Da “Una
politica costituzionale” di Stefano Rodotà, sul quotidiano la Repubblica
dell’8 di novembre dell’anno 2014: (…). Renzi declina questo rapporto diretto (con
i cittadini n.d.r.) nel linguaggio attinto dal mondo digitale e parla di
“disintermediazione”, (…). Si consegna all’irrilevanza tutto ciò che non è
immediatamente riconducibile al consenso personale e alla sua proiezione
sociale, com’è accaduto quando al milione di persone presenti a piazza San
Giovanni si è contrapposto lo sguardo ostentatamente rivolto solo agli altri
milioni di italiani (lo aveva già fatto Craxi contrapponendo le sue modeste
percentuali parlamentari al consenso di cui diceva di godere nel Paese). Non è
certo un caso se nelle analisi di commentatori tutt’altro che ostili alla linea
del presidente del Consiglio siano cominciati ad apparire riferimenti ad
atteggiamenti definiti plebiscitari. E non dimentichiamo che nella “democrazia
plebiscitaria”, ampiamente studiata, si ritrovano anche quei tratti autoritari
visibili nel modo liquidatorio con il quale Renzi si rivolge a critici ed
avversari. (…). …la disintermediazione non significa che l’unica via politica
sia quella della cancellazione di ogni entità che si manifesta tra i luoghi del
potere e la generalità dei cittadini. Se soggetti collettivi continuano a
manifestarsi nella società, possiamo eliminarli con una parola? E bisogna
riflettere sul fatto che, indeboliti o scomparsi alcuni degli storici mediatori
sociali, altri ne sono comparsi al loro posto, a cominciare dagli onnipotenti
motori di ricerca e dalle reti sociali. Questa logica si insinua in modo sempre
più pervasivo in ogni luogo, e in modo particolarmente aggressivo nella materia
del lavoro. Quando ci si rivolge agli imprenditori dicendo di averli liberati
dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, si dice molto di più, (…). Dal
rapporto tra imprenditore e lavoratori non deve soltanto scomparire l’ingombro
del sindacato, ma l’indebita presenza del giudice. Qui la disintermediazione
investe un elemento fondativo della civiltà giuridica e restituisce una
inquietante attualità ad una vecchia espressione — «la democrazia si ferma ai
cancelli dell’impresa ». Si fa divenire l’ingiustificato licenziamento un atto
legittimo, che non può trovare compensazione nella promessa pubblica di
intervenire a sostegno dei licenziati. (…).
Dobbiamo rinunciare alla garanzia
dei diritti, travolta da una logica economica che riconosce come regola solo
quella che essa stessa pone? (…). …la vera forza del Pd, riassunto nella
persona del suo leader, sta nell’insistita affermazione secondo la quale ad
esso e al suo governo «non v’è alternativa». Qui è la sostanza del problema: le
dimissioni della politica che è, in primo luogo, costruzione continua di
alternative. Questa non è colpa di Renzi, che persegue i suoi obiettivi e cerca
di sfruttare al massimo la condizione presente. È la registrazione dello
sfascio di una destra mai costituita come tale, fondata com’era sulla figura di
Berlusconi; di un Movimento 5Stelle che ha appena mostrato capacità di cogliere
occasioni parlamentari, e però deve mostrare di saperla trasformare in
incidenza costante sulle dinamiche politiche; dell’impossibilità di pensare il
Pd di Renzi come partito “di lotta e di governo”. Come funziona un sistema
politico senza vera opposizione? Nel modo in cui sta funzionando quello
italiano. Poiché si possono sterilizzare con astuzie varie le opposizioni
interne e esterne, ma non cancellare il conflitto, l’opposizione si fa tutta
sociale. Ecco la ragione del nuovo protagonismo del sindacato, soggetto sociale
per definizione, che trae nuova forza dal dato materiale della disoccupazione e
delle diseguaglianze crescenti e da quello politico dall’attacco esplicito ai
diritti del lavoro. Ecco il motivo dell’insofferenza aggressiva di Renzi che
costruisce nemici per azzerare confronto e dialogo. Arriviamo così al punto
essenziale. A destra l’opposizione è sopraffatta da una sostanziale convergenza
con l’azione di governo. E il resto, quello che possiamo ancora chiamare
sinistra? Qui dev’essere sciolto il nodo di una politica di sinistra capace di
essere in sintonia con una società certamente cambiata, ma la cui novità non
può consistere, come si cerca di fare, nel respingere sullo sfondo dignità,
libertà, eguaglianza, solidarietà, perché sono ancora questi i principi che
meglio colgono le difficoltà e i conflitti di oggi. Le diverse sinistre,
interne e esterne ai partiti, hanno finora inseguito formule e costruito aggregazioni
casuali. Non sono state capaci di presentarsi con una identità definita, che
può essere costruita solo attraverso una cultura politica rinnovata. Che non è
impresa impossibile, se si riflette sul molto lavoro fatto in sedi diverse e da
soggetti diversi: una nuova visione complessiva dei diritti fondamentali, dove
quella del lavoro è inscindibile dal rispetto pieno di una persona riconosciuta
nella sua libertà, nell’accesso alla cultura, nella garanzia della salute; le
critiche dell’austerità di molti economisti, che coglie la necessità di una
politica dominata dall’economia; la ristrutturazione degli ammortizzatori
sociali nella prospettiva di un reddito garantito; le elaborazioni su beni
comuni e servizi pubblici, che rischiano d’essere travolti dalla logica del fai
da te, ben rappresentata dagli 80 euro alle neomamme al posto di asili; le
proposte sui nuovi rapporti tra democrazia rappresentativa e partecipativa; la
solidarietà tra persone e generazioni; l’attenzione concretamente rivolta a
povertà e illegalità. Perché a sinistra non è stata finora fatta una
riflessione complessiva su ciò che essa ha sparsamente prodotto? E vi è
l’Europa. Renzi dice che questa è la vera partita. (…). Oggi si riscopre
l’Europa attraverso la Carta dei diritti fondamentali, invano invocata in
questi anni (…). Si ricorda il suo articolo 30 sui licenziamenti
ingiustificati, ma si deve andare oltre, agli articoli 31 e 34, che parlano di
condizioni di lavoro giuste e eque, di garanzia dell’esistenza dignitosa, con
una eloquente sintonia con l’articolo 36 della nostra Costituzione, che vuole
garantita «l’esistenza libera e dignitosa», tutte norme che rendono ineludibile
il tema del reddito garantito. In questi anni l’Europa ha cancellato la Carta,
che pure ha lo stesso valore giuridico dei trattati, ed ha costruito una
“controcostituzione” economica che annulla tutto il resto. L’Italia ha seguito
questo cattivo esempio, abbandonando progressivamente la parte della
Costituzione dedicata a principi e diritti. Ricostruire una rinnovata politica
costituzionale non è solo il compito di una opposizione di sinistra, ma il
fondamento essenziale d’un governo democratico.
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