"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 14 maggio 2020

Ifattinprima. 62 Freud: «il nostro Io non è padrone in casa propria».

Ha scritto oggi Michele Serra in “Il vantaggio dell’agnostico” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica”: (…). …le religioni sono solo il rispettabile e però opinabile portato della storia umana: questo per sdrammatizzare la posta in palio. Piegando la testa a un Dio imposto tradirei solo me stesso, senza coinvolgere terzi. Se non si è troppo egolatri, si tratta di una minimizzazione del danno. Come l'ultimo dei marrani (“marrani”, gli ebrei che al tempo della loro persecuzione e della inquisizione abbracciavano per necessità la fede cattolica per salvare vita e beni. Interessante la lettura del volume “Il Santo marrano” di Giuseppe Sicari n.d.r.), perseguitato nel corpo e nello spirito dai fondamentalisti castigliani, fingerei conversione purché mi lasciassero in pace.
Ma il punto di vista dell'agnostico è molto poco rappresentato, nelle attuali vicende di cronaca come in molte altre. Così poco rappresentato che avrei non poche difficoltà a spiegare al carceriere, al fanatico, all'inquisitore, che c'è un equivoco: non posso fare alcun salto di fede perché non è da una fede che provengo. Semmai da una cultura, ma anche lì, se mi costringessero a scegliere tra il suono delle campane e il canto del muezzin, mi dispiacerebbe eliminare uno dei due, come si usa nei talent-show e nelle guerre di religione. Mi sento cattolico nelle chiese, musulmano sulla piazza di Isfahan, ortodosso ascoltando la messa cantata in San Maurizio a Milano, mi sentirei induista mettendo piede nel Gange e buddista nelle nevi del Tibet. Dunque vuol dire che non sono cattolico né musulmano né ortodosso né induista né buddista. Me ne sono fatto una ragione, senza sperare neppure per un attimo che se ne facciano una ragione anche gli zelanti di ogni religione. Magari i monaci, loro sì, che si assomigliano tutti, e con qualunque tonaca addosso pregano, pensano e lavorano con l'umiltà dei ricercatori, non con l'arroganza dei portatori di Verità. Al tempo del “coronavirus” sopravvivono e contano tanto i “figuri” – “troppo egolatri”, per dirla con Michele Serra - che stanno dietro alla “libera stampa italiana” che nella vignetta Vauro tratteggia alla perfezione con i titoli infami dei loro giornaloni. Ché non sono i soli. Riporta sempre oggi su “il Fatto Quotidiano” Daniele Luttazzi in “Gramellini, il puro Cappucceto rosso del giornalismo” quanto ebbe a scrivere su il “Corriere della Sera” quel “solone” della “libera stampa italiana” a proposito del rapimento di Silvia Romano: “(…). Ha ragione chi pensa, dice o scrive che la giovane cooperante milanese rapita in Kenia da una banda di somali avrebbe potuto soddisfare le sue smanie d’altruismo in qualche mensa nostrana della Caritas, invece di andare a rischiare la pelle in un villaggio sperduto nel cuore della foresta. Ed è vero che la sua scelta avventata rischia di costare ai contribuenti italiani un corposo riscatto. (…). Oggi definisce quell’infamia un “errore di comunicazione”, e magari qualcuno se la beve. In realtà è puro Gramellini. (…)”. Riporto sul “fatto” del giorno il pensiero raziocinante di Umberto Galimberti - "In quella solitudine ha trovato il suo dio" - pubblicato sul quotidiano “La Stampa” dell’11 di maggio 2020: Forse Silvia si è convertita, forse per necessità, forse per sopravvivenza nel tempo della prigionia, forse per intima convinzione. Non credo per la “Sindrome di Stoccolma”, tipica di chi prova un sentimento per il proprio sequestratore, che si alimenta per tutto il periodo della prigionia fino a tradursi in un rapporto d’amore e di sottomissione volontaria, perché in questo caso Silvia, appena liberata, non avrebbe detto orgogliosamente: «Sono stata forte». E al suo ritorno non avrebbe abbracciato con gioia i suoi familiari, dopo essersi separata per sempre dal suo amore. E allora perché la conversione? Non lo sappiamo. E non dobbiamo neppure indagare, per non violare quel segreto che ciascuno di noi custodisce nel profondo della propria anima, quale è appunto la nostra dimensione religiosa. Una dimensione così personale, così propria, così difficile da comunicare, perché quando si ha a che fare con sensi e significati che oltrepassano la nostra esperienza condivisa, ogni discorso, nel momento in cui si offre alla chiacchiera comune, rischia il fraintendimento. E allora perché occuparsene? Per trarre spunto da questo episodio per capire che cos’è per davvero una dimensione religiosa, al di là di quanti vi aderiscono per tradizione, per un bisogno di consolazione o peggio per un bisogno di appartenenza. Religioso è quell’atteggiamento che caratterizza chi non accetta che ogni senso e ogni significato si esaurisca nella realtà esistente in cui quotidianamente viviamo. Religiosa è la ricerca di una ulteriorità di senso che coloro che credono chiamano “trascendenza” e che ciascuno di noi avverte in ogni momento di insoddisfazione, di delusione, di sconforto, o anche di non compiutezza per quanto si va realizzando nel corso della propria esistenza. Forse fu proprio questo vissuto a spingere Silvia ad abbandonare per un certo periodo i propri progetti di vita in Italia e andare a prestare il suo aiuto in terra d’Africa tra la popolazione più indigente e più dimenticata della Terra. E già questa sua scelta, che per il nostro abituale modo di pensare non trova di solito un’incondizionata approvazione, parla della sua dimensione religiosa che forse non trovava un’adeguata e sufficiente risposta nel suo dedicarsi alla cura dei bambini della parrocchia in cui viveva. È la stessa dimensione religiosa che promuove le scelte dei medici senza frontiere, di Emergency, delle Organizzazioni non governative che salvano in mare i disperati della terra, di quanti si dedicano al volontariato, sia che credano o non credano in Dio. «Dio nella religione è arrivato con molto ritardo», scrive Gerardus Van der Leeuw, il più grande storico delle religioni del secolo scorso. Dio non è l’unico destinatario della dimensione religiosa, così come non lo è un generico amore del prossimo. Perché il prossimo non è l’indigente che ha bisogno di noi, ma, come ha scritto in un suo libro Enzo Bianchi, il prossimo siamo noi quando ci «facciamo prossimi» a chi ha bisogno di noi. Nella sua lunga prigionia e convivenza con carcerieri musulmani, nelle notti insonni e nei lunghi silenzi che caratterizzano ogni reclusione, Silvia può aver letto il Corano e, meditando qualche passo di quel Libro, può aver concluso che la religiosità, come è vissuta in Occidente, ha perso, per molti, ogni contatto con il mondo della trascendenza, con quell’ulteriorità di senso che caratterizza ogni vera dimensione religiosa. E partendo da lì può aver accolto quel Allah akbar quel “Dio è il più grande”, non per fare stragi, ma per riconoscere che c’è una dimensione più grande del nostro Io, dei nostri progetti, dei nostri sogni, delle nostre ambizioni. E quando non siamo noi, come nel caso di Silvia in prigionia, a decidere della nostra vita, può accadere che si tocchi con mano quello che Freud, ateo, già constatava quando diceva che «il nostro Io non è padrone in casa propria». Se la conversione di Silvia, di cui nulla sappiamo e nulla vogliamo sapere, avesse questo significato, peraltro coerente con la sua biografia, sarebbe un grande insegnamento anche per noi. Non per convertirci all’Islam, ma per non esaurire nei progetti del nostro Io ogni senso della nostra esistenza, che è comunque sempre alla ricerca di un’ulteriorità di significato, rispetto a quello predisposto dall’ipertrofia del nostro Io. E questo con o senza Dio.

