Tratto da «La
"pazzia" di tassare i ricchi» di Paul Krugman, pubblicato sul “The
New York Times” e riportato sul
quotidiano la Repubblica dell’11 di gennaio 2019: (…). Quella dell'utilità
marginale decrescente è l'idea di buon senso secondo cui un dollaro in più vale
molto meno in termini di soddisfazione economica per le persone con redditi
molto elevati rispetto a quelle con redditi bassi. Se diamo a una famiglia con
un reddito annuo di 20.000 dollari una somma extra di 1.000 dollari, questo fa
una grande differenza per la loro vita. Se invece diamo questi mille dollari a
uno che ne guadagna 1 milione, probabilmente nemmeno se ne accorge. In termini
di politica economica, questo significa che non dobbiamo preoccuparci degli
effetti di una politica sui redditi dei molto ricchi.
Una politica che rende i ricchi un poco più poveri interessa solo un piccolo gruppo di persone e avrà un peso impercettibile sulla qualità della loro vita, dato che saranno ancora in grado di comprare tutto ciò che vogliono. Allora, perché non tassarli al 100 percento? La risposta è che ciò eliminerebbe qualsiasi incentivo a fare quello che fanno per guadagnare così tanti soldi, e questo danneggerebbe l'economia. In altre parole, la politica fiscale verso i ricchi non dovrebbe avere nulla a che fare con gli interessi dei ricchi, di per sé, ma dovrebbe solo preoccuparsi di come gli effetti di incentivazione cambino il comportamento dei ricchi e di quanto questo interessi il resto della popolazione. Ma è qui che entrano in gioco i mercati competitivi. In un'economia perfettamente competitiva, senza potere di monopolio o altre distorsioni - che è il tipo di economia che i conservatori vogliono farci credere che abbiamo - ognuno viene pagato nella misura della sua produttività marginale. Questo significa che, se vieni pagato 1000 dollari all'ora, è perché ogni ora in più del tuo lavoro aggiunge un valore pari a 1000 dollari ai risultati economici. In questo caso, tuttavia, perché ci preoccupiamo di quanto lavorano i ricchi? Se un ricco lavora un'ora in più, aggiungendo 1000 dollari all'economia, ma viene pagato 1000 dollari per i suoi sforzi, il reddito combinato di tutti gli altri non cambia, vero? E invece sì, perché su quei 1000 dollari in più ci paga le tasse. Quindi, il beneficio sociale derivante dall'ottenere che gli individui ad alto reddito lavorino un po' di più è il gettito fiscale generato da questo reddito addizionale - mentre il costo del loro lavorare di meno è la riduzione delle tasse che pagano. O per dirla in modo un po' più succinto, quando tassiamo i ricchi, dobbiamo preoccuparci solo di quante entrate riscuotiamo. L'aliquota fiscale ottimale per le persone con redditi molto alti è il tasso che riscuote il più alto livello di entrate possibile. Questa è una cosa che possiamo stimare, sapendo quanto sia reattivo il reddito ante imposte dei ricchi alle aliquote fiscali. (…). …Diamond (Peter Diamnond premio Nobel per l’economia n.d.r.) e Saez hanno stabilito il tasso ottimale al 73 percento, Romer a oltre l'80 percento. (…). Una riflessione a parte: che cosa succede se prendiamo in considerazione la realtà che i mercati non sono perfettamente competitivi e che c'è in giro tanto potere monopolistico? La risposta è che questo quasi sicuramente giustifica aliquote fiscali ancora più elevate, dal momento che le persone ad alto reddito presumibilmente incassano molte di queste rendite di monopolio. (…). I repubblicani sostengono quasi universalmente imposte basse sui ricchi, pretendendo che i tagli fiscali ai più ricchi avranno enormi effetti benefici sull'economia. Questa pretesa si basa sugli studi di... nessuno. Non esiste nessuno studio serio a supporto delle idee fiscali del Grand Old Party, perché le prove contro quelle idee sono schiaccianti. L'America aveva livelli di tassazione molto alti per i ricchi – (…) - e tutto andava bene. Da allora le aliquote fiscali sono diminuite, e non si può negare che l'economia è andata peggio. Perché i repubblicani aderiscono a una teoria fiscale che non ha alcun sostegno da parte di economisti non schierati ed è confutata da tutti i dati disponibili? Bene, chiedetevi chi trae beneficio da imposte più basse sui ricchi e la risposta sarà ovvia.
