Sta scritto sul dizionario Sabatini-Coletti che per
“ditirambo”
– la sillabazione del quale è “di-ti-ràm-bo”, s.m. – intendesi “1
Nell'antica letteratura greca, forma corale di poesia lirica; 2 Nella
letteratura italiana, componimento poetico di metro vario che esalta le gioie
della vita, in partic., del vino e dell'amore; 3 fig. Discorso, scritto di tono
elogiativo; • sec. XVI”. Di un ditirambo me ne sono occupato di recente
ovvero il 24 di aprile ultimo col titolo “Il ditirambo dell’Eugenio” ove l’Eugenio
è il fondatore del quotidiano a più forte tiratura e diffusione del bel paese. Nell’occasione
la carità cristiana, che mi soccorre in particolari momenti della mia vita, pur
non professandone la fede, mi consigliò di risparmiare agli incauti
frequentatori di questo diario-in-rete la trasposizione del ditirambo di cui
sopra. Nonostante ciò quel post del 24 di aprile figura tra i post più popolari
di questo blog. Una ragione pur ci sarà. E così, come soccorrendomi ancor una
volta la cristiana carità, ho evitato di ammannire agli incauti visitatori un
altro ditirambo dell’Eugenio comparso nell’abituale suo domenicale del 18 di
maggio che per titolo fa “Il 25 maggio
bisogna votare per Renzi e per Schulz”. Sennonché oggi mi sono imbattuto in un nuovo
devastante ditirambo, sempre sul quotidiano più forte in tiratura e diffusione
nel bel paese, a firma di Massimo L. Salvadori, ditirambo che ha per titolo “Le scelte che fanno la differenza”,
titolo che per certi versi è molto intrigante. Chi non possiede voglia di
scoprire le differenze?
Non ho resistito e mi sono dato alla sua lettura: (…).
…il voto è importante. Uno può buttare via il suo voto in quattro diversi modi:
standosene a casa (il che equivale a dire: “andate tutti al diavolo!”) oppure
consegnando scheda bianca (il che, se non si è organicamente indifferenti,
equivale a dire: “vorrei fare il mio dovere di cittadino, ma fate tutti
egualmente schifo”) oppure dando un voto di punizione (il che equivale a dire:
“vorrei votare per te in base alle mie inclinazioni di fondo, ma non lo faccio
perché desidero darti una lezione e quindi scelgo un altro anche se non mi
piace”) oppure do la mia preferenza ad un partito incapace di influire sui
rapporti di forza per dare quanto meno una testimonianza ideale. A questo
punto ho capito che l’illustre parlava proprio di me, di quel qualcuno che nell’occasione
avrebbe dato il suo voto “ad un partito incapace di influire sui
rapporti di forza per dare quanto meno una testimonianza ideale”. È forse
vietato farlo? Ché degli ideali non si debba più tenere conto alcuno? Massimo
Luigi Salvadori risulta essere, sulla Enciclopedia libera della rete, uno
storico ed un politico italiano. Da docente universitario avrà conosciuto una
miriade di personaggi del suo rango e del suo livello. Tra gli altri avrà
sicuramente conosciuto e forse frequentato il professor Giovanni Fiandaca. L’arrembante
primo ministro avrebbe detto “Fiandaca, chi?”. Legittima domanda.
Ma quel Fiandaca, di conoscenza tanto per il Salvadori che per il Renzi, è
candidato alle prossime elezioni del 25 di maggio. Dov’è lo scandalo? Se di
scandalo ancor oggi sia possibile parlare. Una rapida informativa sul
personaggio ce l’ha fornita Marco Travaglio su “il Fatto Quotidiano” di ieri 20
di maggio col titolo “’U professuri”.
Leggiamo: Chi sia Fiandaca i nostri lettori lo sanno, ma molti elettori del Pd
forse no: è il giurista che si diverte a pubblicare sul Foglio articolesse di 6
pagine dal titolo “Il processo alla trattativa è una boiata pazzesca”; e che se
n’è appena uscito con un libro, La mafia non ha vinto (e, non avendo neppure
perso, se ne deduce che ha pareggiato). Lì sostiene che fu cosa buona e giusta,
nel 1992, che lo Stato mandasse i vertici del Ros a trattare con i mafiosi da
Riina in giù che avevano appena assassinato Falcone, usando come tramite il
mafioso Ciancimino: lo fecero – è la tesi di Fiandaca – “in stato di necessità”
e “a fin di bene”. Il “bene” lo conosciamo: salvare alcuni politici collusi
dalla vendetta di Cosa Nostra che li considerava traditori e sacrificare
Borsellino (che si opponeva alla trattativa), la sua scorta, più altri 12
cittadini morti ammazzati (tra cui una bambina di 50 giorni) e decine di feriti
nelle stragi del ’93 a Firenze, Milano e Roma. Effetti collaterali, dettagli.
