Scriveva Vaclav Havel in “Ecco cosa resta della mia rivoluzione”
pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 19 di dicembre dell’anno 2011: (…). Le
(…) persone credono spesso in altre manifestazioni dell´ineluttabilità, per
esempio in presunte leggi di mercato, in altre «mani invisibili» che dirigono
il corso della nostra vita. Poiché in questo tipo di ragionamento non vi è
spazio alcuno per l´azione morale dell´individuo, spesso chi critica la società
è deriso alla stregua di un ingenuo moralista o di un élitista. Forse questo è
uno dei motivi che spiega, (…), perché (…) oggi assistiamo a un´apatia
politica. Sempre più spesso la democrazia è ritenuta un puro e semplice
rituale. In linea generale, tutte le società occidentali stanno sperimentando -
così pare, almeno - una certa seria mancanza di ethos democratico e di
partecipazione attiva della cittadinanza. È anche possibile che ciò cui stiamo assistendo
sia una mera trasformazione paradigmatica, provocata dalle nuove tecnologie, e
che pertanto non vi sia motivo di preoccupazione. Forse, però, il problema ha
radici più profonde: le corporation globali, i cartelli dei mezzi di
informazione, i potenti apparati burocratici stanno trasformando i partiti
politici in organizzazioni il cui compito principale non è più il servizio
pubblico, bensì la protezione di determinate clientele e interessi particolari.
La politica sta diventano il terreno di battaglia dei lobbisti; i media
banalizzano i problemi più seri; la democrazia spesso sembra più un gioco
virtuale per consumatori che una seria attività per cittadini impegnati. (…). …eravamo
convinti che se la democrazia è svuotata di valori, se si riduce a mera
rivalità tra partiti politici che hanno soluzioni «garantite» per qualsiasi
problema, di fatto non si tratta più di democrazia. Ecco la ragione per la
quale abbiamo voluto dare un´enfasi tutta particolare alla dimensione morale
della politica e al coinvolgimento della società civile, due elementi
indispensabili per controbilanciare i partiti politici e le istituzioni dello
Stato. Sognammo anche qualcosa di più: un ordine internazionale più giusto. La
fine del mondo bipolare rappresentò la grande occasione di rendere più umano
l´ordine internazionale. Invece, abbiamo assistito a un processo di
globalizzazione economica che è andato sfuggendo al controllo politico e che,
in quanto tale, sta provocando scompigli economici e devastazione ecologica in
molte aree del pianeta.
La caduta del Comunismo ha offerto l´opportunità di creare istituzioni politiche globali più efficienti, che avessero le loro premesse nei principi democratici, e fossero in grado di arginare quella che nella sua forma attuale appare una tendenza autodistruttiva del nostro mondo industriale. Se non intendiamo essere travolti da forze sconosciute, i principi di libertà, eguaglianza e solidarietà - fondamenti stessi della stabilità e della prosperità delle democrazie occidentali - devono iniziare a essere applicati a livello planetario. Cosa ancor più importante, oggi è indispensabile, come già in epoca comunista, non perdere fiducia nell´importanza dei centri alternativi di pensiero e di azione civile. Non dobbiamo consentire di essere manipolati al punto da essere indotti a credere che i tentativi di cambiare l´ordine «costituito» e le leggi «incontestabili» non hanno importanza. Cerchiamo piuttosto di realizzare una società civile a livello globale, e ricordiamoci di insistere su un punto: la politica non è soltanto l´aspetto tecnologico del potere. La politica deve avere una dimensione morale. Al tempo stesso, i politici dei Paesi democratici devono riflettere seriamente sulla riforma delle istituzioni internazionali, perché abbiamo disperatamente bisogno di istituzioni in grado di occuparsi di una vera governance globale. (…). A noi europei spetta un incarico del tutto particolare. La civiltà industriale che ora