Da “Il
primato dell’etica pubblica” di Stefano Rodotà, sul quotidiano la
Repubblica dell’8 di dicembre dell’anno 2014: (…). La verità è che, malgrado le
molte parole, in cima all’agenda politica non vi è mai stata la questione della
legalità, intesa nel suo significato più ampio, come obbligo delle istituzioni
pubbliche di spezzare i tanti “mostruosi connubi” che via via si manifestavano
davanti ai nostri occhi, in una inarrestabile deriva: tra politica e
amministrazione e poi tra politica e criminalità, cementati da una corruzione
divenuta capillare, regola non scritta sull’uso delle risorse pubbliche, di cui
troppi ritenevano ormai di potersi impunemente appropriare. Tra le istituzioni
solo la magistratura ha preso sul serio l’adempimento di quell’obbligo, (…). Ma
questa memoria è accompagnata dal ricordo della insofferenza di troppa parte di
un ceto politico che ha giudicato illegittima interferenza molti, sacrosanti
interventi dei giudici a tutela della legalità. È giusto individuare le
competenze proprie della politica e quelle della magistratura. E la strada è
segnata dall’articolo 54 della Costituzione, al quale sarebbe il caso di dare
un’occhiata (…). All’inizio di questo articolo si stabilisce l’obbligo dei
cittadini di rispettare la Costituzione e le leggi. Subito dopo si aggiunge che
«i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle
con disciplina ed onore». L’indicazione non potrebbe essere più chiara. Chi
svolge funzioni pubbliche, dunque i politici in primo luogo, non possono
limitarsi al rispetto formale della legalità. Ad essi è richiesto qualcosa di
più — il rispetto dell’etica pubblica. Un principio che in questi anni è stato
sostanzialmente cancellato. Di fronte a comportamenti anche gravemente
censurabili si è rifiutato ogni intervento dicendo “non vi è reato”. E, quando
si era di fronte ad indagini, rinvii a giudizio, addirittura a condanne in
primo grado, si è rifiutato di prendere atto che si era in presenza di
violazioni della legge penale e si è rinviata qualsiasi sanzione politica al
momento, lontano anni, della sentenza definitiva passata in giudicato. Così la
politica ha azzerato la propria responsabilità, usando anche le lentezze della
magistratura per legittimare questo suo abbandono. I risultati sono davanti ai
nostri occhi. (…). Assistiamo ad una continua guerriglia parlamentare contro la
magistratura, con il pretesto di voler accrescere le garanzie delle persone e
con l’obiettivo di limitarne l’autonomia, con strumenti che rivelano soltanto
l’abissale assenza di una vera cultura della giurisdizione. Ai provvedimenti
contro la corruzione non si dà la priorità aggressiva riconosciuta ad altre
leggi con voti di fiducia e vincolanti “cronoprogrammi”. Situazione ormai
intollerabile e pericolosa, poiché la realtà conclamata (…), testimonia di una
drammatica distruzione della moralità pubblica e di pesanti danni alla stessa
economia. Lo “schifo” (…) imporrebbe che questi temi siano seriamente collocati
in cima all’agenda politica. Parlando di responsabilità dei politici, non
possiamo riferirci soltanto a chi ha commesso reati o ha violato il principio
della “disciplina ed onore” nell’esercizio delle sue funzioni. Oggi la vera
responsabilità politica riguarda persone e partiti che sono di fronte
all’obbligo di sciogliere i nodi che, negli anni, sono divenuti sempre più
stringenti e che nascono dall’obbedienza alla logica della clientela e
dell’affarismo, dalla permeabilità di strutture chiuse e oligarchiche rispetto
alle organizzazioni criminali.
Da anni sappiamo che vi sono poteri criminali
che governano territori estesi quanto regioni e che, (…), si impadroniscono di
aree sempre più larghe. Ma non sono soltanto i territori fisici ad essere
occupati. Proprio il caso romano è la conferma eclatante dell’occupazione del
territorio istituzionale. Stiamo davvero correndo il rischio che la presenza
pubblica e la legalità vengano ricacciate in territori sempre più ristretti.
Non trascuriamo il fatto che le nuove regole sul lavoro, dov’è evidente una
cessione di sovranità a favore dell’impresa, non siano state accompagnate da
alcuna attenzione concreta per le nuove schiavitù di chi raccoglie arance o
pomodori. Capisco che la volontà di promuovere un ottimismo forzato portino il
presidente del Consiglio (oggi ex presidente del consiglio n.d.r.) a
frequentare solo quelle che gli appaiono, e sono, allettanti vetrine. Ma ogni
tanto si conceda una deviazione e, magari con il ministro del Lavoro, vada con
seguito di telecamere e alluvione di tweet a Castel Volturno o a Rosarno, e
manifesti schifo per gli abusi sessuali di cui sono vittime le lavoratrici
rumene a Ragusa. Anche questa è legalità, anche questa è lotta alla corruzione,
anche queste sono mosse indispensabili per ricostruire una moralità civile che
ha bisogno di tornare a fondarsi su dignità e solidarietà. È un’amara
consolazione il poter constatare che le vicende che oggi indignano appartengono
a un già detto, ad analisi di cause note accompagnate da indicazioni dei
possibili rimedi. A tutto questo non si è dato ascolto, dicendo che bisogna
rifuggire dal moralismo e che la politica è un’altra cosa. Davvero un’altra
cosa — quella che oggi viene drammaticamente rivelata.
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