"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 1 maggio 2020

Eventi. 31 1° di Maggio. «Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere».


“Festeggiamo” – l’ho virgolettato stanti le condizioni generali del Paese e del mondo intero - oggi il 1°di maggio la gioiosità del quale è come offuscata dalle plumbee nubi portate dal “coronavirus”. La data e la circostanza impongono non canti in piazza ma un raccoglimento personale per i milioni di italiani che al 1° di maggio hanno sempre riservato una attenzione ed un affetto particolari. Io voglio “festeggiare” questo 1° di maggio con due “memorie”, la prima accertata e ben documentata, la seconda memoria dimenticata e ripescata inopinatamente – come per l’incanto di questa occasione - dalle profondità del mio hard disk e della quale ho potuto accertare la data del suo “salvataggio” che risale al mercoledì ‎8 ‎di febbraio dell’anno ‎2017. Dell’autore – Michele – non ho conoscenza così come della fonte dalla quale ho tratto la tragicissima Sua lettera. La prima delle “memorie” risale al 7 di dicembre dell’anno 2014. Si era al tempo della ignominiosa vicenda di “Mafia capitale”. La “memoria” ha la firma di Furio Colombo già direttore del quotidiano l’Unità passato poi a “il Fatto Quotidiano” sul quale è apparsa la “memoria” che ha per titolo “L’Italia un paese salvato dagli operai”:
D’ora in poi l’immagine dell’Italia resterà per lungo tempo la scena del doppio arresto di Massimo Carminati, nel buio dell’alba e nell’auto intercettata in pieno giorno sulla strada di campagna dai Carabinieri. O almeno questo sarebbe accaduto se, intanto, non ci fossero stati gli operai ostinati di Terni, di Piombino, dell’Ilva. Per la prima volta, nella densa storia industriale italiana, sono stati gli operai a salvare l’impresa e il loro lavoro, mentre tutti quelli che contano avevano già dato per perduta e liquidata la fabbrica, il posto di lavoro e di quella mitica parola d’ordine, “fare impresa”, che Confindustria e governo ci vogliono proporre come modello di vita. Da ricordare, per quanto riguarda l’Ilva, l’intervento di Maurizio Landini, il sindacalista che si permette di dare lezione ai frequentatori di Cernobbio e alle assemblee confindustriali di padri e di figli. Alla proposta di passare l’Ilva allo Stato, l’estremista Landini obietta che è tempo che il capitale privato si prenda le sue responsabilità come se lo sono prese gli operai. I soldi ci sono, quelli sequestrati alla ricchezza fondata sull’inquinamento della famiglia proprietaria. I lavoratori ci sono, non si sono mai allontanati e non hanno ceduto al suggerimento che adesso il lavoro si trova in rete. Il governo? Il governo corre a perdifiato per far votare il Jobs Act, roba dell’età di Margaret Thatcher e dei tempi di Reagan e che, da allora a oggi, hanno eliminato nel mondo milioni di posti di lavoro, attraverso abbandoni, fusioni, delocalizzazioni, giochi spericolati con i fondi pensioni, tutti eventi basati non su un progetto industriale (di luogo, di Paese, di prodotto, di mercato, di mondo globalizzato) ma su questioni del profitto, valutato in trimestri per farsi premiare dalla Borsa, a cui interessano le cifre di questa sera, non il futuro. Ecco che cosa sta accadendo: a mano a mano che le strutture solide delle fabbriche vengono abbandonate si profila un paesaggio da Blade Runner (il non dimenticato e profetico film di Ridley Scott) un post-mondo in cui, ti spiegano, bruscamente e alla svelta, sia i consiglieri di Renzi sia quelli di Grillo, non si deve più perdere tempo con il mito del posto fisso. Tutto avviene, ti spiegano, in un mondo diverso fondato sulla innovazione (in alternativa si dice “ricerca”) e avviene in tempi stretti, senza le perdite di tempo delle contrattazioni di una volta. Ma non avviene. In Italia la disoccupazione resta altissima, una nuova legge abolisce ogni tutela per chi ancora lavora. E un’inchiesta scopre la lunga e felice carriera di chi dirotta alla grande il danaro pubblico a Roma. E ciò induce per forza ad alcune riflessioni. 1) La candela brucia da due parti. Ho fatto l’esempio di tre fabbriche salvate (se saranno salvate, come sembra) dai lavoratori. Ma quante altre sono state lasciate cadere o fallire, o abbandonate? E quante aziende (anche grandissime) sono partite verso delocalizzazioni che impoveriscono per sempre l’Italia? Nessuno pensa e nessuno ha pensato a un piano industriale, ma solo a una azione punitiva sul lavoro. Basta protezioni e garanzie di giusta causa. L’azione è cieca perché colpisce la parte viva di ciò che resta della fabbrica e della produzione. Dopo avere tolto speranze e fiducia a chi lavora, e avere lasciato che la disoccupazione crescesse fino al 13 per cento, mentre gli imprenditori tendono a ritirarsi e le banche ad astenersi, su cosa vogliamo fondare la fiducia che serve per la ripresa? Ma la candela brucia anche dalla parte della corruzione. Anche in questo caso il solo strumento