Seconda parte. Tratto da “E ora le élite si mettano in gioco” di Alessandro Baricco,
pubblicato sul quotidiano la Repubblica dell’11 di gennaio 2019: (…).
Non è escluso che nel frattempo facciano (le élites n.d.r.) anche
molte cose a favore della gente: ma certo la loro prima funzione sembra essere
quella di ricordare in modo definitivo che il pianoforte c'è chi lo suona e chi
lo porta su per le scale, e a suonarlo, qui, è l'élite. Così, nell'istante in
cui ne ha avuto basta del patto, la gente si è voltata verso di loro, subito:
l'Europa era il simbolo più evidente, era il bersaglio immediatamente visibile
all'orizzonte. Aveva un'aura di invincibilità che però, si è scoperto il giorno
dopo il referendum sulla Brexit, funzionava solo per le élites: per gli altri
cittadini del Game, l'incantesimo si era spezzato. Potremmo dire, alla luce di
tutto questo, che la gente è contro l'Europa? No, non potremmo veramente dirlo.
Contro questa Europa, piuttosto, contro l'Europa come simbolo del primato delle
élites, questo sì.
Antieuropeista, oggi, significa più che altro anti-élite. Circola già la formuletta buona: l'Europa dei popoli. Non vuole dire niente ma vuol dire una cosa chiarissima: non è l'unità in sé che vogliamo spezzare, è l'unità voluta e gestita in quel modo dalle élites.(…). L'Europa è solo un esempio. Quel che sto cercando di dire è che soppesare l'opportunità di tutto ciò che la gente oggi sembra volere (che sia il ritorno alla Lira come la gogna della Società Autostrade o la libertà sui vaccini) è una perdita di tempo se non si legge in filigrana l'unica cosa che davvero la gente vuole: liberarsi delle élites. Il punto è quello, ed è lì che si ci si deve chinare e osservare bene, per quanto faccia schifo, o paura, o fatica. Perché è in quel preciso punto che si gioca una battaglia decisiva per il nostro futuro. La prima cosa che accadrà di notare, volendo davvero andare a guardare là dentro, è come si è mossa l'élite una volta che si è trovata sotto attacco. Si è irrigidita nelle proprie certezze allestendo rapidamente una narrazione che mettesse le cose a posto: la gente si era bevuta il cervello, probabilmente manovrata da una nuova generazione di leader privi di responsabilità, disposti a giocare sporco, e furbi nel rivolgersi alla pancia dei cittadini dribblandone l'eventuale intelligenza. Termini vaghi e inesatti come fake news, populismo, se non addirittura fascismo, sono stati ingaggiati per veicolare meglio il messaggio a etichettare sommariamente gli insorti. Sullo sfondo, una certezza: There Is No Alternative, ripetuta come un mantra, coltivata come un'ossessione, inflitta come una profezia e una minaccia. Neanche per un attimo, sembrerebbe, l'élite si è fermata a chiedersi se per caso non avesse sbagliato da qualche parte, e in modo così marchiano da generare, a slavina, quel gran casino. Se l'avesse fatto, non le sarebbe stato poi così difficile registrare almeno tre fenomeni che a me, come a molti, sembrano di un'evidenza solare: 1. La sua idea di sviluppo e di progresso non riesce a generare giustizia sociale, distribuisce la ricchezza in un modo delirante, distrugge lavoro più di quanto riesca a generarne, lascia il centro del gioco a potenze economiche scarsamente controllabili, continua a essere fondata su un feroce controllo di intere zone deboli del pianeta e mette in serio pericolo la Terra, dimenticandosi che è la casa di tutti, non la discarica di pochi. 2. Le élites sono da tempo preda di un torpore profondo, una sorta di ipnosi da cui declinano un pensiero unico, allestendo raffinati teoremi i cui risultato è sempre lo stesso, totemico: There Is No Alternative. Si sarà notato che non reagiscono più a nulla, sono ipnotizzate da se stesse, hanno perso completamente contatto con la vita che fa la gente, spendono più della metà del tempo a contemplarsi e arredare i propri privilegi. Stanno arrestando la storia, e allevando degli eredi incapaci di pensare qualcosa di diverso dalle ossessioni dei padri. 3. Una sola volta, negli ultimi cinquant'anni, le élites hanno generato un pensiero alternativo: ed è stato quando le son sfuggiti alcuni contro-pensatori, più che altro tecnici, dalla cui eresia è poi nata l'insurrezione digitale. Dal loro torpore, le élites l'hanno registrata in ritardo, bollandola come una deriva commerciale di dubbio gusto e pensando di risolverla così. Era invece una rivoluzione che si proponeva di azzerare proprio loro, le élites novecentesche, e di sostituirle con una nuova élite, una nuova intelligenza, perfino una nuova moralità. Non ci hanno capito niente, e questo vuol dire che il Game è cresciuto tra le pieghe del loro potere, e a poco a poco le ha delegittimate, consegnandole alla gente quando ormai non avevano la forza per difendersi. Nel tempo in cui questo accadeva, l'unico riflesso brillante delle élites è stato usare il Game per fare soldi: che vendessero le reliquie del Novecento o finanziassero start up, si sono messi a vendere i biglietti per assistere alla propria condanna a morte. Strano modo di cavalcare la Storia. Fai errori del genere e poi, con chi si presenta a staccarti la spina, pensi di cavartela dandogli del fascista? Altrettanto interessante, va detto, è andare a vedere come si è mossa la gente, quando ha deciso di sfasciare il patto e fare da sola. Potenzialmente aveva davanti una sorta di nuovo orizzonte, immenso: ma si è fermata