Da “Con
Berlinguer a cercare casa e comprare il latte” di Fabrizio d'Esposito, intervista
ad Alberto Menichelli che “ha vissuto tre lustri con Berlinguer. Molto
più di un autista. Fu il suo angelo custode dal 1969 al 1984, l’anno della
morte del compagno segretario del grande Partito comunista italiano”, intervista
pubblicata su “il Fatto Quotidiano” del 29 di ottobre 2016: (…). Più
di mezzo secolo dopo, Menichelli presiede l’associazione culturale intitolata a
Berlinguer nel suo quartiere romano, a Cinecittà.
Quanti iscritti avete? - Trecento. L’altro
giorno abbiamo chiuso la mostra -.
Ovviamente dedicata a Berlinguer. - (…). Tantissimi sono venuti a vederla in
sezione -. (…).
La passione per Berlinguer è senza partito,
ormai. - Alla mostra, mi ha colpito la presenza di molti giovani. È un dato
incredibile se pensa che Berlinguer è morto 34 anni fa, quando loro non erano
ancora nati -.
Il suo impatto con lui come fu? - Ero teso,
Berlinguer non voleva l’autista, fu costretto dal Partito, nel ’69 c’era stata
la strage di piazza Fontana, cominciava un periodo di grandi paure. A lui
piaceva guidare. Aveva una Fiat 1100. Era pignolo, quando arrivava a Botteghe
Oscure parcheggiava da solo e saliva su -.
Allora lei gli portò via un piacere
quotidiano. - La prima settimana fu di silenzio totale. Solo “buongiorno” e
“buonasera”. Ero timido, lui riservato -.
La giornata tipo? - Al mattino ritiravo la
mazzetta dei giornali e alle 7 e 30 ero da lui. Lo trovavo in pigiama,
preparava la colazione per la famiglia. All’epoca abitavano ancora in viale
Tiziano -.
Una volta, Forattini fece una perfida
vignetta con Berlinguer in pigiama. - Sì, la ricordo. Con questa storia del
pigiama c’era un fotografo che mi perseguitava -.
Immagino. - Voleva rifilarmi una macchinetta
speciale per fotografare Berlinguer in pigiama. Diceva: “Famo un sacco di
soldi” -. (…).
I vostri discorsi in auto fecero progressi?
- Dopo due mesi avevamo preso confidenza. Berlinguer era una persona schiva ma
non triste come è stato detto. Era essenziale e di un’onestà esemplare. Una
mattina cominciammo a cercare i cartelli con su scritto “Affittasi”. Doveva
lasciare la casa di viale Tiziano e cercava un nuovo appartamento -.
Berlinguer cerca casa. - Andai da Cossutta,
che all’epoca guidava l’Organizzazione. Era il 1974. Gli posi il problema così:
“Vi sembra normale che il segretario del Partito (Berlinguer divenne segretario
nel 1972, ndr) debba cercare casa da solo? -”.
E Cossutta? - Mi rispose: “Mica lo sapevo”.
“Ecco adesso lo sai”, gli ribattei. Attivò il compagno dell’Economato. Prima
gli proposero una villetta alla Camilluccia, ma lui rifiutò: voleva un
appartamento più modesto. E così venne fuori la casa di via Ronciglione 12. A
una condizione però -.
Quale? - Doveva pagare lui l’affitto, non il
Partito, altrimenti avremmo continuato a cercare noi i cartelli “Affittasi”.
Così ogni mese io portavo una busta coi soldi a Botteghe Oscure -.
Cosa rispose? - Mi disse: “Mi premunisco, a
quest’ora il frigo è quasi sempre vuoto” -.
Il frigo vuoto! - Pagava il latte coi soldi
sempre ciancicati, perciò gli regalai un portamonete. Una volta lo trovai
seduto per terra nel salone. Attorno a lui tanti libri. Gli dissi: “Ma che stai
combinando?”. Lui brusco: “Stai zitto che non mi ricordo più in quale libro ho
nascosto 50 mila lire” -.
Un materialista poco attento alle cose
materiali. - Completamente disinteressato. Un giorno dovevamo andare a Torino.
C’era uno sciopero aereo e fummo costretti a prendere il treno. Peraltro io
avevo paura di volare. Berlinguer mi prendeva in giro: “Hai messo il
paracadute?”. Quel giorno avevamo preso uno scompartimento, eravamo alla
stazione Termini di Roma e io aspettavo sul binario il resto della scorta.
All’improvviso vedo un poliziotto venire verso di me. “Che c’è?”, gli faccio.
Lui mi risponde: “Il segretario ha due scarpe diverse”. Così salgo sul treno e
vado da lui. Mi guarda e io: “Le scarpe sono spaiate”. Lui portava sempre i
mocassini -.
Partiste? - Certo. Chiuse la questione a
modo suo: “Non sono tanto diverse, nessuno se ne accorgerà”. Un’altra volta
perse il cappotto. Era un paltò verde talmente consumato che le asole erano
diventate buchi. Lo dimenticò alla Camera per la fretta di tornare a Botteghe
Oscure. Pensai: “Meno male, così ne prende uno nuovo” -.
Invece lo ritrovò. - Esatto. Per dirle che
persona era. Non gliene importava nulla. Anna (Azzolini, la storica segretaria
di Berlinguer, ndr) mi raccontò che un famoso stilista dell’epoca, Litrico,
aveva mandato una lettera. Voleva vestire gratis il segretario. Berlinguer
rifiutò senza pensarci -.
