Da “Il
mestiere di uomo” di Umberto Veronesi – Einaudi Editore (2014); € 18,50 – riportato
sul quotidiano la Repubblica del 17 di novembre dell’anno 2014 col titolo “Il giorno in cui ho smesso di credere in
Dio”: (…). …da bambino non perdevo mai una messa né un rosario, ero un
inappuntabile chierichetto ed ero persino stato elevato al grado di «paggetto»,
una vera e propria onorificenza nella Chiesa di allora. (…). Non saprei dire
qual è stato il mio primo giorno senza Dio. Sicuramente dopo l’esperienza della
guerra non misi mai più piede in una chiesa, ma il tramonto della fede era
iniziato molto prima. Durante il liceo fui bocciato due volte, ero un discolo
in senso letterale: non andavo bene a scuola. Ero il tipico ragazzo di
periferia, i miei atteggiamenti erano spavaldi, avevo sempre bisogno di
mettermi in mostra: era l’unico modo che conoscevo per vincere la timidezza e
affermare la mia personalità. Di fatto, sono sempre stato anticonformista,
ribelle ai luoghi comuni e alle convenzioni accettate acriticamente, e questa
mia natura mal si conciliava con l’integralismo della dottrina cattolica che
era stata il fondamento della mia educazione di bambino [...]. Poi arrivò la
guerra e i miei interrogativi si fecero più drammatici. A diciotto anni non
volevo andare a combattere, ma finii in una retata e mi ritrovai con indosso
un’uniforme che non aveva per me alcun valore e fui ben armato per uccidere
altri ragazzi, in tutto e per tutto uguali a me, salvo per il fatto che
indossavano una divisa diversa. Ho vissuto in pieno, soprattutto nel lungo
periodo di clandestinità (legata alla Resistenza), la violenza dissennata della
Seconda guerra mondiale, fui gravemente ferito e sono uno dei pochi
sopravvissuti allo scoppio di una mina, su cui saltai mentre scappavo da
un’imboscata nemica. Oltre alle stragi dei combattimenti, ho toccato con mano
anche la follia del nazismo e non ho potuto non chiedermi, come fece Hannah
Arendt prima e Benedetto XVI molti anni dopo: «Dov’era Dio ad Auschwitz?».
[...]. Da principio volevo fare lo psichiatra per capire in quale punto della
mente nascesse la follia gratuita che poteva causare gli orrori di cui ero
stato testimone. Avvicinandomi alla medicina, però, incappai in un male ancora
più inspiegabile della guerra, il cancro, e sfidando la rassegnazione che
allora imperava, decisi di indagare se attraverso la conoscenza e il sapere si
potesse vincere quell’immenso e assurdo dolore. [...] Per chi il male non è
un’idea astratta, ma è qualcosa che si vede, si tocca e, nel mio caso, ha un
nome, tumore, diventa molto difficile identificarlo come una manifestazione del
volere di Dio. (…). Allo stesso modo di Auschwitz, per me il cancro è diventato
una prova della non esistenza di Dio. Ho sviluppato questa convinzione
soprattutto all’Istituto nazionale tumori di Milano, dove ogni tanto
frequentavo il reparto di pediatria. Come puoi credere nella Provvidenza o
nell’amore divino quando vedi un bambino invaso da cellule maligne che lo
consumano giorno dopo giorno davanti ai tuoi occhi? Ci sono parole in qualche
libro sacro del mondo, ci sono verità rivelate, che possano lenire il dolore
dei suoi genitori? Io credo di no, e preferisco il silenzio, o il sussurro del
«non so». Perché accade – e per i bambini oggi succede sempre più spesso – che
il dubbio diventi concreta speranza e poi guarigione, e quando questo avviene,
è pura gioia.
Caro Umberto, hai ragione che il male non è una manifestazione della volontà di Dio. Il male è frutto della scelleratezza dell'uomo e delle sue scelte, null'altro. Anche come per l'olocausto dove il male divenne Stato. Il tumore tuttavia, come altre dusgrazie, è parte del ciclo naturale e della vita della materia. In quanto tale è "male" in quanti arreca immenso dolore ma nulla ha a che fare con il Male. Alla fine penso che anche se tu non credi in Dio comunque lui ha sempre creduto in te come in tutti gli uomini di buona volontà al servizio degli altri fratelli in transito su questo splendido pianeta. Un saluto e grazie da lassù dove potrai guidare altri medici per fare ancora meglio.
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