si estende a tutto il mondo, ebbe le sue origini in Europa. Tutti i miracoli che essa rende possibile, così come tutte le terribili contraddizioni che essa comporta, possono essere considerati il frutto di un ethos che in origine è stato europeo. Perciò, l´unificazione dell´Europa deve essere di esempio al resto del mondo, deve dimostrare come far fronte ai vari pericoli e alle barbarie di cui oggi siamo preda. In realtà, una simile missione - strettamente correlata al successo dell´integrazione europea - costituirebbe l´effettiva concretizzazione del senso europeo di responsabilità globale, e senza alcun dubbio rappresenterebbe una strategia migliore rispetto a quella di limitarsi a stigmatizzare l´America per i problemi che affliggono il mondo contemporaneo. È su queste pagine che la cosiddetta “sinistra” della politica non ha riflettuto abbastanza, se non per nulla. Assistiamo così ad un suo – della sinistra intendo dire – intrupparsi in un ordine politico indistinto che fa sì che la tanto declamata morte delle ideologie trovi, nell’indistinto politico in corso, la sua spettacolare affermazione. Spettacolare ma anche, al contempo, letale abbraccio con la “destra” politica di oggi che coltiva ed offre speranze a tutte quelle masse di diseredati e di ceti impoveriti che rivolgono all’altrove, che non sia la “sinistra”, la loro attenzione ed alla “destra” d’oggi affidano le loro ultime speranze. Ne sopravviene quanto avvenuto in questi giorni nelle elezioni americane. Una sorpresa che non può essere considerata tale, allorché la disattenzione, la mancata indicazione di un percorso che fosse di contrasto o quanto meno di contrappeso agli avvenimenti selvaggi della globalizzazione - da parte delle elitès di governo dell’Occidente -, hanno spinto milioni e milioni di americani a dare ascolto ad un istrione capace di mobilitarne le residue speranze riposte. E “paradigmando” il Vaclav Havel di quel Suo remotissimo ma sempre attuale – come non mai - scritto del 19 di dicembre dell’anno 2011, quando le “rivoluzioni” non le compie la “sinistra” non è detto che non le facciano altri attori politici di ben altra estrazione e con interessi ed intendimenti diversi. È ciò che avviene allorquando inaspettati capovolgimenti sembra vogliano coglierci di sorpresa. Ché sorpresa non è, ma solamente la dimostrazione della inanità e della limitatezza degli attori politici che nel tempo hanno pensato bene fosse conveniente un abbraccio, se non ideale pragmatico ed operativo sì – abbraccio soporifero prima, mortale dopo –, con le avverse un tempo altre forze della politica. Donde ne deriva e ne deriverà uno “scotto” che interesserà l’intero corpo sociale – non per altro l’imbianchino di Braunau ebbe un largo consenso elettorale sulle ceneri della Repubblica di Weimar -, poiché le rivoluzioni “altre” non disdegneranno, avuto il largo consenso elettorale, ad aggredire selvaggiamente gli istituti fondamentali della democrazia per come si sono andati configurando al termine di quell’immane carneficina che è stato il secondo conflitto mondiale. È questa “cecità” la colpa maggiore che oggigiorno deve essere imputata agli attori tutti di quella parte politica un tempo denominata “sinistra”. Ha scritto Tommaso Cerno sul settimanale l’Espresso del 13 di novembre ultimo – “La rivoluzione e il Trump-olino verso l’Europa” – che c’è “il rischio di parlarci addosso per un paio di settimane, un mese al massimo, derubricando via via che passano i giorni The Donald da pericolo planetario a una specie di novello Reagan dei tempi nostri, Ronald & Donald, che suonano perfino simpatici, per poi renderci conto che ciò che è davvero avvenuto in America è il trampolino, anzi il Trumpolino, di ciò che sta per succedere in Europa. E che qui da noi, per assurdo, si rischia molto più, visto che loro, piaccia o no, non hanno mai avuto né re né dittatori. Il problema è che ce ne accorgeremo