Nonostante tutto, piaceva molto. Anche alle
donne. - Reichlin lo invidiava: “Le donne vengono sempre da te”. Ma lui era
timidissimo. Ricordo che ad Avezzano fece una conferenza stampa in piazza. In
prima fila c’era una signora matura, molto piacente. La rividi a Roma, a un comizio.
Lo dissi a Tatò: “Quella signora era anche ad Avezzano”. Decisi di avvicinarla.
Era un’americana, affascinata dal personaggio di Berlinguer -.
Riferì al segretario? - Sì e gli dissi: “La
prossima volta te la presento” -.
Accettò? - Per niente. Mi fulminò: “Aho che
porti!?!” -.
Un monaco. - Per nulla triste, ripeto.
Scherzava spesso e si preoccupava sempre per noi della Vigilanza. Abbiamo
festeggiato tante volte Natale e Capodanno insieme, con le nostre famiglie,
alle Frattocchie (la zona dei Castelli Romani dove il Pci aveva la sua
“scuola”, ndr). Poi c’è l’episodio di Parigi -.
Racconti. - Eravamo all’aeroporto De Gaulle,
per tornare in Italia, e mi fa: “Vogliamo portare un regalino alle nostre
mogli?”. Così entriamo in un negozio di profumi. La commessa ci indica una
boccetta e ci spiega che è molto richiesta dalle signore italiane. Diciamo che
va bene e andiamo alla cassa. Ci prese un colpo: costava 18 mila lire, un
quarto del mio stipendio di allora, ma nessuno dei due disse nulla, per il
timore di apparire provinciali. Pagammo e zitti -.
I viaggi lunghi in auto come si svolgevano?
- Lui si sedeva avanti. Gli avevo predisposto un tavolinetto per lavorare. Non
staccava mai, si preparava tutto e scriveva a mano. Non parlava a braccio, non
improvvisava come oggi Renzi. Quando poi doveva fare relazioni o discorsi di
una certa importanza si rifugiava dalla zia Ines a Grottaferrata. Gli articoli
per Rinascita sul compromesso storico li scrisse lì, dalla zia Ines, che per
lui era come una mamma -.
Il 1976 è l’anno decisivo. - Fu l’anno in
cui aumentò la scorta a Berlinguer. Per le Br era un obiettivo e cominciammo a
girare con due auto qui a Roma. Io ero sempre con lui, insieme con Lauro Righi.
Davanti, nell’altra auto, c’erano Dante Franceschini e Pietro Alessandrelli.
Ogni volta un percorso diverso. A causa dei terroristi cambiammo anche il lattaio.
I terroristi avevano studiato la zona vicino a casa sua e così iniziò a
prendere il latte da Vezio (leggendario bar comunista, a Botteghe Oscure, ndr)
-.
Che auto era? - Un’Alfa 2000 blindatissima.
La scorta di Moro ce la invidiava -.
Già. - Berlinguer e Moro fecero due incontri
segreti, sempre a casa del segretario del leader democristiano. Il secondo finì
alle quattro di mattina. Vedemmo la lucina accendersi sopra il portone e ci
preparammo. Era Moro che scendeva. Uscì e s’infilò per sbaglio nella nostra
auto -.
Un tragico lapsus preveggente. - Nelle
lunghe ore di attesa, conobbi il maresciallo Leonardi, il capo della scorta di
Moro. Volle vedere le nostre auto dall’interno e mi confidò che gli rinviavano
sempre la richiesta di un’auto blindata. Io e i miei colleghi maturammo una
convinzione -.
Quale? - Se lo portavamo noi, Moro, non
succedeva nulla. Con le nostre due auto, le Br non avrebbero mai potuto fare
l’azione di via Fani -.
Invece finì con la Renault rossa in via
Caetani, tra Botteghe Oscure e piazza del Gesù, sede della Dc. - Il giorno del
ritrovamento, Berlinguer mi chiama e mi dice: “Dall’Unità dicono che bisogna
cercare un’auto rossa qui vicino”. Io vado da Vezio al bar e lui mi manda da un
suo amico al primo piano. Saliamo e mi affaccio. Ero al telefono con Berlinguer
per descrivergli tutto. E quando vedo la polizia aprire lo sportellone della
Renault, lui attacca senza dire più nulla. Aveva già capito. Da quel momento
cambiò per sempre. Nemmeno nel 1970, quando dormivo spesso a casa sua per la
paura di un colpo di Stato, l’avevo visto così -.
Inizia il cosiddetto “ultimo Berlinguer”. -
Gli sentii pure dire che era assurdo che il segretario del Pci fosse a vita,
che bisognasse aspettare la sua morte -.
Una profezia su se stesso. - Quel giorno a
Padova mi fece anche uno scherzo -.
Stava bene. - Benissimo. Eravamo pronti per
andare al comizio ma lui non scendeva dalla camera d’albergo. Vado su e non lo
trovo. Ritorno giù, trafelato, e lo vedo spuntare nella hall, che rientra da
una passeggiata. Mi dice: “Stavolta t’ho buggerato” -.
Dopo l’interruzione del comizio, rientraste
persino in albergo. - Sul palco, gli misi l’impermeabile sulle spalle e lui mi
sussurrò di prendere i suoi appunti. In albergo era già in coma -.
Trentaquattro anni fa. - Il mio Partito morì
allora -.
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