“La libertà di Berlusconi è un'indecenza. Un
delinquente patentato può evitare di scontare la pena – attraverso
l’affidamento ai servizi sociali – solo “nei casi in cui si può ritenere che il
provvedimento contribuisca alla rieducazione del reo” (art. 47 della Legge
sull’ordinamento penitenziario). Era chiaro perciò che le condizioni stabilite
dalla legge per tale misura rieducativa non sono mai esistite. Non revocarla
immediatamente diventa ora un affronto alla legge eguale per tutti, visto che
il reo Berlusconi Silvio sta utilizzando quotidianamente il privilegio che gli
è stato concesso per infangare le istituzioni, insultando come golpisti i
magistrati che lo hanno condannato, e come torturatori quanti stanno cercando
di assicurare alla giustizia il suo degno compare Dell’Utri, o addirittura per
insultare un intero popolo con la speranza di un lurido tornaconto elettorale. Basta!
La legge eguale per tutti viene calpestata ogni minuto di più che Berlusconi
continua a passare in libertà, anziché in galera o in stringenti “domiciliari”
che gli inibiscano radicalmente la scena pubblica, che invece continua
impunemente a lordare. Primi firmatari: don Aldo Antonelli, Roberta De
Monticelli, Angelo d'Orsi, Paolo Flores d’Arcais, Giorgio Parisi, Adriano
Prosperi, Luciano Gallino, Ascanio Celestini, Salvatore Borsellino, Carlo
Bernardini, Carlo Flamigni”. È questo il testo dell’appello apparso sul
sito della rivista “MicroMega” il 2
di maggio. La mia firma di sottoscrizione è stata la
tremilaseicentoottantasettesima. Alle ore 15.00 di oggi le firme sono trentaduemilaseicentosei.
Sottoscrivendo l’appello ho lasciato il seguente messaggio: L'indecenza denunciata dal Vostro appello la
si potrebbe cancellare rimuovendo da tutte le aule dei tribunali la scritta
"la legge è uguale per tutti". È avvenuto che anche il giudice di
Milano abbia dato man forte affinché fosse chiaro che nel paese chiamato Italia
la giustizia è una giustizia legata al censo ed alla appartenenza alla
cosiddetta "casta" dei politicanti. È rimuovendo quella scritta dalle
aule dei tribunali che si porrà rimedio all'indecenza in atto. E forse avverrà
anche una riconciliazione con le degradate istituzioni repubblicane. La realtà
è questa, tutto il resto è menzogna e vergogna.
Ho sottoscritto l’appello per quel senso di vergogna che si prova allorché le regole e gli ordinamenti vengono offesi e ridotti al pubblico ludibrio. Ché “ludìbrio” è sostantivo maschile e deriva da quel “ludibrium” derivato a sua volta da quel “ludĕre” che ha per significato «schernire, farsi beffe». “Ludibrio”, che al sommo poeta nella “Eneide” faceva dire “Noi miseri Troiani, a tutti i venti, A tutti i mari omai ludibrio e scherno”. Provare vergogna quindi, mista ad una pietà per le sorti di un paese che, povero nella sua memoria, prova a sopravvivere degli espedienti peggiori. Ha scritto Massimo Fini su “il Fatto Quotidiano” del 3 di maggio 2014 – “Al mercato dei politici comprerei il tedesco” -: In quale Paese si permetterebbe a un galeotto di metterne a rischio le relazioni internazionali con dichiarazioni sciagurate? In quale Paese si permetterebbe a un galeotto di tenere, a piede libero, comizi politici, televisivi e non, e anche, con grande arroganza, di lamentarsene? In quale Paese si permetterebbe a un galeotto di incontrare il presidente del Consiglio per concordare importanti riforme istituzionali? In quale Paese si permetterebbe a un galeotto di farsi ricevere dal Presidente della Repubblica? In quale Paese si permetterebbe a un galeotto di accusare impunemente di 'golpe' il Capo dello Stato, laddove un uomo politico, incensurato, è finito sotto inchiesta della magistratura per un semplice sberleffo a quello stesso Capo dello Stato? In quale Paese si concederebbero i servizi sociali a un galeotto sulla cui testa grava un'altra, e ancora più pesante, condanna e nei cui confronti sono in corso un altro paio di procedimenti penali? In quale Paese si permetterebbe a un galeotto di violare tutte le condizioni alle quali gli sono stati concessi i servizi sociali e di irridere questi stessi servizi, senza revocarglieli immediatamente e spedirlo là dove un galeotto dovrebbe stare, al fresco? In quale Paese si sarebbe permesso a un premier di delegittimare la propria magistratura definendola, anche con dichiarazioni rese all'estero, «il cancro della democrazia»? In quale Paese si sarebbe permesso a un imprenditore di occupare, per una quindicina d'anni, l'intero comparto televisivo privato nazionale e, in alcuni periodi, divenuto politico, anche i due terzi di quello pubblico? In quale Paese si sarebbe permesso a un imprenditore-politico di prendere in giro la comunità vendendo, in contrasto con una già molto blanda legge sulle concentrazioni editoriali, il proprio quotidiano a suo fratello? Ai contemporanei l'ardua sentenza.