“La normale occasione di urne aperte a una
consultazione popolare è diventata petulante e scimmiotta il finimondo, una
data spartiacque tra versanti opposti. Ma il governo resterà dov’è ora, tronfio
o ammaccato e il risultato del referendum resterà disatteso e aggirato, com’è
tradizione da noi, se sgradito all’esecutivo. La rappresentazione vuole che ci
siano da una parte i promotori di riforme, dall’altra i frenatori del
convoglio. Di mezzo c’è la Carta Costituzionale che aspetta di sapere se sarà
trasformata. Il verbo più preciso è appunto trasformare e non riformare. Quel
testo è la nostra dichiarazione dei diritti dell’uomo italiano e anche
l’ordinamento che ne dispone l’applicazione. Si intende trasformarla in altro,
secondo il fabbisogno delle democrazie moderne che puntano a ridurre il démos a
suddito, aumentando la crazìa, il potere, su di esso. Da noi è in carica per la
terza volta in una legislatura un terzo governo non uscito dalle urne, ma dal
cappello a cilindro di un ex presidente giocoliere, manovratore di maggioranze
accorpate da impreviste convenienze. Per mettere mano a modifiche della
Costituzione si dovrebbe aspettare il prossimo rinnovo del Parlamento e un
prossimo governo che affermi nel suo programma elettorale di volerla cambiare.
Allora avrebbe titolo, mentre questo in carica: no. Il riformismo un tempo
aveva una tradizione e un progetto ideale. Opponeva alle rivoluzioni del 1900
una via diversa per raggiungere traguardi di uguaglianza. I riformisti sapevano
fare le riforme. Oggi la utile e ben intenzionata riforma della pubblica
amministrazione è stata appena cancellata dalla Corte Costituzionale.
Evidentemente era male impostata. Se ne ricava che oggi i riformisti non sanno
scrivere le riforme. Se ne ricava che questo governo in carica non ha titolo
per usare la parola riforma per le trasformazioni della Carta Costituzionale”. Lettera
aperta di Erri De Luca “Contro i
riformatori incapaci”, pubblicata sul sito fondazionerrideluca.com il 29 di
novembre 2016.
Da “Bestiario
costituente” di Marco Travaglio, su “il Fatto Quotidiano” del 30 di
novembre 2016:
(…). 1. Ogni Regione d’Italia avrà un
sindaco-senatore, tranne una che ne avrà due: il Trentino-Alto Adige. La
Lombardia, per dire, che è 10 volte più grande e popolosa, ne avrà solo uno. Ma
che si fumano, questi ricostituenti, mentre scrivono le leggi?
2. Ogni Regione avrà almeno un consigliere
regionale-senatore (oltre al sindaco-senatore). Ma gli statuti delle cinque
Regioni speciali vietano ai consiglieri regionali di fare anche i senatori. E
chi manderanno, a rappresentarle? I figli, le mogli?
3. Quando si domanda perché mai i nuovi
senatori non saranno più eletti, ma 95 nominati dai Consigli regionali e 5 dal
Quirinale, Renzi&C. rispondono che sindaci e consiglieri sono comunque
eletti dal popolo (non per fare i senatori, ma fa niente). E citano i sindaci
delle grandi città eletti con un sacco di voti. I più votati, all’ultimo giro,
furono De Magistris a Napoli, la Raggi a Roma, la Appendino a Torino, Sala a
Milano. Bene: siccome i loro partiti/movimenti sono in minoranza nei rispettivi
Consigli regionali (Campania, Lazio e Piemonte governati dal Pd e la Lombardia
dalla Lega), questi nomineranno senatori altri sindaci, molto meno votati di
loro e di città molto più piccole.
4. I consigli regionali eleggono i senatori
“nel numero corrispondente all’ultimo censimento”. Cioè: se, tra un’elezione e
l’altra, una Regione fa più figli e aumenta la popolazione, potrà eleggere un
senatore in più, senza toglierne alle altre. E così il Senato, fissato in 100
membri, potrà dilatarsi a un numero imprecisato. Un Senato gonfiabile.
5. La durata del mandato dei senatori
“coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono
stati eletti”. Cioè dei consigli regionali: quando questi scadono, scadono
anche i consiglieri-senatori. Ma i sindaci vengono eletti in tempi diversi
dalle Regioni: quindi possono scadere da senatori prima che da sindaci, ma
anche restare senatori quando non sono più sindaci (in attesa che venga
rinnovato il Consiglio regionale). Pensate a un sindaco nominato senatore un
mese prima di scadere: resterebbe senatore per 3-4 anni senza essere sindaco.
6. La legge Severino (vedi De Magistris e De
Luca), prevede la sospensione per i sindaci e i consiglieri regionali
condannati in primo grado, o arrestati. Ma non per i parlamentari, che restano
in carica fino a condanna definitiva (caso Berlusconi). Quindi avremo sindaci e
consiglieri arrestati o condannati in primo o secondo grado che smettono di
amministrare città e regioni, ma restano senatori, anche dal carcere: cioè
continuano a votare le leggi per tutta l’Italia.
7. La “riforma” prevede una corsia
preferenziale per le leggi del governo: il Parlamento dovrà votarle “a data
certa”, entro 70 giorni. Purché siano provvedimenti “essenziali per
l’attuazione del programma di governo”. E se le Camere bocciano quella legge
“essenziale”? Il governo si dimette? No, la riforma dice che non è obbligato a
farlo. E se invece la Camera ed eventualmente il Senato approvano la legge, ma
in 72-73 giorni, che ne è della norma? Decàde? La Consulta deve dichiararla
incostituzionale? Si ricomincia da capo? Mistero.
8. Dicono che i consiglieri senatori saranno
eletti dai Consigli regionali in “proporzione” alle rispettive popolazioni e in
“conformità” con le indicazioni degli elettori. Ma 10 Regioni su 20 (anzi, 21:
il Trentino Alto Adige conta doppio) avranno solo due senatori ciascuna: uno
sindaco, uno consigliere. Quindi nessuna “proporzione” e nessuna “conformità”:
Val d’Aosta, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Trentino, Alto Adige, Umbria,
Marche, Abruzzo, Molise e Basilicata manderanno in Senato un solo consigliere
di maggioranza.
9. Sindaci e consiglieri nominati senatori
avranno l’immunità parlamentare: non potranno più essere arrestati, perquisiti,
intercettati, pedinati senza il permesso del Senato di cui fanno parte. Ora,
poniamo che quattro consiglieri regionali si dividano una mazzetta. Poi due
diventano senatori (immuni), mentre gli altri due restano consiglieri (non
immuni). Quando un pm scopre lo scandalo, chiede e ottiene dal gip di
arrestarli tutti e quattro. Ma per i due senatori il Senato nega
l’autorizzazione, così finiscono dentro solo gli altri due. Che pagano per
tutti, a meno che, una volta usciti, non vadano a cercare i due complici
senatori per fargliela pagare con altri mezzi.
10. Altro caso. Un sindaco deve incassare
una mazzetta da un imprenditore che ha favorito in un appalto. Prima di
ritirarla, tenta di diventare senatore e dunque immune, così non possono né
arrestarlo né perquisirlo né pedinarlo né intercettarlo. Se ce la fa, ha ottime
possibilità di non essere mai scoperto. Se non ce la fa, si rivolge a un
collega più fortunato, che ce l’ha fatta, e gli propone di andare a ritirarla lui,
la busta, e poi di dividerla con lui. Così l’immunità del collega divenuto
complice si estenderà, per contagio, anche a lui. E la faranno franca entrambi.
Vi piace il presepe? Votate Sì.
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