L’importante è assolvere preventivamente i servitori del doppio Stato imputati
al processo di Palermo: Mannino, Mancino (col suo protettore sul Colle),
Dell’Utri, Subranni, Mori e De Donno. Poveri martiri. Un tempo queste boiate
pazzesche le dicevano i B., i Dell’Utri, i Ferrara. Ora le dice il fiore
all’occhiello del Pd in Sicilia. (…). L’altro giorno, contestato a Messina da
alcuni attivisti 5Stelle che poveretti avevano letto il suo libro e dunque
l’accusavano di screditare i pm di Palermo, ‘U Prufessuri li ha apostrofati con
un “andate a studiare” (invito che dovrebbe rivolgere a se stesso, visti gli
svarioni che lardellano il suo libercolo). Poi, sempre molto lucido, ha tenuto
a precisare che “a Santa Caterina Villarmosa, dove sono le mie radici, dicono
che i Fiandaca hanno cinque tumuli di cervello”. Però nelle famiglie c’è sempre
la pecora nera: di solito è quella che si dà alla politica. Infatti, anziché
confutare nel merito le obiezioni alle sue tesi scombiccherate (l’avevamo
sfidato a un confronto pubblico, ma se l’è data a gambe), replica con le
minacce. (…). Ed il professor Massimo Luigi Salvadori conosce il
collega Fiandaca? E su quelle posizioni del Fiandaca come la pensa? Sarebbe interessante
saperne qualcosa! Poiché essere d’accordo col Fiandaca la direbbe lunga su
questo momento di confusione che il bel paese attraversa. Ora il Fiandaca sta
candidato nel PD. In Sicilia. Embé dirà qualcuno? È su quell’embé che le cose
non collimano e che quel qualcuno farà pesare nelle sue scelte elettorali del
25 di maggio. Continua a scrivere Massimo L. Salvadori: Questo atteggiamento ha fatto
breccia tra molti di coloro che in passato, nonostante tutti i maldipancia
possibili, si ascrivevano alla sinistra, fornendo così prova di dare ancora
importanza a distinzioni che ora sembrano non più riconoscere. Nella loro
diversità di motivazioni i quattro modi sopra indicati convergono in un unico
esito: contribuire all’indebolimento se non alla sconfitta della forza politica
che pure dovrebbe rappresentare anche ai custodi del meglio ideale il meno
peggio reale. Poiché nella realtà dei rapporti politici e sociali esiste sempre
il meno peggio. Chi non vuol vederlo e accettarlo si pone al di fuori dei
comportamenti orientati a criteri di razionalità. Aspira a rendere più sana,
più alta la politica e, spinto dalle proprie delusioni, contribuisce a farla
affondare del tutto. Invoca una più nobile responsabilità negli altri mentre
ignora la propria che è di non lasciare libero campo alle forze che se non
altro il buon senso dovrebbe indicare come le peggiori anche nello scenario che
è indotto ad avversare nel suo insieme. Non percepire il valore del relativo
significa in politica, appunto, porsi contro la razionalità. (…). Ma come
è possibile scrivere di queste cose? Scrivere che “nella realtà dei rapporti
politici e sociali esiste sempre il meno peggio”. “Ma mi faccia il piacere” avrebbe detto o scritto quella che è stata la
maschera più amata del bel paese! Non siamo di fronte al “meno peggio”, ma al “peggio”
in assoluto. Poiché sulla scorta delle cose viste e vissute nel bel paese, a
meno che non si voglia parlare per astrazione, non è esistita forza politica alcuna
che abbia saputo contrastare efficacemente e senza tonitruanti proclami la
criminalità mafiosa organizzata, al nord come al sud, le più diffuse forme di
ruberie della ricchezza pubblica, la sottrazione di risorse ingenti che ben avrebbero
concorso a dare serenità al paese, la disarticolazione del controllo, “manu
militari”, di amplissime aree del territorio. E poiché stiamo per
votare per l’Europa, in quel contesto la credibilità dei politicanti al potere nel
bel paese è ridotta allo zero. Poiché non una di quelle emergenze l’”antipolitica”
al potere è stata capace di affrontare con determinazione cogliendone i frutti
per l’intera collettività del bel paese.
E poi l’alfa e l’omega del ditirambo: È un vecchio, intramontabile vizio della
“sinistra pura” l’amore per le dichiarazioni di principio, per l’etica della
convinzione, per l’imperativo categorico che non transige e induce a avversare
in primo luogo la sinistra impura. Più la sinistra ne è stata danneggiata e più
questo vizio si riproduce come un fungo dalle belle apparenze e dagli effetti
velenosi. (…). Abbiamo capito: tutto ciò che è appartenuto alla
cosiddetta “sinistra pura” è divenuta fuffa, “roba che non vale niente, argomentazione
inconsistente, senza capo né coda”. Di grazia, quale sarà allora la “sinistra
impura”? Che sia quella che si presenta ai nostri attoniti occhi? E se
è “impura”,
quale potrà essere mai la sua affidabilità, la sua credibilità?
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