(…). Domanda: “in quale Paese?”. Ma signori miei, non dimenticate che quel paese esiste ed è l’Italia. Per l’appunto. Laddove il “ludibrio” delle regole e delle istituzioni non genera sdegno alcuno poiché le regole sono sempre personalizzate al meglio e le istituzioni sono qualcosa che non hanno a che fare con il “familismo amorale” nel quale annega quello che fu definito il bel paese. Le regole diventano proprie se personalizzate, le istituzioni sono imposizioni se non imposture di uno Stato screditato e senza autorevolezza alcuna. Screditato e senza autorevolezza non per via di un fato avverso. Ha scritto ieri su “il Fatto Quotidiano” il giornalista di origine danese Udo Gümpel, oggi con cittadinanza tedesca – “Mai dimenticare Hitler, ma il vostro Mussolini?” -: Il dibattito politico italiano è gaga. Un esempio? Il Fiscal Compact. Sono certo, nessuno lo ha letto. Parlano di 50 miliardi/anno per 20 anni. Cavolate. Il fronte anti-Euro in questo è unito. Dall’ignoranza. Da Grillo a Le Pen a Bossi fino agli sprazzi anti-Euro di Berlusconi. In realtà l’Italia forse non deve tagliare niente, nel 2016, quando scatta, al massimo 5-7 miliardi. Su una spesa statale di 810. Impossibile? Ridicolo. Poi ci si chiede perché non li prendono sul serio. In Europa. Se ci vanno solo i clown? Non manca mai l’Euro, cavallo di battaglia numero due. Sul banco degli accusati la Germania. Sempre. Bisognerebbe ricordare che la Germania è paese in surplus d’export dal 1871 quando c’era il Reichsmark. Che l’industria tedesca chiede un cambio forte. Strano, vero? Anziché spiegare le ricette di crescita: la ricerca totale della qualità del prodotto. Ma i propagandisti del nulla vanno in tv e nelle piazze straparlando della svalutazione, senza spiegare chiaro e tondo: se vuoi fare concorrenza al Vietnam, devi pagare anche stipendi vietnamiti. Poi abbiamo i Mini-Jobber. Mai fu creato un posto con i Mini-Jobber, serviva a togliere il lavoro nero, mentre i posti ben pagati furono creati dalle PMI tedeschi, quelli della qualità totale, quasi 5 milioni, ma chi lo sa? Strano mondo, quello dei politici italiani, da Grillo a Berlusconi. Non toccato dai fatti. Meglio vivere di pregiudizi. Ecco perché si prova vergogna e pietà al contempo. Vergogna che dal pomeriggio del scorso è divenuta strabocchevole. Impossibile a contenerla dopo quel pomeriggio di “sangue e arena”, intesa l’arena come verde campo di calcio. Ne ha fatto un ritratto socio-antropologico Roberto Saviano sul quotidiano la Repubblica di ieri 5 di maggio – “Lo stato nel pallone salvato da Gomorra” -: (…). …Genny 'a carogna non sarebbe solo un uomo che ha precedenti per droga e un Daspo, ma è segnalato più volte dai pentiti come una sorta di anello di congiunzione tra camorra e tifoseria. Emiliano Zapata Misso, che è nipote di Giuseppe Misso, capo storico della camorra napoletana, parla di una tifoseria eterodiretta dai clan e fa riferimento proprio a Genny, che è figlio di Ciro De Tommaso, ritenuto affiliato al clan Misso. E in passato Genny aveva fatto parte dei Mastifss, i mastini, storico gruppo napoletano. D'improvviso ora ci si accorge che nelle tifoserie organizzate la camorra ha un ruolo importante. Eppure basta leggere le inchieste degli ultimi anni, le dichiarazioni dei pentiti. Testimonianze che parlano di un altro gruppo ultrà chiamato Rione Sanità, comandato da Gianluca De Marino, non un tifoso qualsiasi, ma il fratello di un membro dell'ala militare del clan Misso. E potremmo raccontare ancora dei rapporti tra il gruppo Masseria Cardone e il clan Licciardi, o dell'infiltrazione dei Mazzarella nei Fedayn o nelle Teste matte. (…). Ora gli ultras dello sport sono i primi ad agire. Ma cosa succederà quando gli ultras della rabbia politica si riverseranno nelle strade? Ci si rivolgerà al Genny’ a carogna della situazione per non far accadere il peggio? Il presidente del Senato Pietro Grasso che consegnava le medaglie ha suggellato il senso della serata. Una sparatoria, feriti, bombe carta su calciatori e forze dell’ardine. E le istituzioni consegnano medaglie. (…). Ma le istituzioni sono quegli uomini che non hanno sentito il dovere “istituzionale” di abbandonare una scena rossa di sangue. Istituzioni screditate e svilite. “E poi dicono la Germania”. Non più intere regioni controllate dal malaffare, ove lo stato latita se non viene con esso a patti. Ma al malaffare si chiede soccorso ed il malaffare consente il normale svolgimento della vita associata. Sportiva e non. È già avvenuto il 21 di marzo dell’anno 2004. Derby Roma-Lazio. Lo sparatore d’oggi, detto “Gastone”, acconsentì a che la disfida calcistica si svolgesse. Cosa se ne vuole di più?
