Ha scritto Ezio Mauro nel Suo
editoriale del 12 di maggio sul quotidiano la Repubblica – “La grande amnesia italiana” -: Ma (…) non sta molto bene nemmeno
la pubblica opinione, (…). Nei Paesi di democrazia diffusa, e attiva, è un
soggetto ben distinto dal potere, capace di controllarlo, giudicarlo e
soprattutto di pretendere un costante rendiconto. Eccitata da Tangentopoli,
credendo di essere diventata protagonista, la pubblica opinione italiana ha
affidato la sua fuoruscita da quella stagione a un presunto uomo nuovo che era
in realtà il figlio legittimo, perfetto e riconosciuto del Caf, cioè
quell'alleanza di potere più che di governo tra Craxi, Andreotti e Forlani, con
cui l'agonia della Prima Repubblica cercò di prolungare se stessa prima di
sprofondare nelle tangenti. La cosiddetta “pubblica opinione”.
Invoca l’illustre notista una peculiarità propria dei paesi a democrazia
avanzata. Che non esiste nel bel paese. Ché, seppure fosse stata sul nascere,
le vicende indecorose dell’ultimo ventennio a questa parte hanno contribuito a
bloccare inviluppandola in un intrico dal fondo del quale essa non riesce più a
riemergere. E non vuole essere questa mia una stanca, querula denuncia. Del
“mugugno”, come sport nazionale, ne siamo stanchi. È che quella peculiarità, la
pubblica opinione contraltare del potere, è venuta a mancare nel bel mezzo del
ventennio con una responsabilità che è da spalmare su tutte le componenti
politiche. Ho testimonianza delle passate denunce. Ritrovo un primo ritaglio
datato 18 di luglio dell’anno 2010. È di un attento osservatore qual’è Ilvo
Diamanti. Che provava a spiegare a quel tempo la mancata comparsa della
cosiddetta “pubblica opinione” matura e consapevole. E responsabile. E che
non fosse “unica”.
Scriveva sul quotidiano la Repubblica – “Perchè non esiste l'opinione pubblica
unica” -: Il fatto è che l'Opinione Pubblica Sovrana, per essere tale, non può
essere plurale. È un plebiscito che si celebra ogni giorno, a colpi di sondaggi
amplificati dai media, celebrati da giornalisti, certificati da pollster e
specialisti. Non uno strumento per capire e orientarsi. Ma una rappresentazione
della volontà popolare. Dove la maggioranza (…) di un campione, costituito da
1000 oppure 800 casi, rappresenta gli italiani. Tutti. Cioè: il popolo. Così,
la diffusa sensazione di un governo che non governa, dove molti, a partire dal
premier, si fanno i fatti propri piuttosto che quelli dei cittadini, non
compromette solo il clima d'opinione. Ma, soprattutto: ri-disegna l'Opinione
Pubblica. Per definizione: unica. Sovrana. (…). Perché nel nostro tempo si vota
una tantum, mentre i sondaggi - che fabbricano l'Opinione Pubblica Sovrana - si
realizzano ogni giorno. (…) L'Opinione Pubblica Unica non esiste. Sicuramente
non la misurano i sondaggi (strumenti imperfetti che rilevano opinioni). I
quali, però, possono essere usati per costruirla, soprattutto con l'appoggio
dei media. Per questo, fra i poteri da equilibrare, oggi, Montesquieu
inserirebbe sicuramente il sistema dell'opinione pubblica - media, sondaggi,
comunicazione. E dubitiamo che apprezzerebbe il grado di concentrazione esercitato
in Italia dal Cavaliere. Premier, leader del partito di maggioranza,
proprietario del maggiore gruppo mediatico privato e attore influente di quello
pubblico. Tuttavia, il campo dell'opinione pubblica è ampio e diversificato. (…).
