"Cosa insegna questa pandemia all’uomo? Un bel
niente. La gente chiusa in casa avrebbe avuto occasione di riflettere, e
invece…". È
l’incipit della intervista - «Galimberti:
"La natura si è vendicata con la pandemia. E l’uomo non sta imparando
niente» - di Dario Crippa ad Umberto Galimberti pubblicata sul quotidiano “Il
Giorno” del 25 di maggio 2020.
Quella sensazione – che potrei benissimo definire persuasione - di “un bel niente” ti assale sol guardando distrattamente il piccolo schermo. Quelle ammucchiate che stanno lì a dimostrare della perduta “occasione di riflettere” che una non sparuta gioventù del Paese ha clamorosamente e sprovvedutamente mancato! Una sconcezza! È che forse sin dalla giovinezza sono stato preso dall’uzzolo di non aggregarmi alle moltitudini, moltitudini che quasi mai hanno forma e sostanza di “popolo”. La “fregola” di quelle moltitudini era ed è che si ritorni al prima, al passato, senza quell’“occasione di riflettere” cosa possa significare quel ritorno lì alle beote abitudini di prima, ancor più alla luce di una pandemia ancora in corso e che nessuno ha dichiarato esaurita. Ha scritto Michele Serra in una Sua corrispondenza sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” – “Ora che il silenzio è finito” – del 22 di maggio ultimo: “(…). …la solitudine è una dimensione nella quale vivo felicemente pure io. Dunque me la sono cavata benone, nei lunghi due mesi di reclusione, quasi vergognandomi del mio benessere (…). Mi sono mancati, molto, gli affetti veri, per nulla i grandi affollamenti, le movide, i fiumi di folla.
In questo senso la mia vita è cambiata di poco: il silenzio e la rarefazione umana per me non sono mai state una punizione ma una conquista. La società di massa è una baraonda al tempo stesso vitale e terrificante, dalla quale ritrarsi (…) può essere molto salutare. (…). …c’è qualcosa di poco autonomo e di molto compulsivo, nel bisogno di folla che anche i social esprimono, più follower uguale più successo, la quantità come ossessione, la qualità come oggetto smarrito. (…). Nel vuoto di certe ore guardarsi dentro, più che una tentazione, è un obbligo. (…)”. Così ha scritto Michele Serra, e sì che per il Suo lunghissimo impegno politico se ne intende proprio di “grandi affollamenti, (…) fiumi di folla” che non hanno quasi mai la forza, lo spessore ideale e l’anima di un “popolo”. (…). Chiede Dario Crippa nella Sua intervista ad Umberto Galimberti: Perché è così pessimista? "Da tempo viviamo nell’età della tecnica, che ci vede come i funzionari di apparati deboli nel momento in cui siamo tecnicamente più assistiti, in cui basta aprire un frigorifero per trovare da mangiare… in cui però non sappiamo più vivere al di fuori di questo enorme apparato tecnico. E la tecnica non apre scenari di senso o di salvezza, ma semplicemente funziona: come diceva Pasolini, non è progresso ma sviluppo".
Quella sensazione – che potrei benissimo definire persuasione - di “un bel niente” ti assale sol guardando distrattamente il piccolo schermo. Quelle ammucchiate che stanno lì a dimostrare della perduta “occasione di riflettere” che una non sparuta gioventù del Paese ha clamorosamente e sprovvedutamente mancato! Una sconcezza! È che forse sin dalla giovinezza sono stato preso dall’uzzolo di non aggregarmi alle moltitudini, moltitudini che quasi mai hanno forma e sostanza di “popolo”. La “fregola” di quelle moltitudini era ed è che si ritorni al prima, al passato, senza quell’“occasione di riflettere” cosa possa significare quel ritorno lì alle beote abitudini di prima, ancor più alla luce di una pandemia ancora in corso e che nessuno ha dichiarato esaurita. Ha scritto Michele Serra in una Sua corrispondenza sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” – “Ora che il silenzio è finito” – del 22 di maggio ultimo: “(…). …la solitudine è una dimensione nella quale vivo felicemente pure io. Dunque me la sono cavata benone, nei lunghi due mesi di reclusione, quasi vergognandomi del mio benessere (…). Mi sono mancati, molto, gli affetti veri, per nulla i grandi affollamenti, le movide, i fiumi di folla.