Ho sottoscritto l’appello per quel senso di vergogna che si prova allorché le regole e gli ordinamenti vengono offesi e ridotti al pubblico ludibrio. Ché “ludìbrio” è sostantivo maschile e deriva da quel “ludibrium” derivato a sua volta da quel “ludĕre” che ha per significato «schernire, farsi beffe». “Ludibrio”, che al sommo poeta nella “Eneide” faceva dire “Noi miseri Troiani, a tutti i venti, A tutti i mari omai ludibrio e scherno”. Provare vergogna quindi, mista ad una pietà per le sorti di un paese che, povero nella sua memoria, prova a sopravvivere degli espedienti peggiori. Ha scritto Massimo Fini su “il Fatto Quotidiano” del 3 di maggio 2014 – “Al mercato dei politici comprerei il tedesco” -: In quale Paese si permetterebbe a un galeotto di metterne a rischio le relazioni internazionali con dichiarazioni sciagurate? In quale Paese si permetterebbe a un galeotto di tenere, a piede libero, comizi politici, televisivi e non, e anche, con grande arroganza, di lamentarsene? In quale Paese si permetterebbe a un galeotto di incontrare il presidente del Consiglio per concordare importanti riforme istituzionali? In quale Paese si permetterebbe a un galeotto di farsi ricevere dal Presidente della Repubblica? In quale Paese si permetterebbe a un galeotto di accusare impunemente di 'golpe' il Capo dello Stato, laddove un uomo politico, incensurato, è finito sotto inchiesta della magistratura per un semplice sberleffo a quello stesso Capo dello Stato? In quale Paese si concederebbero i servizi sociali a un galeotto sulla cui testa grava un'altra, e ancora più pesante, condanna e nei cui confronti sono in corso un altro paio di procedimenti penali? In quale Paese si permetterebbe a un galeotto di violare tutte le condizioni alle quali gli sono stati concessi i servizi sociali e di irridere questi stessi servizi, senza revocarglieli immediatamente e spedirlo là dove un galeotto dovrebbe stare, al fresco? In quale Paese si sarebbe permesso a un premier di delegittimare la propria magistratura definendola, anche con dichiarazioni rese all'estero, «il cancro della democrazia»? In quale Paese si sarebbe permesso a un imprenditore di occupare, per una quindicina d'anni, l'intero comparto televisivo privato nazionale e, in alcuni periodi, divenuto politico, anche i due terzi di quello pubblico? In quale Paese si sarebbe permesso a un imprenditore-politico di prendere in giro la comunità vendendo, in contrasto con una già molto blanda legge sulle concentrazioni editoriali, il proprio quotidiano a suo fratello? Ai contemporanei l'ardua sentenza.(…). Domanda: “in quale Paese?”. Ma signori miei, non dimenticate che quel paese esiste ed è l’Italia. Per l’appunto. Laddove il “ludibrio” delle regole e delle istituzioni non genera sdegno alcuno poiché le regole sono sempre personalizzate al meglio e le istituzioni sono qualcosa che non hanno a che fare con il “familismo amorale” nel quale annega quello che fu definito il bel paese. Le regole diventano proprie se personalizzate, le istituzioni sono imposizioni se non imposture di uno Stato screditato e senza autorevolezza alcuna. Screditato e senza autorevolezza non per via di un fato avverso. Ha scritto ieri su “il Fatto Quotidiano” il giornalista di origine danese Udo Gümpel, oggi con cittadinanza tedesca – “Mai dimenticare Hitler, ma il vostro Mussolini?” -: Il dibattito politico italiano è gaga. Un esempio? Il Fiscal Compact. Sono certo, nessuno lo ha letto. Parlano di 50 miliardi/anno per 20 anni. Cavolate. Il fronte anti-Euro in questo è unito. Dall’ignoranza. Da Grillo a Le Pen a Bossi fino agli sprazzi anti-Euro di Berlusconi. In realtà l’Italia