troppo tardi, quando cioè la “sinistra” sarà morta, soffocata dai suoi arzigogoli politicamente corretti, dalla sua sicumera, dalla voglia di “esclusività”, cioè di élite, che ha generato due danni opposti e deflagranti insieme: l’ha resa incapace di parlare a quello che per decenni è stato il “suo” popolo, facendo sì che i dimenticati di questo secolo facessero la rivoluzione a insaputa dei rivoluzionari storici, la sinistra popolare che diventa impopolare; ha regalato alla destra una dote che non aveva mai avuto, l’inclusività, (…). La capacità di allargare il consenso a chi non ha voce. Lo dimostrano i titoli di questi giorni, quando scrivono di Trump: “Trionfo al di là di ogni previsione”. Non è così. Sono sbagliate le previsioni, non i trionfi. Il voto tornerà prevedibile, solo quando gli strumenti di misurazione del desiderio popolare si saranno adeguati ai tempi, capaci cioè di rilevare la realtà e non solo le aspirazioni di chi già governa. Serve una sonda di maggiore profondità. Ma più scendi nei meandri dell’Occidente in crisi di valori e di soldi, più incontri gli spettri che non vorresti vedere. Gli errori, le bugie, le promesse, le speranze tradite. E più hai paura di guardare”.
La caduta del Comunismo ha offerto l´opportunità di creare istituzioni politiche globali più efficienti, che avessero le loro premesse nei principi democratici, e fossero in grado di arginare quella che nella sua forma attuale appare una tendenza autodistruttiva del nostro mondo industriale. Se non intendiamo essere travolti da forze sconosciute, i principi di libertà, eguaglianza e solidarietà - fondamenti stessi della stabilità e della prosperità delle democrazie occidentali - devono iniziare a essere applicati a livello planetario. Cosa ancor più importante, oggi è indispensabile, come già in epoca comunista, non perdere fiducia nell´importanza dei centri alternativi di pensiero e di azione civile. Non dobbiamo consentire di essere manipolati al punto da essere indotti a credere che i tentativi di cambiare l´ordine «costituito» e le leggi «incontestabili» non hanno importanza. Cerchiamo piuttosto di realizzare una società civile a livello globale, e ricordiamoci di insistere su un punto: la politica non è soltanto l´aspetto tecnologico del potere. La politica deve avere una dimensione morale. Al tempo stesso, i politici dei Paesi democratici devono riflettere seriamente sulla riforma delle istituzioni internazionali, perché abbiamo disperatamente bisogno di istituzioni in grado di occuparsi di una vera governance globale. (…). A noi europei spetta un incarico del tutto particolare. La civiltà industriale che ora si estende a tutto il mondo, ebbe le sue origini in Europa. Tutti i miracoli che essa rende possibile, così come tutte le terribili contraddizioni che essa comporta, possono essere considerati il frutto di un ethos che in origine è stato europeo. Perciò, l´unificazione dell´Europa deve essere di esempio al resto del mondo, deve dimostrare come far fronte ai vari pericoli e alle barbarie di cui oggi siamo preda. In realtà, una simile missione - strettamente correlata al successo dell´integrazione europea - costituirebbe l´effettiva concretizzazione del senso europeo di responsabilità globale, e senza alcun dubbio rappresenterebbe una strategia migliore rispetto a quella di limitarsi a stigmatizzare l´America per i problemi che affliggono il mondo contemporaneo. È su queste pagine che la cosiddetta “sinistra” della politica non ha riflettuto abbastanza, se non per nulla. Assistiamo così ad un suo – della sinistra intendo dire – intrupparsi in un ordine politico indistinto che fa sì che la tanto declamata morte delle ideologie trovi, nell’indistinto politico in corso, la sua spettacolare affermazione. Spettacolare ma anche, al contempo, letale abbraccio con la “destra” politica di oggi che coltiva ed offre speranze a tutte quelle masse di diseredati