In questo senso la mia vita è cambiata di poco: il silenzio e la rarefazione umana per me non sono mai state una punizione ma una conquista. La società di massa è una baraonda al tempo stesso vitale e terrificante, dalla quale ritrarsi (…) può essere molto salutare. (…). …c’è qualcosa di poco autonomo e di molto compulsivo, nel bisogno di folla che anche i social esprimono, più follower uguale più successo, la quantità come ossessione, la qualità come oggetto smarrito. (…). Nel vuoto di certe ore guardarsi dentro, più che una tentazione, è un obbligo. (…)”. Così ha scritto Michele Serra, e sì che per il Suo lunghissimo impegno politico se ne intende proprio di “grandi affollamenti, (…) fiumi di folla” che non hanno quasi mai la forza, lo spessore ideale e l’anima di un “popolo”. (…). Chiede Dario Crippa nella Sua intervista ad Umberto Galimberti: Perché è così pessimista? "Da tempo viviamo nell’età della tecnica, che ci vede come i funzionari di apparati deboli nel momento in cui siamo tecnicamente più assistiti, in cui basta aprire un frigorifero per trovare da mangiare… in cui però non sappiamo più vivere al di fuori di questo enorme apparato tecnico. E la tecnica non apre scenari di senso o di salvezza, ma semplicemente funziona: come diceva Pasolini, non è progresso ma sviluppo".
Lei ha sempre messo in guardia dei pericoli della
cosiddetta tecnocrazia. "Bastano due mesi in cui questo mondo tecnico non
funziona come prima per assistere a un collasso generale che mostra quanto il
nostro mondo sia precario. E appena sarà tutto finito, fra due anni magari, la
gente tornerà all’apparato tecnico che era stata costretta a lasciare con la stessa
voluttà di un di un drogato. Posso fare una citazione?".
Prego. "Quando Heidegger fu intervistato nel 1966
da Der Spiegel, disse: “Tutto funziona. Ma proprio questo è l’elemento
inquietante: che tutto funzioni e che il funzionare spinga sempre avanti verso
un ulteriore funzionare, e che la tecnica strappi e sradichi sempre di più
l’uomo dalla terra. Ormai abbiamo solo rapporti puramente tecnici. Non è più la
Terra quella su cui oggi vive l’uomo".
E cosa c’entra con il Covid? "Sono assolutamente
convinto che c’è una stretta correlazione fra l’espandersi di questo virus e il
modo in cui abbiamo ridotto la Terra. Non possiamo fare della Terra quello che
vogliamo, siamo passati dal suo uso alla sua usura. Fenomeni come la
deforestazione, la strage animali, la contaminazione delle acque e dell’aria,
tutto c’entra in quello che sta accadendo".
La Terra ci sta punendo? "No, si sta vendicando,
la trattiamo troppo male".
L’uomo diventerà migliore? "No, perché pensa
troppo poco, pensa solo a distrarsi da sé stesso. Basterebbe soltanto
considerare quanto poco si legga in quest’epoca, quando uno che legge due libri
all’anno è considerato un forte lettore. E invece i libri sono fondamentali,
servono a riflettere e a far sì che non si resti ancorati sempre alle stesse
idee stantie e ripetitive. Non siamo più abituati a fare una riflessione,
questo poteva essere il periodo adatto per farlo, in cui recuperare i rapporti
umani e invece continuiamo solo a litigare, in 9 settimane addirittura abbiamo
già contato 11 femminicidi!".
Insomma, nessuna speranza… "Abbiamo una unica
forma di pensiero, come ammoniva sempre Heidegger, ed è il pensiero calcolante,
che ci consente solo di fare conti economici".
Come considera il rapporto dell’uomo con la scienza,
fra speranze e delusioni? "Si tratta di un rapporto che era già in crisi e
che aveva visto troppi di noi allontanarsi, basti pensare alle assurde
polemiche sui vaccini che avevano dimostrato come ci fidiamo a volte più della
parola della portinaia che di quella del medico. All’inizio questa epidemia
sembrava averci riavvicinato ma…".
Troppi virologi che si contraddicono? "Attenzione,
la premessa deve essere chiara: la scienza non dice cose vere, ma solo cose
esatte… E ha bisogno di tempo, la scienza avanza per tentativi".