che funziona, la magistratura, viene svilito e minacciato al punto da tagliare, con un gesto disprezzo, persino i giorni di ferie. Esiste, per fortuna, una autorità (un magistrato) che tenterà la prevenzione dal punto di vista penale. Manca tuttora un Paese mobilitato e un governo guida in un impegno nazionale e collettivo contro la corruzione, mentre la corruzione, se dilaga secondo il modello di Roma, non potrà che inondare il Paese. Di Carminati e di Buzzi non c’è penuria. “La corruzione, non la violenza è l’arma di Mafia capitale”, ha detto il magistrato Cantone, che ha da solo il compito di fronteggiare il pericolo. Infatti, dentro le cariche pubbliche, le imprese, la vita pubblica, le professioni ormai sappiamo che non c’è penuria di gente in attesa di un messaggio del prossimo Carminati. 2) Mettendosi nettamente dalla parte degli imprenditori, e astenendosi dal prendere la guida della lotta alla corruzione, e alla protezione del lavoro, Renzi e il suo giovane team se ne stanno fuori, intenti a riforme che, buone o cattive, saranno forse utili solo dopo che le numerose deleghe vuote diventeranno leggi (dopo anni?), in caso di sopravvivenza del Paese. Al momento provocano fuga dal voto, dal supermercato e da un’idea di futuro che non sembra esistere. 3) È vero che tutto ciò riflette il passaggio da un mondo all’altro e che quindi è inutile alimentare nostalgie a chi invece deve imparare ad accettare il cambiamento? Se è vero, non dovrebbe essere primaria responsabilità di governo assicurare il passaggio da un’epoca all’altra? Ottima idea, votare all’unanimità in Commissione Difesa l’acquisto una flotta nuova e tecnicamente all’avanguardia, per la Marina e di una altrettanto innovativa per l’Aviazione militare, visto che possiamo permettercelo. Ma il lavoro? Intanto altri Carminati (che al momento nessuno conosce ma che, a fatti avvenuti, saranno subito celebri) si tengono pronti. O sono già in azione. Un Paese vuoto, per loro, è il Paese giusto. Non conosco la “storia” del suicida Michele, “storia” che potrebbe essere appartenuta alle “storie” delle migliaia e migliaia di esseri umani, di lavoratori, che hanno vissuto e vivono tuttora le storture di un sistema economico-finanziario per loro senza valori e garanzie. Un “indizio” nella lettera di Michele mi porta a pensare che egli abbia subito quelle “storture” atte a distruggere vite umane. Trascrivo il Suo post-scriptum – l’indizio, per l’appunto - laddove ha lasciato scritto all’indirizzo di un potente uomo politico del tempo: “Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi. Ho resistito finché ho potuto”. Ha lasciato scritto Michele:  Ho vissuto (male) per trent’anni, qualcuno dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non è in grado di stabilire quali sono i limiti di sopportazione, perché sono soggettivi, non oggettivi. Ho cercato di essere una brava persona, ho commessi molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un’arte. Ma le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità. Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia. Da questa realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile. A quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo. Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive. Non ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione. Di no come risposta non si vive, di no si muore, e non c’è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare. Lo stato generale delle cose per me è inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste l’alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno diventare un obbligo, e io l’ho dimostrato. Mi rendo conto di fare del male e di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c’è davvero bisogno. Sono entrato in questo mondo da persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi piaceva nemmeno un po’. Basta con le ipocrisie. Non mi faccio ricattare dal fatto che è l’unico possibile, io modello unico non funziona. Siete voi che fate i conti con me, non io con voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo. Non esiste niente che non si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il libero arbitrio obbedisce all’individuo, non ai comodi degli altri. Io lo so che questa cosa vi sembra una follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non qui e non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza si, e il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo destino. Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene. Dentro di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle mie origini, ma un’accusa di alto tradimento. Di “riflessioni” su questo nostro tempo, del tempo di Michele, suicida, su ciò che esso è stato, su ciò che si è fatto o non si è fatto, se ne ha un immenso bisogno ora che il malevolo virus ci ha messo alle corde. Buon 1° Maggio a tutti Voi.

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