e di ceti impoveriti che rivolgono all’altrove, che non sia la “sinistra”, la loro attenzione ed alla “destra” d’oggi affidano le loro ultime speranze. Ne sopravviene quanto avvenuto in questi giorni nelle elezioni americane. Una sorpresa che non può essere considerata tale, allorché la disattenzione, la mancata indicazione di un percorso che fosse di contrasto o quanto meno di contrappeso agli avvenimenti selvaggi della globalizzazione - da parte delle elitès di governo dell’Occidente -, hanno spinto milioni e milioni di americani a dare ascolto ad un istrione capace di mobilitarne le residue speranze riposte. E “paradigmando” il Vaclav Havel di quel Suo remotissimo ma sempre attuale – come non mai - scritto del 19 di dicembre dell’anno 2011, quando le “rivoluzioni” non le compie la “sinistra” non è detto che non le facciano altri attori politici di ben altra estrazione e con interessi ed intendimenti diversi. È ciò che avviene allorquando inaspettati capovolgimenti sembra vogliano coglierci di sorpresa. Ché sorpresa non è, ma solamente la dimostrazione della inanità e della limitatezza degli attori politici che nel tempo hanno pensato bene fosse conveniente un abbraccio, se non ideale pragmatico ed operativo sì – abbraccio soporifero prima, mortale dopo –, con le avverse un tempo altre forze della politica. Donde ne deriva e ne deriverà uno “scotto” che interesserà l’intero corpo sociale – non per altro l’imbianchino di Braunau ebbe un largo consenso elettorale sulle ceneri della Repubblica di Weimar -, poiché le rivoluzioni “altre” non disdegneranno, avuto il largo consenso elettorale, ad aggredire selvaggiamente gli istituti fondamentali della democrazia per come si sono andati configurando al termine di quell’immane carneficina che è stato il secondo conflitto mondiale. È questa “cecità” la colpa maggiore che oggigiorno deve essere imputata agli attori tutti di quella parte politica un tempo denominata “sinistra”. Ha scritto Tommaso Cerno sul settimanale l’Espresso del 13 di novembre ultimo – “La rivoluzione e il Trump-olino verso l’Europa” – che c’è “il rischio di parlarci addosso per un paio di settimane, un mese al massimo, derubricando via via che passano i giorni The Donald da pericolo planetario a una specie di novello Reagan dei tempi nostri, Ronald & Donald, che suonano perfino simpatici, per poi renderci conto che ciò che è davvero avvenuto in America è il trampolino, anzi il Trumpolino, di ciò che sta per succedere in Europa. E che qui da noi, per assurdo, si rischia molto più, visto che loro, piaccia o no, non hanno mai avuto né re né dittatori. Il problema è che ce ne accorgeremo troppo tardi, quando cioè la “sinistra” sarà morta, soffocata dai suoi arzigogoli politicamente corretti, dalla sua sicumera, dalla voglia di “esclusività”, cioè di élite, che ha generato due danni opposti e deflagranti insieme: l’ha resa incapace di parlare a quello che per decenni è stato il “suo” popolo, facendo sì che i dimenticati di questo secolo facessero la rivoluzione a insaputa dei rivoluzionari storici, la sinistra popolare che diventa impopolare; ha regalato alla destra una dote che non aveva mai avuto, l’inclusività, (…). La capacità di allargare il consenso a chi non ha voce. Lo dimostrano i titoli di questi giorni, quando scrivono di Trump: “Trionfo al di là di ogni previsione”. Non è così. Sono sbagliate le previsioni, non i trionfi. Il voto tornerà prevedibile, solo quando gli strumenti di misurazione del desiderio popolare si saranno adeguati ai tempi, capaci cioè di rilevare la realtà e non solo le aspirazioni di chi già governa. Serve una sonda di maggiore profondità. Ma più scendi nei meandri dell’Occidente in crisi di valori e di soldi, più incontri gli spettri che non vorresti vedere. Gli errori, le bugie, le promesse, le speranze tradite. E più hai paura di guardare”.
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