica e diritti delle
persone siano conciliabili tra loro. (…). Il fatto a cui noi stiamo assistendo
è una sorta di fallimento delle attuali classi dirigenti, una schiera di capi
politici che in Europa come in America «appaiono incapaci di gestire gli
immensi debiti accumulati e brancolano come ubriachi sul ciglio dell’insolvenza»
(è il giudizio del Financial Times). Ma io non credo che si tratti solo della
pochezza degli uomini. Si sta sfarinando la concreta architettura con cui è
stato finora guidato il processo della globalizzazione. (…). Nella sostanza il
mondo comincia solo ora a misurare il costo enorme e il carattere catastrofico
della decisione presa dalla destra angloamericana negli anni ‘70, cioè quella
di consentire ai capitali di circolare interamente senza alcun condizionamento
politico e sociale, e obbedendo solo alle logiche del mercato finanziario. È
avvenuta così una trasformazione genetica della finanza: da infrastruttura
funzionale all’economia reale a industria in sé. Questa è stata la vera novità:
il denaro fatto sempre più con il denaro. La sovranità, cioè quel potere dei
poteri per cui spettava solo agli Stati battere moneta, è passata in larga
parte nelle mani di una oligarchia privata. Conseguenza: un’alluvione di titoli
e strumenti finanziari fasulli dietro i quali non c’è niente. E quindi debiti,
e quindi rendite che gravano sul lavoro e sulla ricchezza reale, e quindi
sempre più consumi privati al posto dei beni pubblici. E quindi i ricchi che
diventano più ricchi e i poveri che devono rinunciare alla protezione sociale.
Si è consumata così anche l’egemonia americana. Obama tre anni fa ha salvato le
grandi banche con un mare di denaro pubblico. Adesso, per evitare il crack del
bilancio, ha chiesto ai ricchi un po’ di tasse per salvare qualcosa della spesa
sociale. Gli hanno risposto di no. L’America sembra meno in grado di svolgere
quindi quel ruolo di stabilizzatore dell’economia mondiale che aveva svolto
finora. (…)”. Così ha scritto sul
quotidiano l’Unità Alfredo Reichlin, in un pezzo che ha per titolo “La diversità politica”. Stiamo ancora
a leccarci le ferite a seguito degli ultimi tracolli in “borsa”. È che, a soffrire dei tracolli della “borsa”, in verità sono in pochi rispetto alla moltitudine; perdono
quelli che hanno giocato al rischio, mentre gli altri non hanno da perdere che
l’essenziale, per una vita che si possa definire decente. Sembrava che
l’accordo stretto dall’altra parte dell’oceano potesse tagliare le ali alla
speculazione finanziaria che è divenuta potente assai soppiantando l’economia
della produzione e dei consumi. È una durissima lezione per tutti. Solo i più
sprovveduti avranno pensato, all’epoca, che l’elezione del Presidente “abbronzato” avrebbe ricondotto alla
ragione la speculazione finanziaria, avrebbe ridato spazio e voce alle
moltitudini emarginate e prive, in quel paese, di uno stato sociale che
garantisca diritti inalienabili per una società che si definisca moderna e
progredita. L’illusione ha avuto il tempo contato; il mostro moderno
rappresentato dai “mercati”,
rappresentati dai media come entità astratte e misteriose, hanno impiegato ben
poco a dettare le loro condizioni che sono di un arretramento sostanziale in
fatto di tenuta dello stato sociale nell’occidente e di un arretramento delle
condizioni di vita di milioni e milioni di esseri umani, la esistenza economica
dei quali viene fatta prepotentemente e con incredibile miopia fatta arretrare
a livello dei paesi emergenti. Per non dire poi delle migliaia e migliaia di
giovani che si vedono privati del sogno di un futuro migliore e più ricco di
quello dei padri. È una condizione nuova all’interno della quale riesce
difficile trovare soluzioni giuste se non le solite manovre che colpiscono
indiscriminatamente i ceti sociali medi, che hanno rappresentato la riserva di
caccia del consumismo più sfrenato, ricacciando quei ceti in fasce sociali più
disagiate e negando in tal modo l’obiettivo proclamato di un rilancio della
famosa “domanda” di consumi ma non di benessere. Nei giorni
trascorsi (1 di agosto 2011) un’attenta analisi della situazione di crisi e delle
prospettive planetarie per uscirne era stata condotta da Furio Colombo su “il
Fatto Quotidiano” col titolo “Lo Stato
senza la carta di credito”, che di seguito trascrivo in parte: (…).
