"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 8 dicembre 2016

Scriptamanent. 55 “Il primato dell’etica pubblica”.



Da “Il primato dell’etica pubblica” di Stefano Rodotà, sul quotidiano la Repubblica dell’8 di dicembre dell’anno 2014: (…). La verità è che, malgrado le molte parole, in cima all’agenda politica non vi è mai stata la questione della legalità, intesa nel suo significato più ampio, come obbligo delle istituzioni pubbliche di spezzare i tanti “mostruosi connubi” che via via si manifestavano davanti ai nostri occhi, in una inarrestabile deriva: tra politica e amministrazione e poi tra politica e criminalità, cementati da una corruzione divenuta capillare, regola non scritta sull’uso delle risorse pubbliche, di cui troppi ritenevano ormai di potersi impunemente appropriare. Tra le istituzioni solo la magistratura ha preso sul serio l’adempimento di quell’obbligo, (…). Ma questa memoria è accompagnata dal ricordo della insofferenza di troppa parte di un ceto politico che ha giudicato illegittima interferenza molti, sacrosanti interventi dei giudici a tutela della legalità. È giusto individuare le competenze proprie della politica e quelle della magistratura. E la strada è segnata dall’articolo 54 della Costituzione, al quale sarebbe il caso di dare un’occhiata (…). All’inizio di questo articolo si stabilisce l’obbligo dei cittadini di rispettare la Costituzione e le leggi. Subito dopo si aggiunge che «i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore». L’indicazione non potrebbe essere più chiara. Chi svolge funzioni pubbliche, dunque i politici in primo luogo, non possono limitarsi al rispetto formale della legalità. Ad essi è richiesto qualcosa di più — il rispetto dell’etica pubblica. Un principio che in questi anni è stato sostanzialmente cancellato. Di fronte a comportamenti anche gravemente censurabili si è rifiutato ogni intervento dicendo “non vi è reato”. E, quando si era di fronte ad indagini, rinvii a giudizio, addirittura a condanne in primo grado, si è rifiutato di prendere atto che si era in presenza di violazioni della legge penale e si è rinviata qualsiasi sanzione politica al momento, lontano anni, della sentenza definitiva passata in giudicato. Così la politica ha azzerato la propria responsabilità, usando anche le lentezze della magistratura per legittimare questo suo abbandono. I risultati sono davanti ai nostri occhi. (…). Assistiamo ad una continua guerriglia parlamentare contro la magistratura, con il pretesto di voler accrescere le garanzie delle persone e con l’obiettivo di limitarne l’autonomia, con strumenti che rivelano soltanto l’abissale assenza di una vera cultura della giurisdizione. Ai provvedimenti contro la corruzione non si dà la priorità aggressiva riconosciuta ad altre leggi con voti di fiducia e vincolanti “cronoprogrammi”. Situazione ormai intollerabile e pericolosa, poiché la realtà conclamata (…), testimonia di una drammatica distruzione della moralità pubblica e di pesanti danni alla stessa economia. Lo “schifo” (…) imporrebbe che questi temi siano seriamente collocati in cima all’agenda politica. Parlando di responsabilità dei politici, non possiamo riferirci soltanto a chi ha commesso reati o ha violato il principio della “disciplina ed onore” nell’esercizio delle sue funzioni. Oggi la vera responsabilità politica riguarda persone e partiti che sono di fronte all’obbligo di sciogliere i nodi che, negli anni, sono divenuti sempre più stringenti e che nascono dall’obbedienza alla logica della clientela e dell’affarismo, dalla permeabilità di strutture chiuse e oligarchiche rispetto alle organizzazioni criminali.
Da anni sappiamo che vi sono poteri criminali che governano territori estesi quanto regioni e che, (…), si impadroniscono di aree sempre più larghe. Ma non sono soltanto i territori fisici ad essere occupati. Proprio il caso romano è la conferma eclatante dell’occupazione del territorio istituzionale. Stiamo davvero correndo il rischio che la presenza pubblica e la legalità vengano ricacciate in territori sempre più ristretti. Non trascuriamo il fatto che le nuove regole sul lavoro, dov’è evidente una cessione di sovranità a favore dell’impresa, non siano state accompagnate da alcuna attenzione concreta per le nuove schiavitù di chi raccoglie arance o pomodori. Capisco che la volontà di promuovere un ottimismo forzato portino il presidente del Consiglio (oggi ex presidente del consiglio n.d.r.) a frequentare solo quelle che gli appaiono, e sono, allettanti vetrine. Ma ogni tanto si conceda una deviazione e, magari con il ministro del Lavoro, vada con seguito di telecamere e alluvione di tweet a Castel Volturno o a Rosarno, e manifesti schifo per gli abusi sessuali di cui sono vittime le lavoratrici rumene a Ragusa. Anche questa è legalità, anche questa è lotta alla corruzione, anche queste sono mosse indispensabili per ricostruire una moralità civile che ha bisogno di tornare a fondarsi su dignità e solidarietà. È un’amara consolazione il poter constatare che le vicende che oggi indignano appartengono a un già detto, ad analisi di cause note accompagnate da indicazioni dei possibili rimedi. A tutto questo non si è dato ascolto, dicendo che bisogna rifuggire dal moralismo e che la politica è un’altra cosa. Davvero un’altra cosa — quella che oggi viene drammaticamente rivelata.

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