"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 7 maggio 2017

Sfogliature. 78 “I lupi del mondo e gli agnelli della sinistra”.



Questa “sfogliatura” è del giovedì 4 di agosto dell’anno 2011. Vi si riporta, in essa, una riflessione di quel “grande vecchio” che è stato Alfredo Reichlin, recentemente scomparso, riflessione che risale al 3 di agosto dell’anno 2010. E l’incipit della parte trascritta della stessa, in fatto di una “diversità politica” che al tempo si invocava per fronteggiare il malessere sociale crescente, non poteva che essere: “Chi comanda?”. E il dispiegarsi poi, sempre lucidissimo nella Sua riflessione, sugli immensi problemi che allora, come oggigiorno, affliggono le nostre derelitte società. Invocava quel “grande vecchio” una “diversità politica” delle forze della “sinistra”, una “diversità politica” colpevolmente venuta meno per l’ignavia delle classi dirigenti di essa, una “diversità politica” che avrebbe dovuto indirizzare efficacemente le lotte e le azioni per fronteggiare il “male oscuro” della globalizzazione incalzante. Così non è stato. Ha scritto Curzio Maltese in “I lupi del mondo e gli agnelli della sinistra”, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 28 di aprile 2017: (…). Nel sentimento popolare ormai la sinistra è identificata con macchiette di pseudo intellettuali da salotto che ingaggiano furibonde battaglie ideologiche con grezzi antagonisti di destra su temi rispettabili ma storicamente non essenziali nella storia delle lotte operaie, come l’animalismo, i matrimoni gay, i prodotti a chilometri zero e il linguaggio politicamente corretto. Argomenti che hanno il vantaggio di non provocare alcun conflitto con gli interessi del neocapitalismo. Nessuno di loro ha un amico povero o sfigato e se ne compare uno, quello è invariabilmente reazionario.
Sono i personaggi “di sinistra che compaiono nel cinema italiano, da Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese ai film di Luca Medici, in arte Checco Zalone (“Li hai visti? Il letto basso, l’ippoterapia, il cibo vegano: questi so’ comunisti”). Per mancanza di fantasia, nelle sceneggiature non è ancora comparsa un’altra diffusa macchietta, il tipetto azzimato della sinistra “moderna” che dice soltanto cose di destra, esalta le privatizzazioni, si eccita parlando di competizione e tecnologia 4.0, ripete che non esistono pasti gratis e metterebbe in sezione il poster di Marchionne invece del vecchio ritratto di Gramsci. Anni fa, in pieno berlusconismo trionfante, Ezio Mauro scrisse che alla sinistra occorreva un papa straniero, una metafora per dire uno cresciuto fuori dalle stanze del partito. Oggi il papa straniero di sinistra è arrivato in carne e ossa ed è l’unico a parlare ancora di fratellanza e giustizia sociale, povertà di massa, sfruttamento dei lavoratori, guerra alla guerra, solidarietà internazionale. Ma l’hanno eletto i cardinali del Vaticano e non un’assemblea di sinistra. Prima o poi, per le leggi della storia, avanzerà un cavaliere libero anche nelle praterie della politica per ridare voce a chi l’ha persa da troppi anni. Non sarà difficile riconoscerlo perché non assomiglierà a nessuno di quelli che vediamo tutte le sere in televisione. Riporto quanto veniva allora scrivendo Alfredo Reichlin: “(…). Stiamo attenti, perché il problema che sta ormai venendo in discussione è se globalizzazione economica, democrazia politica e diritti delle persone siano conciliabili tra loro. (…). Il fatto a cui noi stiamo assistendo è una sorta di fallimento delle attuali classi dirigenti, una schiera di capi politici che in Europa come in America «appaiono incapaci di gestire gli immensi debiti accumulati e brancolano come ubriachi sul ciglio dell’insolvenza» (è il giudizio del Financial Times). Ma io non credo che si tratti solo della pochezza degli uomini. Si sta sfarinando la concreta architettura con cui è stato finora guidato il processo della globalizzazione. (…). Nella sostanza il mondo comincia solo ora a misurare il costo enorme e il carattere catastrofico della decisione presa dalla destra angloamericana negli anni ‘70, cioè quella di consentire ai capitali di circolare interamente senza alcun condizionamento politico e sociale, e obbedendo solo alle logiche del mercato finanziario. È avvenuta così una trasformazione genetica della finanza: da infrastruttura funzionale all’economia reale a industria in sé. Questa è stata la vera novità: il denaro fatto sempre più con il denaro. La sovranità, cioè quel potere dei poteri per cui spettava solo agli Stati battere moneta, è passata in larga parte nelle mani di una oligarchia privata. Conseguenza: un’alluvione di titoli e strumenti finanziari fasulli dietro i quali non c’è niente. E quindi debiti, e quindi rendite che gravano sul lavoro e sulla ricchezza reale, e quindi sempre più consumi privati al posto dei beni pubblici. E quindi i ricchi che diventano più ricchi e i poveri che devono rinunciare alla protezione sociale. Si è consumata così anche l’egemonia americana. Obama tre anni fa ha salvato le grandi banche con un mare di denaro pubblico. Adesso, per evitare il crack del bilancio, ha chiesto ai ricchi un po’ di tasse per salvare qualcosa della spesa sociale. Gli hanno risposto di no. L’America sembra meno in grado di svolgere quindi quel ruolo di stabilizzatore dell’economia mondiale che aveva svolto finora. (…)”. Così ha scritto sul quotidiano l’Unità Alfredo Reichlin, in un pezzo che ha per titolo “La diversità politica”. Stiamo ancora a leccarci le ferite a seguito degli ultimi tracolli in “borsa”. È che, a soffrire dei tracolli