Segnava l’anno undicesimo del
terzo millennio. Anno quarto dall’inizio della grande “crisi globale”. Al tempo
i visionari ed i negazionisti s’industriavano a diffondere la vulgata della
non-esistenza della grande “crisi globale”. Oggigiorno sappiamo
bene come sia andata a finire. Il primo di ottobre dell’anno 2011, prima ancora
che questo blog trasmigrasse sull’attuale piattaforma digitale, mettevo in Rete
il primo post della serie “Capitalismoedemocrazia”.
Titolo di quel post che ho fortunatamente salvato dagli abissi oscuri della
Rete: “L´occasione della crisi”. A quel
tempo era tutto un vaticinare soluzioni affinché la “crisi globale” fosse di
slancio superata. Affinché la corsa alla “ripresa”, altra parola magica, per
non voler dire alla ripresa del grande consumo o sperpero collettivo, potesse
in breve tempo ripartire. Cinismo puro! Poiché al tempo, quale imputato primo della
grande “crisi globale”, veniva indicato lo Stato sociale. Fortuna e
vanto della vecchia Europa. E tutti ad andar dietro alla bugiarda novella:
ridimensionare se non abbattere lo Stato sociale. La Grecia ha insegnato. Intanto
accadeva che i soliti noti
approfittavano della grande “crisi globale” per ri-sistemare i
giganteschi conti in rosso delle banche e delle varie attività finanziarie.
Ha scritto
Curzio Maltese sul numero in edicola del settimanale “il Venerdì di Repubblica”
– “L’Europa è come il Titanic e sulle scialuppe salirà solo chi viaggia in
prima” -: L'austerità serve soprattutto a due scopi. Il primo è continuare a
finanziare il salvataggio del sistema bancario attraverso i tagli al welfare.
Le grandi banche del Nord sarebbero già fallite se l'Unione non avesse pompato
1.500 miliardi nelle loro casse, ma molte comunque falliranno nei prossimi
anni, perché il conto delle folli speculazioni prima o poi arriverà. Il secondo
obiettivo è allargare le differenze fra Nord e Sud Europa per creare nell'area
mediterranea una grande riserva di manodopera a basso prezzo, a tutto vantaggio
della ripresa tedesca. Il calcolo dei poteri forti e dominanti, quelli veri, è
semplice e cinico. Essi considerano che ormai l'Europa abbia fallito, che sia
come il Titanic colpito dall'iceberg e sul punto di affondare. Si tratta di (…)
salvare i passeggeri della prima classe, la Germania e i suoi alleati del Nord,
e lasciar affondare quelli di seconda e terza, l'Italia, la Spagna, il Portogallo
e la Grecia. La Germania impone al Sud i tagli allo stato sociale, ma intanto
cresce perché protegge e incrementa il suo welfare. Amen. Rileggiamo il
post di quel primo di ottobre: “Il consumo è il mio incubo. Ormai è
difficile che compri qualcosa senza avere sensi di colpa”. Questo è stato il commento della carissima
amica Franca Maria Bagnoli, valente scrittrice ed attiva nella rete, al post
del 26 di settembre “I fondamentalisti
dell’economia” nel quale trascrivevo una riflessione del grande sociologo
Zygmunt Bauman. Anch’io in quel post mi spingevo in affermazioni perentorie del
tipo “non possiamo aiutarvi ad irrobustire la ripresa poiché siamo
impossibilitati a consumare di più avendo tanto, per non dire tutto; non
contate più su di noi che abbiamo avuto ed abbiamo il superfluo invogliandoci a
continuare a consumare il superfluo del superfluo delle nostre vite; rivolgete
le vostre attenzioni a tutti coloro che sono stati tagliati fuori da questo
godere, per anni e anni, ed approntate strategie affinché siano posti nelle
condizioni di consumare come si è fatto sinora da parte di quel ceto medio di
consumatori incalliti e senza rimorsi”. Era ed è il mio sentire e il commento
di Franca Maria mi conforta. Lungi da me la tentazione di voler suscitare nel
prossimo mio “incubi” di sorta; ma
sono convinto che in un tale momento di difficoltà sia giusto cogliere “l’occasione della crisi” per rivedere
il nostro essere, “per proporsi
seriamente una conversione del modo di produrre e di consumare, e dei modi di
vivere”. Sono queste le convinzioni espresse da Adriano Sofri nel Suo
editoriale “L’occasione della crisi” pubblicato
sul quotidiano “la Repubblica” che
di seguito trascrivo in parte. (…). È certo che in un qualsivoglia modo si
uscirà dalla crisi presente. Il problema è come, soprattutto sul piano della
realizzazione di un’equità sociale che sia presupposto irrinunciabile per
democrazie sempre più compiute. Ha scritto Giorgio Ruffolo nella Sua dotta
riflessione “Sono dolori se la ricchezza
è un fantasma” pubblicata sul quotidiano l’Unità: Braudel (…) ha definito ‘autunno della finanza’ quella fase,
