"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 8 gennaio 2019

Riletture. 57 «Il Paese delle balle di Stato».

Tratto da “Se il Paese delle balle di Stato ha paura della post-verità” di Tommaso Cerno, pubblicato sul settimanale L’Espresso dell’8 di gennaio dell’anno 2017: C’è un dibattito in corso nel Paese delle balle di Stato, quello di Ustica e del caso Moro per capirci, che ha del surreale. Fior di intellettuali, giornalisti, politici, magistrati e salumieri, con l’aiuto della suocera, discutono sul fatto che l’Italia sarebbe entrata nell’era della post-verità. E che serve un intervento in grande stile.
Filosofeggiano, e più filosofeggiano più è chiaro che anche stavolta sotto sotto si cela una battaglia politica. (…). Perché il problema sotteso alle bufale sul web, nello stomaco dei politologi, è semplice: cui prodest? (…). Permettete un dubbio, da giornalisti con tutte le nostre colpe. Non è che qui, fra perifrasi in inglese e furbizia di guappo, sembra essersi aperto un varco? E, accucciata come un lupo feroce pronto a sbranarsi la democrazia con un clic, ci sarebbe una parola, post-verità, che spingi-spingi potrebbe tornare buona per qualcuno? Perché se è così, la battaglia è già persa. Per ammissione di sconfitta della stessa informazione: si tratta, in sostanza, di dire che se sui social qualcuno spara scemenze - mischiate a migliaia di cose vere, cui partecipano da anni anche le testate storiche, i giornaloni, perfino esageratamente - quelle scemenze sarebbero così forti da devastare l’intero sistema mediatico e la sua credibilità. È come ammettere, gridando al fascismo e alla censura, di non riuscire più a essere creduti, unica funzione vitale del giornalismo in qualunque forma sia divulgato. Che fare, si dicono allora i giganti della libertà di espressione? Indagare, vietare, censurare il web. (…). Un dibattito senza capo né coda, nell’era in cui perfino Pablo Picasso può venire apostrofato come graffitaro e tutti amici come prima. Posso dire una cosa da italiano medio? Non si difende così il diritto di cronaca. Soprattutto nel Paese dove la post-verità rischia di suonare come un già visto. Anzi un passo avanti rispetto a quel che siamo da decenni: l’Italia della post-bugia. Dello Stato che nasconde la verità. I libri sono pieni di post-bugie all’italiana. Siamo il Paese che ha montato e smontato commissioni d’inchiesta con il compito di nascondere le verità che sarebbero emerse da sole, anziché di cercarle più in fretta. Siamo quelli del caveau di Carminati e del caso Pasolini, dei mafiosi al governo e del rapimento Orlandi, su cui ancora aspettiamo una pre-verità ormai postuma, custodita nei sacri Palazzi. La verità dove sta? Sta dove qualcuno la cerca davvero. Dove il giornalismo, con caparbietà, a volte rischiando la vita, tenta di fare luce su fatti che altri intendono tenere nascosti. Sta nel lavoro quotidiano dei cronisti. Non in quello dei tribunali o delle authority anti questo o quello. Così potente quando fa il suo mestiere di fronte al potere da avere contribuito in maniera decisiva, penso ad esempio al 1992, a far cadere il sistema sulle proprie gambe d’argilla. Fatico a credere che, se qualcuno avesse ridicolizzato i giornali con post-verità su Craxi o De Lorenzo, avremmo gridato al fascismo. Nessuno se ne sarebbe accorto, perché l’odore del vero è più acre di qualsiasi profumo pre o post tu voglia dargli. Eppure proprio oggi scopriamo di non avere più anticorpi per reagire. Al punto di proporre, nello Stato abituato a mentire ufficialmente, di “vietare” questi bugiardelli dilettanti e i loro fake? Non è la strada: solo il giornalismo può vincere questa partita. Ma deve sconfiggere prima di tutto la post-bugia di Stato. Non sembrare mai megafono. Né parte del Palazzo. A quel punto la post-verità si frantuma sul pavimento marmoreo del conoscere. Senza divieti o censure. Ma facendo luce sui fatti. Il solo compito del giornalista.

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