Da “C’era
una volta il Paese che scambiò la Costituzione con la corruzione” di Nando
Dalla Chiesa, su “il Fatto Quotidiano” del 12 di novembre 2016: C’era
una volta un paese ricco d’arte e di storia. Che a cagione di sue misteriose
deformazioni aveva generato una immensa classe di cittadini che mai aveva
svolto un lavoro come quelli che si insegnano sui sussidiari: né fabbro né
ingegnere, né medico né falegname. Terminata che avevano la scuola, costoro
avevano subito praticato il mestiere di “politici”. Di politica da sempre
vivevano e avevano in gran timore abbandonarla. Alcuni di essi, è giusto dirlo,
trovavano in quella occupazione motivo di perseguire qualche buon fine. La
maggioranza pensava invece a come aumentare i vantaggi della propria condizione,
e per questo aveva sviluppato nel tempo una straordinaria propensione
all’obbedienza verso chi amministrava quel vasto groviglio di cariche e
funzioni. Il popolo li osservava, ora maledicendoli ora cercando di
ingraziarseli. Soprattutto nessuno era in grado di costringerli a lavorare
quanto la gente comune. Essi avevano infatti ritmi loro propri, dediti
com’erano all’arte della affabulazione e dei convivi. Poiché, in forza di una
legge astrusa assai, il popolo non poteva più eleggere i propri rappresentanti
in parlamento, costoro avevano riempito di diritto il parlamento stesso;
composto, secondo la Costituzione di quel paese, da due Camere adibite con
eguali poteri ad approvar le leggi. Successe così che questo parlamento, già
scarsamente funzionante, prese i loro ritmi e si abituò a lavorare circa due
giorni, due giorni e mezzo a settimana, a volte perfino tre, a volte uno e
mezzo. Fatto sta che le cose in quel paese non andavano bene da tempo. Ubiqua
vi era la corruzione e molto era cresciuta l’influenza di ladri e malfattori di
ogni risma. Allora costoro, che più avevano responsabilità di mene, omissioni e
cortigianerie, ebbero un’idea luminosa: convocarono il popolo e gli dissero che
il paese non andava bene a causa della sua Costituzione. C’è bisogno di buone
leggi, dicevano, ma fare buone leggi era cosa lunga assai. Tutta colpa della
“navetta”. La folla non capiva. Sicché costoro chiarirono da veri dotti che
“navetta” era il passaggio delle leggi tra le due camere del parlamento. Non
dissero al popolo che, lavorando essi la metà del tempo degli altri cittadini,
era solo naturale che le leggi procedessero a rilento. Come succederebbe a
maestri oziosi, condannati dalla pigrizia stessa a non finire i programmi
scolastici. O a maestranze poltrone che lavorando a giorni alterni vedano
procedere lentamente i ponti e le strade a cui attendono. A chi di questi il
popolo consentirebbe mai di dar colpa dei propri ozi alle leggi superiori? E
invece il caso volle che gli oziosi trovassero masse acclamanti, felici di
farsi turlupinare, eccitate dall’idea di cambiare qualcosa, poiché non si
poteva più “andare avanti così”. Fu un tripudio di intellettuali e giornalisti
e politici. Nemmeno dissero, questi ultimi, che spesso facevano sparire di
proposito le leggi in una camera dopo averle approvate nell’altra, così da
prendersi la gloria della legge ma non le noie derivanti dall’entrata in vigore
della stessa. Né dissero che allo schioccar di dita di principi e reucci
(poiché quel paese anche la genia dei reucci a un certo punto conobbe) le leggi
potevano essere votate in una settimana. Sia che fossero buone (e ogni tanto
capitava, specie se i malfattori esageravano uccidendo con sconquasso qualche
galantuomo) sia che fossero cattive, il che invero più spesso capitava. In
realtà il paese, pur malconcio, non sembrava credere del tutto che l’origine
dei suoi mali e delle sue poche buone leggi stesse nella Costituzione.
Allora
il consiglio dei vati lo ammonì che se non ci avesse creduto, terribile sarebbe
stata la punizione divina, e si sarebbe alzato il livello del mare, che alcuni
esorcisti chiamavano lo spread. E spiegarono che la Costituzione costava,
costava molto. Finché un giorno un ragazzino di quelli che leggono e sanno far
di conto si parò loro dinnanzi e chiese, come su ispirazione di felice
folletto, “Squisiti Messeri, forse è la rima che vi inganna; ma è la
corruzione, non la Costituzione, che costa tanto, tantissimo. Perché allora, se
il risparmiare vi sta sì a cuore, non fate leggi severe contro i ladri del pubblico
denaro? Per quale sortilegio avete più in cagnesco la Costituzione che la
corruzione?” Ci fu il gelo assoluto. Ma qualcuno fece circolare la scena
insolente sugli schermi e sui telefoni del tempo. E da ogni località del paese
partì un applauso, che lì si riunì con gli altri come per prodigio. Facendosi
uragano.
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