attraversata da tutti i cicli storici capitalistici nella quale, a causa del
declino dei rendimenti delle attività economiche reali (agricole, commerciali,
industriali) le risorse in esse impiegate vengono ritirate dai loro impieghi e
rese disponibili per essere investite in nuovi impieghi: funzione preziosa per
la circolazione e lo sviluppo delle attività economiche, ma transitoria. Una
volta svolto il suo compito, la finanza esce di scena e le risorse sono reinvestite
in attività produttive”. Siamo quindi nel bel mezzo di un ‘autunno della finanza’; l’ennesimo,
stando alla autorevolissima opinione di Giorgio Ruffolo. Se ne uscirà di certo
per via di quelle ciclicità delle crisi capitalistiche delle quali aveva
parlato con sorprendente preveggenza il grande di Treviri. Uscirne per “riprendere come se niente fosse dal punto
cui eravamo arrivati?”. Mi sembra un azzardo incredibile, insostenibile. “L’occasione della crisi” c’è; basta
coglierne le opportunità. “La crisi non
è se non la velocità bruscamente vertiginosa che ha preso il guazzabuglio
ingovernato che chiamiamo, ormai pigramente, capitalismo”. È questa l’amara
conclusione di Adriano Sofri. Il binomio capitalismo-democrazia reggerà al
vento impetuoso della finanziarizzazione globale che ha svuotato il “capitale produttivo” a favore di un “capitale finanziario” che non conosce
regole e non possiede finalità sociale alcuna? (…). Risuona un´unica
invocazione: La Crescita! Però non occorre essere adepti della Decrescita per
sentire che la crescita può voler dire cose diverse, e se ne volesse dire una
sola, riprendere come se niente fosse dal punto cui eravamo arrivati, sarebbe
impossibile e cieca. Eppure la crisi è la migliore, forse la sola, occasione
per proporsi seriamente una conversione del modo di produrre e di consumare, e
dei modi di vivere. (…). La chiamo conversione, perché di questo si tratta, di
un cambiamento di vita, e non della sola riconversione da una produzione e una
merce a un´altra produzione e un´altra merce. Che la conversione abbia un senso
religioso non nuoce affatto, perché la posta è qualcosa di sacro, come il
rapporto fra gli umani, le altre creature, e il pianeta. (…). Viene un momento,
nella esistenza personale e in quella del genere umano, in cui scelte e fatti
compiuti accumulati sono così pesanti da impedire di cominciare daccapo, e
anche soltanto di cambiare significativamente strada. Si vede che lo si deve
fare, ma non lo si può più fare. Né per propria scelta razionale (la cosa più
improbabile) né perché la situazione di necessità costringe. Siamo a questo
punto? Il feticcio della crescita indiscriminata ha, lui sì, portato già a una
decrescita forzosa e mortificata, e tutt´altro che provvisoria. Molto prima del
2007 o del 2011 eravamo avvisati che stavamo vivendo ben al di là delle nostre
possibilità. La Crescita – la scrivo maiuscola, in omaggio alla stranezza per
cui tutti la pronunciano come se sapessero davvero che cos´è – è come la carota
che penzola davanti al muso del somaro bastonato dal carrettiere. Il somaro sta
per stramazzare, e il carrettiere lo bastona più di prima. Questa decrescita,
recessione e impoverimento, si misura già sul metro di famiglie e individui che
riducono i propri consumi, per necessità o paura del futuro. Vedremo come la
restrizione si tradurrà in una modificazione nella scala dei desideri e dei
valori. Che cosa, cioè, venga sentito come superfluo. (…). La crisi non è se
non la velocità bruscamente vertiginosa che ha preso il guazzabuglio
ingovernato che chiamiamo, ormai pigramente, capitalismo. Non si sa se ridere o
piangere a sentire che il sistema mondiale andrà a fondo o no nel giro del
prossimo mese, delle prossime settimane, delle prossime ore. Ma la crisi è la
sfilata in cui il re col suo codazzo di cortigiani esce finalmente a mostrare
ai sudditi la meraviglia del suo abito, e il bambino screanzato che non tiene
gli occhi a terra esclama: Ma è nudo! Permette di guardare come un bambino –
dopo essersi sfregati bene gli occhi, dopo una lunga pesante dormita – le cifre
degli armamenti, o l´ingaggio daghestano di Eto´o, o le automobili ferme che
abitano le città e ne sfrattano gli umani, e di esclamare che è una cosa da
pazzi. Occorre coraggio per affrontare dentro la crisi l´idea di un altro modo
di muoversi, di abitare, di impiegare il vento e la monnezza e il tempo, di
imparare e insegnare. (…).”
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