La destra americana è riuscita a diffondere nella parte di mondo occidentale
ancora asserragliata nella residua zona benessere la persuasione che vi siano
due mondi distinti. In uno abita lo Stato, la sua burocrazia, i suoi tribunali,
i suoi ospedali, le sue scuole, i suoi poveri, la sua affaticata e ansiosa
classe media. Nell’altra cavalca la libera impresa, che intende versare sempre
meno al mondo dello Stato, anzi esige che sia un mondo separato e chiuso. Le
risorse che lo Stato ha ancora (o ha malamente speso) guerre o non guerre, non
saranno mai più aumentate, semmai decurtate, perché ci sarà il vincolo
costituzionale: vietato fare debiti. Lo Stato perde la carta di credito. Tutto
ciò che è bene e che genera benefici è privato, ed è giusto che i privati se lo
godano. Per privati si intende ricchi. Infatti tutti gli altri si troveranno
senza carta di credito come lo Stato. (…). È un progetto che porta verso Haiti
piuttosto che verso il rifiorire di una vasta economia fondata sul credito e
sulle classi medie, ovvero il mondo nato dal New Deal di Roosevelt, dalla ricostruzione
laburista dell’Inghilterra del dopoguerra, dall’Europa del piano Marshall. (…).
I nuovi estremisti Repubblicani, che non hanno più alcuna relazione con il
Partito repubblicano di Eisenhower e Rockefeller, vogliono stroncare ogni
politica sociale (togliere la carta di credito allo Stato). E nessuno sembra
essersi accorto (…) che togliere la carta di credito allo Stato per impedirgli
di tutelare i cittadini più deboli, vuol dire anche bloccare il credito ai
cittadini che non possono pagare subito in qualunque campo, dalla scuola ai
beni di consumo. Se Obama vince, dovremo essere grati all’America, perché avrà
salvato gli standard minimi di vita civile anche in Europa. Se ha la meglio la
destra americana ispirata dal fanatismo del Tea Party, prepariamoci a una
regressione difficile da immaginare tra avere e non avere, tra ricchi in
controllo di tutto e poveri senza diritti, che si compirà in poco tempo e farà
tornare l’ex classe media alla prigione per debiti dei tempi di Dickens. Tutto
ciò vi sembra esagerato? (…). Quando siamo cresciuti come abbiamo fatto?
Abbiamo lavorato. Un Paese con un debito come il nostro e con un ritmo di
crescita così basso può chiudere il venerdì sera e riaprire il lunedì? Di
Vittorio, nel piano lavoro della Cgil propose più lavoro anche a parità di
salario, se gli altri avessero fatto la loro parte. Gli altri la loro parte la
stanno facendo, cominciando con il tentare di stroncare l’economia pubblica
degli Stati Uniti, in modo che il panico si diffonda e si possano dettare da capo
le condizioni, i ricchi sempre più ricchi e sempre più esenti; il lavoro a
condizioni imposte e non più negoziate; il non lavoro per masse abbandonate,
senza reddito e senza costo. Sta nascendo un mondo semplice e crudele, ormai
tante volte esaltato dal Tea Party americano, ma già capace di contagiare il
resto del mondo. La destra europea manda avanti i mercati affinché la
distruzione preceda le leggi di austerità e di taglio continuo di risorse e di
aiuti per i poveri e la classe media. Quei tagli dovranno seguire e apparire
necessari. Il ricordo nostalgico dei tempi in cui un filo di solidarietà e di
propositi comuni accostava i cittadini purtroppo non ci aiuta. Non ve n’è più
alcuna traccia. E non c’è partito che possa o che voglia o che sappia riprendere
quel filo.
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