della “borsa”, in verità sono in pochi rispetto alla moltitudine; perdono quelli che hanno giocato al rischio, mentre gli altri non hanno da perdere che l’essenziale, per una vita che si possa definire decente. Sembrava che l’accordo stretto dall’altra parte dell’oceano potesse tagliare le ali alla speculazione finanziaria che è divenuta potente assai soppiantando l’economia della produzione e dei consumi. È una durissima lezione per tutti. Solo i più sprovveduti avranno pensato, all’epoca, che l’elezione del Presidente “abbronzato” avrebbe ricondotto alla ragione la speculazione finanziaria, avrebbe ridato spazio e voce alle moltitudini emarginate e prive, in quel paese, di uno stato sociale che garantisca diritti inalienabili per una società che si definisca moderna e progredita. L’illusione ha avuto il tempo contato; il mostro moderno rappresentato dai “mercati”, rappresentati dai media come entità astratte e misteriose, hanno impiegato ben poco a dettare le loro condizioni che sono di un arretramento sostanziale in fatto di tenuta dello stato sociale nell’occidente e di un arretramento delle condizioni di vita di milioni e milioni di esseri umani, la esistenza economica dei quali viene fatta prepotentemente e con incredibile miopia fatta arretrare a livello dei paesi emergenti. Per non dire poi delle migliaia e migliaia di giovani che si vedono privati del sogno di un futuro migliore e più ricco di quello dei padri. È una condizione nuova all’interno della quale riesce difficile trovare soluzioni giuste se non le solite manovre che colpiscono indiscriminatamente i ceti sociali medi, che hanno rappresentato la riserva di caccia del consumismo più sfrenato, ricacciando quei ceti in fasce sociali più disagiate e negando in tal modo l’obiettivo proclamato di un rilancio della famosa “domanda”  di consumi ma non di benessere. Nei giorni trascorsi (1 di agosto 2011) un’attenta analisi della situazione di crisi e delle prospettive planetarie per uscirne era stata condotta da Furio Colombo su “il Fatto Quotidiano” col titolo “Lo Stato senza la carta di credito”, che di seguito trascrivo in parte: (…). La destra americana è riuscita a diffondere nella parte di mondo occidentale ancora asserragliata nella residua zona benessere la persuasione che vi siano due mondi distinti. In uno abita lo Stato, la sua burocrazia, i suoi tribunali, i suoi ospedali, le sue scuole, i suoi poveri, la sua affaticata e ansiosa classe media. Nell’altra cavalca la libera impresa, che intende versare sempre meno al mondo dello Stato, anzi esige che sia un mondo separato e chiuso. Le risorse che lo Stato ha ancora (o ha malamente speso) guerre o non guerre, non saranno mai più aumentate, semmai decurtate, perché ci sarà il vincolo costituzionale: vietato fare debiti. Lo Stato perde la carta di credito. Tutto ciò che è bene e che genera benefici è privato, ed è giusto che i privati se lo godano. Per privati si intende ricchi. Infatti tutti gli altri si troveranno senza carta di credito come lo Stato. (…). È un progetto che porta verso Haiti piuttosto che verso il rifiorire di una vasta economia fondata sul credito e sulle classi medie, ovvero il mondo nato dal New Deal di Roosevelt, dalla ricostruzione laburista dell’Inghilterra del dopoguerra, dall’Europa del piano Marshall. (…). I nuovi estremisti Repubblicani, che non hanno più alcuna relazione con il Partito repubblicano di Eisenhower e Rockefeller, vogliono stroncare ogni politica sociale (togliere la carta di credito allo Stato). E nessuno sembra essersi accorto (…) che togliere la carta di credito allo Stato per impedirgli di tutelare i cittadini più deboli, vuol dire anche bloccare il credito ai cittadini che non possono pagare subito in qualunque campo, dalla scuola ai beni di consumo. Se Obama vince, dovremo essere grati all’America, perché avrà salvato gli standard minimi di vita civile anche in Europa. Se ha la meglio la destra americana ispirata dal fanatismo del Tea Party, prepariamoci a una regressione difficile da immaginare tra avere e non avere, tra ricchi in controllo di tutto e poveri senza diritti, che si compirà in poco tempo e farà tornare l’ex classe media alla prigione per debiti dei tempi di Dickens. Tutto ciò vi sembra esagerato? (…). Quando siamo cresciuti come abbiamo fatto? Abbiamo lavorato. Un Paese con un debito come il nostro e con un ritmo di crescita così basso può chiudere il venerdì sera e riaprire il lunedì? Di Vittorio, nel piano lavoro della Cgil propose più lavoro anche a parità di salario, se gli altri avessero fatto la loro parte. Gli altri la loro parte la stanno facendo, cominciando con il tentare di stroncare l’economia pubblica degli Stati Uniti, in modo che il panico si diffonda e si possano dettare da capo le condizioni, i ricchi sempre più ricchi e sempre più esenti; il lavoro a condizioni imposte e non più negoziate; il non lavoro per masse abbandonate, senza reddito e senza costo. Sta nascendo un mondo semplice e crudele, ormai tante volte esaltato dal Tea Party americano, ma già capace di contagiare il resto del mondo. La destra europea manda avanti i mercati affinché la distruzione preceda le leggi di austerità e di taglio continuo di risorse e di aiuti per i poveri e la classe media. Quei tagli dovranno seguire e apparire necessari. Il ricordo nostalgico dei tempi in cui un filo di solidarietà e di propositi comuni accostava i cittadini purtroppo non ci aiuta. Non ve n’è più alcuna traccia. E non c’è partito che possa o che voglia o che sappia riprendere quel filo.

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