forse non deve tagliare niente, nel 2016, quando scatta, al massimo 5-7 miliardi. Su una spesa statale di 810. Impossibile? Ridicolo. Poi ci si chiede perché non li prendono sul serio. In Europa. Se ci vanno solo i clown? Non manca mai l’Euro, cavallo di battaglia numero due. Sul banco degli accusati la Germania. Sempre. Bisognerebbe ricordare che la Germania è paese in surplus d’export dal 1871 quando c’era il Reichsmark. Che l’industria tedesca chiede un cambio forte. Strano, vero? Anziché spiegare le ricette di crescita: la ricerca totale della qualità del prodotto. Ma i propagandisti del nulla vanno in tv e nelle piazze straparlando della svalutazione, senza spiegare chiaro e tondo: se vuoi fare concorrenza al Vietnam, devi pagare anche stipendi vietnamiti. Poi abbiamo i Mini-Jobber. Mai fu creato un posto con i Mini-Jobber, serviva a togliere il lavoro nero, mentre i posti ben pagati furono creati dalle PMI tedeschi, quelli della qualità totale, quasi 5 milioni, ma chi lo sa? Strano mondo, quello dei politici italiani, da Grillo a Berlusconi. Non toccato dai fatti. Meglio vivere di pregiudizi. Ecco perché si prova vergogna e pietà al contempo. Vergogna che dal pomeriggio del scorso è divenuta strabocchevole. Impossibile a contenerla dopo quel pomeriggio di “sangue e arena”, intesa l’arena come verde campo di calcio. Ne ha fatto un ritratto socio-antropologico Roberto Saviano sul quotidiano la Repubblica di ieri 5 di maggio – “Lo stato nel pallone salvato da Gomorra” -: (…). …Genny 'a carogna non sarebbe solo un uomo che ha precedenti per droga e un Daspo, ma è segnalato più volte dai pentiti come una sorta di anello di congiunzione tra camorra e tifoseria. Emiliano Zapata Misso, che è nipote di Giuseppe Misso, capo storico della camorra napoletana, parla di una tifoseria eterodiretta dai clan e fa riferimento proprio a Genny, che è figlio di Ciro De Tommaso, ritenuto affiliato al clan Misso. E in passato Genny aveva fatto parte dei Mastifss, i mastini, storico gruppo napoletano. D'improvviso ora ci si accorge che nelle tifoserie organizzate la camorra ha un ruolo importante. Eppure basta leggere le inchieste degli ultimi anni, le dichiarazioni dei pentiti. Testimonianze che parlano di un altro gruppo ultrà chiamato Rione Sanità, comandato da Gianluca De Marino, non un tifoso qualsiasi, ma il fratello di un membro dell'ala militare del clan Misso. E potremmo raccontare ancora dei rapporti tra il gruppo Masseria Cardone e il clan Licciardi, o dell'infiltrazione dei Mazzarella nei Fedayn o nelle Teste matte. (…). Ora gli ultras dello sport sono i primi ad agire. Ma cosa succederà quando gli ultras della rabbia politica si riverseranno nelle strade? Ci si rivolgerà al Genny’ a carogna della situazione per non far accadere il peggio? Il presidente del Senato Pietro Grasso che consegnava le medaglie ha suggellato il senso della serata. Una sparatoria, feriti, bombe carta su calciatori e forze dell’ardine. E le istituzioni consegnano medaglie. (…). Ma le istituzioni sono quegli uomini che non hanno sentito il dovere “istituzionale” di abbandonare una scena rossa di sangue. Istituzioni screditate e svilite. “E poi dicono la Germania”. Non più intere regioni controllate dal malaffare, ove lo stato latita se non viene con esso a patti. Ma al malaffare si chiede soccorso ed il malaffare consente il normale svolgimento della vita associata. Sportiva e non. È già avvenuto il 21 di marzo dell’anno 2004. Derby Roma-Lazio. Lo sparatore d’oggi, detto “Gastone”, acconsentì a che la disfida calcistica si svolgesse. Cosa se ne vuole di più?
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