Giornali, televisioni, internet. Che nessuno è in grado di controllare fino in
fondo. È questo il principale anticorpo di cui disponga la democrazia
(dell'opinione). Perché l'opinione pubblica in cui noi crediamo è lo spazio che
rende pubblico il confronto sulle decisioni di interesse pubblico. Dove è
possibile discutere tutto. E tutti. A partire da noi stessi. In questa
operazione di “ri-disegnare” l’opinione pubblica le responsabilità, seppur
diffuse, sono ascrivibili in maggiore misura e peso all’uomo di Arcore,
erroneamente oggigiorno considerato fuori-gioco e caduto in disgrazia. Scrive
ancora Ezio Mauro: Per convenienza e per natura, si potrebbe dire per vizio e per calcolo,
Berlusconi appena arrivato al potere attraverso la breccia di Tangentopoli l'ha
subito richiusa, murando insieme con quel periodo anche le questioni della
trasparenza e della legalità. Grandioso interprete del senso comune mutevole
degli italiani, abile fabbricatore lui stesso di senso comune, lo ha portato
via via a sostituirsi alla pubblica opinione. Con la differenza - capitale -
che il senso comune non è autonomo, ma è tutt'uno con il potere, che lo
indirizza, lo guida e spesso lo sceneggia. Si spiega così (e così soltanto) la
grande amnesia italiana che ha realizzato questa straordinaria banalizzazione
del ventennio. Operazioni criminali devitalizzate nel giudizio sociale, legami
organici con le mafie ridotti ad episodi romanzeschi, inchieste raccontate come
persecuzioni, manipolazioni dei codici ad personam spacciate come riforme di
interesse generale, condanne definitive deprivate di ogni significato, pene
spettacolarizzate, misure giudiziarie vendute come volontariato, la legalità
trasformata in un optional, anzi un fastidio personale e un impaccio nazionale.
Una continua, insistita mistificazione della realtà, un'accorta epopea del
banale per nascondere evidenze criminali vere e proprie: pervertendo infine e
soprattutto la politica, che è la capacità di giudicare la realtà, creando
consenso o dissenso su questo giudizio. La creazione, quindi, di un
paese che non c’è, creazione che ha potuto attecchire in quell’artefatto
immaginario collettivo che ha condotto allo stato grave dell’oggi per il quale la
pubblica opinione, per dirla con Ezio Mauro, “non sta molto bene”. Scriveva Pina
Picierno, secondo ritaglio che fa storia, sul quotidiano l’Unità del 21 di
gennaio 2011 – “Questo Paese non è un
rotocalco” -: Quello che abbiamo sotto gli occhi è un quadro desolante. Un'Italia di
plastica in cui tutto è transazione, scambio commerciale, marketing
dell'esistenza che nasconde e stravolge il paese reale: l'immagine di un
vecchio riccone al potere che non sa più distinguere tra verità e menzogna, tra
affetto e opportunismo, tra vita privata e indecenza pubblica. Un'Italia
surreale, fatta di donne disposte a tutto pur di entrare nelle grazie del capo.
Un'Italia distante mille miglia dai problemi, dalle fatiche e dall'impegno di
milioni d'italiane. Di plastica, finto, è Berlusconi, la sua ossessione per la
giovinezza, il suo circondarsi di graziosi ninnoli in carne e ossa e
l'attenzione morbosa che rivolge loro. È di plastica la favola del principe
ricco che, incantato dalla grazia di povere fanciulle, le aiuta con generosità.
Di plastica è la sua patetica difesa, costruita sull'ennesima denuncia di una
persecuzione da parte dei pm e sull'annuncio dell'esistenza di una presunta
fidanzata ufficiale. L'ultima trovata di chi crede che tutto possa essere
risolto con un casting e qualche fotoromanzo. (…). L'Italia trasformata in uno
dei programmi tv che egli stesso ha creato, in cui essere famosi giustifica
tutto, anche le umiliazioni. E le vittime di tutto questo sono i giovani
italiani. A loro, in 15 anni di potere politico e mediatico berlusconiano, è
stato proposto un solo modo di essere: quello per cui l'apparenza è tutto, la
spregiudicatezza è fondamentale, tutto è concesso per vincere. E vincere
significa essere famosi, a qualunque prezzo, per essere ricchi. Se non ci
liberiamo di quest'uomo, delle sue ossessioni, del suo mondo di squallida
finzione, sarà impossibile spiegare ancora ai nostri figli che l'impegno paga,
che la fatica premia, che la bellezza e la dignità non sono separabili. Se non
ci liberiamo di lui e del vergognoso rotocalco in cui ci ha costretti a vivere,
dovremo spiegare ai nostri figli perché mai nessuno si è occupato di costruire
un futuro, di risolvere i problemi del Paese, di creare occupazione per oltre
15 anni. (…). Ha chiuso Ezio Mauro il Suo editoriale di lunedì 12 di
maggio così: La grande amnesia ha funzionato da amnistia generale, preventiva e
definitiva. (…). Il virus galoppa anche per colpa nostra. Eppure il momento è
questo, e siamo già in ritardo di vent'anni (…).
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