Da “L’anno
del populismo” di Nadia Urbinati, pubblicato sul quotidiano la Repubblica
del 29 di dicembre dell’anno 2015: (…). Populismo è un termine impreciso e
controverso, usato spesso come accusa e più raramente come orgogliosa autodescrizione.
Nato negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento, dove il People’s Party ha
significato un processo di democratizzazione della società americana, il
populismo ha preso sembianze quasi fasciste nell’Argentina di Perón,
l’esperienza che ha marcato il carattere caudillistico delle democrazie
maggioritariste nei Paesi post-coloniali, una formula replicata in altre
società latino-americane, dove la polarizzazione tra i “molti” (poveri) e i
“pochi” (oligarchi eredi dei conqistadores) è radicale; dove, quasi come
nell’antitichità, il governo popolare è governo dei molti e poveri. Si potrebbe
dire che, con l’esclusione degli Stati Uniti che non hanno mai avuto
rovesciamenti di regime, il populismo, quando è emerso in contesti di
transizione democratica, ha fatto deragliare i Paesi verso forme di potere
cesaristico. Populismo è in questo caso sinonimo di critica del sistema
costituzionale e della regola di maggioranza, che presume l’opposizione e il
pluralismo e non è identificabile con un regime della maggioranza. In Europa,
dove la democrazia si è radicata nella nazione, le svolte populistiche hanno
causato problemi — regimi illiberali, autoritari e infine fascisti. (…). …se il
populismo al potere è capace di tener fede ai principi della democrazia
costituzionale, non è niente altro che una nuova formazione politica che usa la
radicalizzazione ideologica per consolidarsi presso l’elettorato. E che genera,
al massimo, una più intensa maggioranza. A questo punto però, non è chiaro che
cosa il populismo abbia di specifico. Quindi, o i movimenti populisti sono
nuovi partiti che entrano nella competizione elettorale e praticano le regole
della democrazia rappresentativa, oppure sono forze pronte a sovvertire il sistema,
e quindi un rischio per la democrazia (…). Alla fine di questo anno d’oro
dell’era populista, dunque, ci troviamo di fronte a una questione: il populismo
è un’uscita dai fondamenti liberali della democrazia costituzionale o è il nome
di un partito nuovo che deve imporsi nell’agone politico e ha l’ambizione di
creare una nuova maggioranza per proporre politiche sociali di sinistra. I
movimenti populisti sono certamente il sintomo di un malessere sociale ed
economico, ma non è chiaro quale politica originale abbiano da proporre. Se non
la vecchia politica autoritaria come in Ungheria. Certo, ci possono essere
populismi “buoni” come Podemos o Syriza. Ma questi, o si fanno promotori di
politiche di sinistra e propongono un’alternativa di governo, non di sistema,
oppure restano un “grido di dolore” che lascia il popolo sofferente come lo
avevano trovato. Se di alternativa si tratta, dunque, questa è fra destra e
sinistra, non fra populismo e non populismo.
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