Ieri è stato il primo di maggio. Una data che,
nello spirito del tempo che mira all’omologazione al ribasso ed alla scomparsa
di qualsivoglia idealità e memoria, sarà passata per i più nell’indifferenza
più assoluta. Avranno fatto rumore, ma solamente un po’, gli annunciati
concerti; per il resto il nulla più assoluto. E così anche di questa data andrà
perduta la forte carica simbolica e la memoria che essa ha sempre rappresentato
per generazioni e generazioni di “quellichelasinistra”. È l’apoteosi
dello spirito del tempo che trova nell’obnubilamento delle coscienze e della memoria
la più grande delle vittorie. È su questa impietosa direttiva dello spirito del
tempo che i numerosi e grandi mass-media si sono sintonizzati nella ricorrenza.
Nelle loro programmazioni non un pur che timido accenno alla giornata del 1° di
maggio. Tranne la piccola “Laeffe”
della casa editrice Feltrinelli che in prima serata ha mandato in onda quel
film straordinario di Ken Loach che ha per titolo “Bread & Roses”. La stupenda opera cinematografica è dell’anno
2000, ben prima che scoppiassero tutte le bolle finanziarie di questo mondo
globalizzato. Ma essa, quell’opera intendo dire, mette a nudo l’eterna
contrapposizione tra sfruttati e sfruttatori.
Scriveva Alessandra De Luca sull’”Avvenire”
del 12 di maggio di quell’anno: "Loach continua a dirigere come sempre
in maniera straordinaria gli attori ai quali si crede dalla prima all'ultima
scena. Non che questo film aggiunga granché alla carriera di un regista che
come Woody Allen può permettersi ogni tanto anche film meno incisivi, eppure
alcune sequenze, come quella in cui Rosa confessa a Maya di essersi prostituita
per sfamare l'intera famiglia, sono di una tragicità che lascia il segno".
Ma non di un mondo di “escort” – oggigiorno di gran moda -
di alto bordo narra la storia di Ken Loach. Narra di una giovane messicana Maya
- interpretata da una straordinaria Pilar Padilla – che riesce ad entrare clandestinamente
negli Stati Uniti. Raggiunge così finalmente la sorella maggiore Rosa - interpretata da Elpidia Carrillo -, donna delle pulizie in un
grattacielo dove sono gli uffici delle più importanti compagnie d'affari di Los
Angeles. Rosa vive la sua vita di donna sposata e sfruttata, con figli a carico
e con un coniuge inabile al lavoro che necessita di cure sempre più costose che
la miserevole condizione della donna non consente di affrontare. E così Rosa si
trova nella condizione di dover provvedere alla sistemazione della sorella Maya
facendola incontrare con il capo dei servizi della ditta, un uomo senza
scrupoli che impone il pugno di ferro, orari senza limite, taglieggiamenti e salari miserevoli. Nessuno ha la forza di ribellarsi
stante la perenne minaccia del licenziamento. Ma la giovane Maya non riesce ad accettare
l’evidente iniquità della sua condizione e così quando negli uffici compare il
sindacalista Sam Shapiro – interpretato da Adrien Brody, l’attore de’ “Il pianista” (2002) di Roman Polański, tratto dal romanzo autobiografico
di Władysław Szpilman e premiato con la Palma d'oro al Festival di Cannes di quell’anno
-, ritiene di doversi associare alla lotta contro l’iniqua situazione. Come sempre
accade nelle mobilitazioni delle coscienze le reazioni sono contrastanti: alcuni
sono solidali con le lotte intraprese, ma molti soggiacciono al ricatto di perdere
il posto. E tra questi c'è anche Rose. Ed avviene così che tra le due donne e
sorelle la situazione si fa molto tesa. Allorquando sei lavoratrici perdono il
lavoro la giovane Maya scopre che è stata proprio Rose a denunciarle ed allora
la rabbia esplode con forza dei disperati di tutti i tempi. Nella storia
tormentata di Maya avviene che la giovane donna organizzi un furto in un
negozio per aiutare negli studi un giovane universitario del gruppo di lavoro. È
nel corteo dei lavoratori che sfila compatto per protesta davanti agli uffici chiedendo
le garanzie negate e la giustizia sociale che arriva in forze la polizia. Molti
dei manifestanti vengono arrestati e quando viene il turno di Maya nella sede
della polizia si scopre che su di lei è stata formulata l'accusa di furto. Un film
notevole, magnificamente, magicamente al femminile, nel quale la magistrale
regia e le straordinarie interpretazioni lasciano il senso ed il segno di una
levità inattesa in quelle drammatiche situazioni sociali d’inizio del nuovo
