Da “La
politica senza morale” di Piero Ignazi, sul quotidiano la Repubblica del 6
di dicembre dell’anno 2014: Cosa c’è alla radice della cupola corruttiva
della capitale? Il debordare di una libidine di ricchezza e potere? Il
diffondersi dell’irrilevanza e menefreghismo per le regole? La convinzione che
così fan tutti e nessuno paga pegno? Tutto questo, ovviamente. Ma si possono
individuare anche altre cause. Cause indirette, che rimandano alla politica e
ai partiti. L’assunto da cui partire è che “la politica costa”. Anzi, costa
sempre di più. Non a caso i bilanci ufficiali dei partiti sono aumentati
costantemente e, a partire dai primi anni Duemila, le loro entrate sono più che
raddoppiate. E qui si parla soltanto di soldi contabilizzati nero su bianco nei
libri mastri dei partiti. L’incremento delle entrate grazie ad un sistema di
finanziamento pubblico generosissimo e senza controlli rispondeva alla
necessità da parte dei partiti non tanto di mantenere “gli apparati”, morti e
sepolti da tempo, quanto di sostenere i costi della politica d’oggi, fondata
sulle consulenze dei professionisti del marketing, della comunicazione, del
sondaggio, e della pubblicità. Comprare sul mercato i migliori specialisti di ogni
ramo costa, e tanto. Di conseguenza i partiti si sono rivolti allo stato per
attingere le risorse finanziarie necessarie, garantendosi, fino alla riforma
del 2012, introiti statali sempre più consistenti. Questo perché,
ufficialmente, le altre entrate nelle loro casse erano scese a livelli
risibili. Nell’ultimo decennio la voce tesseramento nei bilanci è andata quasi
scomparendo: in nessun partito le quote degli iscritti fornivano più del 3-4%
dei proventi complessivi (con l’eccezione dei Ds e del Pd nei quali l’importo
delle tessere rimane a livello locale e non viene riportato nel bilanci del
partito nazionale). Questa torsione stato-centrica delle organizzazioni
partitiche ha indebolito le strutture periferiche dei partiti. Ha impoverito il
partito nel territorio. Tutta l’attività politica si svolge al centro, dove si
acquisiscono e si gestiscono le risorse sia finanziarie che strutturali. Quindi
chi vuole fare carriera - cioè essere eletto alle cariche pubbliche perché
quelle interne a livello locale non contano più nulla - necessita di risorse
alternative, esterne alla struttura partitica.
L’isterilimento della vita di
base e collettiva del partito ha spinto i più intraprendenti a crearsi reti
autonome ed esterne. In una logica del tutto individualista, da free rider - e
il caso di Matteo Renzi insegna -, il vettore del successo sta nella
costruzione di una équipe composta da esperti, fund raiser, facilitatori di
relazioni con gruppi di pressione e di interesse, comunicatori, sondaggisti e
quant’altro. È disponendo individualmente di queste risorse, non gestite
dall’organizzazione partitica, che si fa carriera. In fondo anche le primarie
assecondano questa impostazione. Prive di una regola standard nazionale, le
primarie per le cariche pubbliche locali sono un moltiplicatore di costi e
comportano il rischio di rapporti incauti e disinvolti con gruppi e persone. In
una logica di competizione “individuale” - com’era al tempo delle preferenze -
l’inquinamento di affaristi e maneggioni è un rischio concreto. L’intreccio di
corruzione e affarismo criminale (…) ha radici in questi mutamenti della
politica, dell’organizzazione dei partiti, e della loro relazione con lo stato
e il territorio. La professionalizzazione della vita politica con conseguente
necessità di acquisizione di maggiori risorse pubbliche, il deperimento di
legami collettivi forti - quelli che sono alla base di un “vero” partito e non
di una qualunque associazione volontaria - e la crescente individualizzazione
dell’agire in politica, abbassano le soglie di protezione rispetto ai rapporti
pericolosi. Il filtro di partiti radicati sul territorio, attenti ad intrecci
sospetti e a figure ambigue, e di nuovo proiettati al “bene comune” più che
all’acquisizione di risorse è venuto a mancare, in una logica tutta proiettata
alla comunicazione, al virtuale e all’accentramento nazionale. Il primo
baluardo al dilagare della corruzione, (…), passa per la ricostruzione di una
presenza attiva e disinteressata nel territorio. E poi, di fronte alla voracità
dei politici e ai costi iperbolici per cene sfarzose, consulenze d’oro e
regalie varie, conta soprattutto un cambio di passo: uno stile politico più
parsimonioso e trasparente da parte di tutti gli amministratori della cosa
pubblica, al centro come in periferia.
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