Una politica che rende i ricchi un poco più poveri interessa solo un piccolo gruppo di persone e avrà un peso impercettibile sulla qualità della loro vita, dato che saranno ancora in grado di comprare tutto ciò che vogliono. Allora, perché non tassarli al 100 percento? La risposta è che ciò eliminerebbe qualsiasi incentivo a fare quello che fanno per guadagnare così tanti soldi, e questo danneggerebbe l'economia. In altre parole, la politica fiscale verso i ricchi non dovrebbe avere nulla a che fare con gli interessi dei ricchi, di per sé, ma dovrebbe solo preoccuparsi di come gli effetti di incentivazione cambino il comportamento dei ricchi e di quanto questo interessi il resto della popolazione. Ma è qui che entrano in gioco i mercati competitivi. In un'economia perfettamente competitiva, senza potere di monopolio o altre distorsioni - che è il tipo di economia che i conservatori vogliono farci credere che abbiamo - ognuno viene pagato nella misura della sua produttività marginale. Questo significa che, se vieni pagato 1000 dollari all'ora, è perché ogni ora in più del tuo lavoro aggiunge un valore pari a 1000 dollari ai risultati economici. In questo caso, tuttavia, perché ci preoccupiamo di quanto lavorano i ricchi? Se un ricco lavora un'ora in più, aggiungendo 1000 dollari all'economia, ma viene pagato 1000 dollari per i suoi sforzi, il reddito combinato di tutti gli altri non cambia, vero? E invece sì, perché su quei 1000 dollari in più ci paga le tasse. Quindi, il beneficio sociale derivante dall'ottenere che gli individui ad alto reddito lavorino un po' di più è il gettito fiscale generato da questo reddito addizionale - mentre il costo del loro lavorare di meno è la riduzione delle tasse che pagano. O per dirla in modo un po' più succinto, quando tassiamo i ricchi, dobbiamo preoccuparci solo di quante entrate riscuotiamo. L'aliquota fiscale ottimale per le persone con redditi molto alti è il tasso che riscuote il più alto livello di entrate possibile. Questa è una cosa che possiamo stimare, sapendo quanto sia reattivo il reddito ante imposte dei ricchi alle aliquote fiscali. (…). …Diamond (Peter Diamnond premio Nobel per l’economia n.d.r.) e Saez hanno stabilito il tasso ottimale al 73 percento, Romer a oltre l'80 percento. (…). Una riflessione a parte: che cosa succede se prendiamo in considerazione la realtà che i mercati non sono perfettamente competitivi e che c'è in giro tanto potere monopolistico? La risposta è che questo quasi sicuramente giustifica aliquote fiscali ancora più elevate, dal momento che le persone ad alto reddito presumibilmente incassano molte di queste rendite di monopolio. (…). I repubblicani sostengono quasi universalmente imposte basse sui ricchi, pretendendo che i tagli fiscali ai più ricchi avranno enormi effetti benefici sull'economia. Questa pretesa si basa sugli studi di... nessuno. Non esiste nessuno studio serio a supporto delle idee fiscali del Grand Old Party, perché le prove contro quelle idee sono schiaccianti. L'America aveva livelli di tassazione molto alti per i ricchi – (…) - e tutto andava bene. Da allora le aliquote fiscali sono diminuite, e non si può negare che l'economia è andata peggio. Perché i repubblicani aderiscono a una teoria fiscale che non ha alcun sostegno da parte di economisti non schierati ed è confutata da tutti i dati disponibili? Bene, chiedetevi chi trae beneficio da imposte più basse sui ricchi e la risposta sarà ovvia.
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