1 commento:

  1. Carissimo Aldo, eccezionale anche questo post, del quale ho molto apprezzato l'accostamento dei tre validissimi punti di vista sulle religioni e sulla dimensione religiosa in genere. Penso che gli esseri umani, in quanto capaci di conoscere e di amare, non possano fare a meno di legare se stessi a un "principio" che dia alla vita un vero e proprio senso, cioè pienezza, unità e armonia. La dimensione religiosa è personale,nasce da bisogni psicologici, sociali e culturali, ma principalmente esistenziali, dall'esigenza di superare il senso del limite che ogni uomo avverte durante la sua vita. Fa parte della dimensione religiosa il desiderio di trovare l'equilibrio emotivo, necessario ad affrontare un'esistenza in cui non si possono controllare alcune delle cose che più contano. La dimensione religiosa, a mio avviso, non è costituita sempre da una religione, la farei coincidere, invece, con la spiritualità che può comprendere qualsiasi sentiero che si rivolge all'interiorità dell'essere. Un sentiero così strettamente personale, in cui non è necessario alcun apparato esteriore e ogni uomo è egli stesso il sacerdote unico del suo tempio interiore. La religione può dividere i popoli, mentre la spiritualità vera unisce gli esseri umani interiormente, prescindendo sempre dalla cultura a cui essi appartengono e dal credo che professano. Grazie e buona continuazione. Agnese A.

    RispondiElimina