millennio. Scriveva in proposito Piera
Detassis sul settimanale “Panorama” del 24 di agosto dell’anno 2000: "Ken
Loach, grande autore inglese e ultimo dei trotzkisti, ritorna sul tema
prediletto (e negletto) dello scontro di classe, dando fuoco all'odiata
America. La sua regia pende più dalla parte nell'ideologico 'Terra e Libertà'
che verso capolavori come 'Piovono pietre'. (...) Per chi non si arrende ed ha
nostalgia del caro vecchio cinema d'impegno. Con il tocco originale di un
autore come Loach". E così su “Carnet” del settembre 2000 si
ritrovano queste considerazioni: "Il regista, per il suo primo film
girato negli Stati Uniti, mette sullo stesso set attori professionisti e non:
alterna un punto di vista orizzontale, da documentario televisivo di qualità, a
una drammaturgia più strutturata e didattica: mette in scena dialoghi
emotivamente densi. Loach è convinto che inquadrare un corteo sia ancora bello
e importante, che ripetere un vecchio slogan degli anni '10 'Vogliamo il pane e
anche le rose', da cui anche il titolo del film, sia ancora di grande
attualità, e che il cinema possa essere solo di lotta e mai di governo". Nella
giornata del 1° di maggio dobbiamo alla emittente “Laeffe” questo cameo della cinematografia. Tutt’intorno il
deserto. E sì che la proclamata morte del conflitto di classe non trova
concordi i pensatori più accorti. Da non pensatore quale mi ritengo penso che
quella morte annunciata sia servita esclusivamente a nascondere sotto il
tappeto della ipocrisia sociale la nuova stagione dello sfruttamento e dell’impoverimento
delle masse nel frattempo divenute il “ceto medio”, impoverimento e
sfruttamento che fanno oggigiorno da tragiche notizie che riempiono le cronache
di questi tormentati giorni. Ha scritto Michael Walzer – che è filosofo
americano che si occupa di “filosofia politica, sociale e morale” - sul quotidiano
la Repubblica nella giornata del 1° di maggio – “L’Occidente salvato dalla lotta di classe” -: Ogni società umana produce gerarchie di
ricchezze e potere e oggi questa produzione si attua non all’interno delle
società, ma in modo trasversale a esse, nella società globale, dove le banche
internazionali e le multinazionali operano con modalità tali da assicurare
grandi ricchezze a pochi e determinare periodiche crisi per molti. Ai vecchi
tempi, nello stato di cittadini attivi o potenzialmente attivi, questa tendenza
persistente verso un ordinamento gerarchico era talvolta interrotta dalle
ribellioni delle classi subordinate — agitazioni di cittadini precedentemente
passivi che confluivano in movimenti sociali potenti e che davano vita a regimi
socialdemocratici, welfare state, e disordini o perturbazioni nelle vecchie
gerarchie. L’idea dell’uno per cento e del novantanove per cento, lo slogan del
movimento Occupy, non è un esempio di analisi di classe. È un appello
populista, e potrebbe essere politicamente utile. Ma dovremmo usare prudenza
nei confronti del populismo (proprio come dovremmo essere cauti nei confronti
dell’anarchismo), perché non è una politica sostenibile, non cambia il mondo,
ed è accessibile tanto alla destra quanto alla sinistra. (…). Se deve esserci
un movimento di classe di persone colpite o minacciate dal capitalismo
neo-liberale, deve essere un movimento con obiettivi concreti e un programma
specifico. Non so come dar vita a un movimento concentrato di questo tipo, ma è
possibile prepararsi per la sua comparsa a livello intellettuale e di
organizzazione. Dobbiamo anche essere pronti a far fronte al pericolo che si
nasconde lungo il nostro cammino, il pericolo che nelle nostre società diverse
ed eterogenee il movimento che auspichiamo sia preceduto da una politica nazionalista
e xenofoba nei confronti delle minoranze, degli immigrati, dei rifugiati.
Questo è un altro motivo per il quale la gente di sinistra non dovrebbe mai
prendere alla leggera il populismo. Ci occorre una democrazia sociale
rinvigorita e militante, che parli la lingua di classe, i cui leader siano
preparati, quando verrà il momento della ribellione, a unirsi, a organizzare, a
esercitare pressioni sui ribelli verso una politica di solidarietà, di aiuto
reciproco e di cooperazione transfrontaliera. (…). Tutto ciò è stato
nella giornata del 1° di maggio.
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