Ma secondo alcuni, la scienza ha sempre ragione... "Attenzione,
però, i veri scienziati sono quelli che stanno nei laboratori, non nelle
televisioni: è la differenza fra scienziati e pseudo scienziati".
Parliamo di scuola. Lei ha insegnato, al liceo
classico (Zucchi di Monza) e all’Università. Cosa si deve fare? "Le
lezioni via Skype sono l’unica possibilità in questo momento, e anche una delle
poche cose buone che ci regala la tecnocrazia. Il problema è che non sempre ci
sono professori in grado di fare lezioni secondo queste modalità e non sempre
ci sono studenti in condizioni - anche per un problema sociale - di accedere a
queste lezioni. Stiamo vivendo un momento eccezionale, e meno male che c’è la
tecnica, che fa sentire i ragazzi ancora impegnati con la cultura".
Però... "Ecco, la scuola a distanza sarebbe utile
se tutti i professori mostrassero col proprio esempio che si stanno impegnando,
anche al di fuori delle ore stabilite, e facessero vedere che si stanno
sacrificando, mostrando ai ragazzi che ne vale davvero la pena: ecco, questo
potrebbe essere il messaggio migliore in questo momento da trasmettere ai
ragazzi".
Si sta scoprendo il bello dello smart working. Meno
stress, meno viaggi, meno smog, risparmio di tempo e denaro… "Certamente
ci sono tanti vantaggi, ma ci sono anche svantaggi da non trascurare: perché
viene a mancare la socializzazione. E lavorare in solitudine, senza potersi
scambiare idee, può rivelarsi deleterio, senza comunicare rischi di ritrovarti
condannato a una solitudine monacale. Perché, come diceva Aristotele, l’uomo è
un animale sociale".
Il Governo si trova al centro delle polemiche; c’è chi
parla di dittatura della prudenza. "È una situazione purtroppo necessaria,
imposta dall’impossibilità di capire come si comporta questo virus. Purtroppo
capisco il bisogno di rimettere in piedi le industrie e il tessuto economico
del Paese, ma come si fa se poi dobbiamo fare i conti con le vittime della
pandemia?".
Non si poteva fare diversamente? "Pur lontano
politicamente, sono positivo nei riguardi di questo presidente del Consiglio.
Al netto di tutte le contraddizioni, vorrei vedere come si sarebbero comportati
gli altri al suo posto. Dittatura della prudenza? No, necessità di questa
prudenza, perché le ricadute sono peggiori delle malattie e un altro blocco
della società sarebbe peggio di quanto sia stato la prima volta". (…).
Carissimo Aldo, amo tanto "solitudine e silenzio". Ho imparato ad amarli, sicuramente perché erano tanto cari alla mia amatissima sorella (mancata più di un trentennio fa) fin da quando era ancora giovanissima...L'uomo ha necessità di fermarsi a riflettere, per sviluppare dei pensieri che rendano meno angoscianti i momenti di silenzio e solitudine, dai quali non si può perennemente fuggire, perché essi spingono a un ritorno alla propria interiorità. Il silenzio fecondo della solitudine, le letture sono autentici, nella misura in cui determinano una
RispondiElimina" metanoia" verso la solidarietà e il bene. La riflessione è necessaria per farci conoscere i nostri limiti, per mettere a punto la bussola interiore, condizioni necessarie per ritrovare la strada maestra in un mondo che cambia vorticosamente. È utile per rivedere stili e modi di comportamento, per ritrovarci e ritrovare rapporti sinceri. Un restringimento dello spazio dei rapporti sociali corrisponde a un'espansione dello spazio dell'anima, della coscienza e alla quantità di persone con cui interagire viene sostituita la qualità delle persone. La solitudine è una condizione costruttiva in cui godiamo della nostra compagnia e della nostra piena libertà. È una solitudine in cui non ci si sente soli, perché in compagnia di pensieri, contenuti, ricordi, momenti che appartengono al presente e al passato. Abbiamo bisogno di appartenerci, ritrovarci, bastarci, darci conforto, perderci nei nostri pensieri vaganti, liberi da vincoli e interferenze. È importante stare da soli con noi stessi, perché questo ci rende più consapevoli e più forti,veramente pronti ad interagire con gli altri. Attingere da sé, avere le risorse e le capacità di utilizzare in modo costruttivo questa dimensione è uno straordinario punto di forza. Grazie e buona continuazione. Agnese A.