al primo passo, quello della resa dei conti pura e semplice. Rimandati i sogni, sfoga risentimento. Incapace di futuro, recupera il passato. Si è scelta leader che le offrono una vendetta quotidiana e una retromarcia al giorno: è quello che sanno fare. Non riescono a immaginare un granché, si limitano a cercare di correggere l'esistente ereditato dalle élites. Spesso non riescono nemmeno tanto a farlo, per incompetenza, scarsa attitudine al governo, improvvisa scoperta dei propri limiti, obbiettiva tostaggine del nemico e vertiginosa complessità del sistema. Ritrovano coraggio in un sorta di tono di voce che è divenuta il loro vero segno distintivo, un misto di schiettezza, aggressività, urlo da mercato e slogan pubblicitario. La gente lo trova rassicurante e ha finito per assumerlo come un modo di pensare: ci trova una sorta di intelligenza elementare che sostituisce alle raffinatezze e ai sofismi della riflessione delle élites il movimento limpido, diretto, vagamente virile, a suo modo puro, di uomini che finalmente vano diritti alle cose, smantellando vecchi trucchi e ipocrisie. La santificazione di questo modo di pensare - è necessario capire - è l'arma con cui la gente, oggi, sta sferrando l'aggressione più violenta alle élites: è la vera breccia che sta aprendo nelle loro mura difensive. Se passa quel modo di leggere il mondo, le élites sono spacciate. Finita la pacchia. Il punto che a me, come a molti altri, risulta di un'evidenza solare è che una vittoria di questo genere avrebbe un prezzo devastante: non per le élites, chissenefrega, ma per tutti. Perché il mito di un accosto diretto, puro e vergine alle cose, opposto all'andatura decadente, complicata e anche un po' narcisistica della riflessione colta, è una creatura fantastica che ci abbiamo messi secoli a smascherare: recuperarla sarebbe da dementi. Da un sacco di tempo abbiamo imparato che è meglio sapere molto delle cose prima di cambiarle, che è meglio conoscere molti uomini per capire se stessi, che è meglio condividere i sentimenti degli altri per gestire i nostri, che è meglio avere molte parole piuttosto che poche perché vince chi ne sa di più. Abbiamo un termine per definire questo modo di difenderci dalla durezza feroce della realtà grazie all'uso paziente e raffinato dell'intelligenza e della memoria: cultura. Sostituirla con l'apparente chiarezza di un pensiero elementare, quasi una sorta di furbizia popolare, equivale a disarmarsi volontariamente e andare al massacro. Voglio essere chiaro: ogni volta che ci facciamo bastare certe parole d'ordine di brutale semplicità, noi bruciamo anni di crescita collettiva spesi a non farci fottere dall'apparente semplicità delle cose: non noi élites, sto parlando di tutti quanti. Ci condanniamo a prendere cantonate colossali. Che so, considerare un'importante minaccia al nostro benessere l'ovvio transumare di un numero in fondo contenuto di umani da continenti che abbiamo stritolato e continuiamo a tenere per le palle. Cose così. Enormità. Alla fine, occorre registrare un fenomeno che a me, come a molti altri, sembra di una evidenza solare: la gente si sveglia ogni giorno per andare all'assalto della fortezza delle élites: e più lo fa, e più vince, più si fa del male. Così attraversiamo tempi cupi, e siamo come terra in cui passano eserciti, saccheggiando. Nessuno sembra in grado di vincere, per cui è difficile vedere la fine. Ogni giorno che passa, diminuiscono le scorte: di forza, di bellezza, di rispetto, di umanità, perfino di umorismo. Niente che non abbiamo già vissuto, in passato: ma noi che non immaginavamo questo, è questo che dobbiamo proprio vivere? C'è qualcosa che possiamo fare, per cambiare l'inerzia di questa disfatta? Che io sappia, ammettere che la gente ha ragione. Riprendere contatto con la realtà e accorgersi del casino che abbiamo combinato. Mettersi immediatamente al lavoro per ridistribuire la ricchezza. Tornare a occuparci di giustizia sociale. Staccare la spina alle vecchie élites novecentesche e affidarsi alle intelligenze figlie del Game: farlo con la dovuta eleganza ma con ferocia. Dare un significato nuovo a parole come progresso e sviluppo, quello che hanno è ormai avvelenato. Liberare le intelligenze capaci di portarci fuori dal pensiero unico del There Is No Alternative. Smetterla di dare alla politica tutta l'importanza che le diamo: non passa da lì la nostra felicità. Tornare a fidarci di coloro che sanno, appena vedremo che non sono più gli stessi. Buttare via i numeri con cui misuriamo il mondo (primo fra tutti l'assurdo Pil) e coniare nuovi metri e misure che siano all'altezza delle nostre vite. Riacquistare immediatamente fiducia nella cultura, tutti, e investire sull'educazione, sempre. Non smettere di leggere libri, tutti, fino a quando l'immagine di una nave piena di profughi e senza un porto sarà un'immagine che ci fa vomitare. Entrare nel Game, senza paura, affinché ogni nostra inclinazione, anche la più personale o fragile, vada a comporre la rotta che sarà del mondo intero. Usarlo, il Game, come una grande chance di cambiamento invece che come un alibi per ritirarci nelle nostre biblioteche o generare diseguaglianze economiche ancora più grandi. Ritirare su tutti i muri che abbiamo abbattuto troppo presto; abbatterli di nuovo non appena tutti saranno in grado di vivere senza di loro. Lasciare che i più veloci vadano avanti, a creare il futuro, riportandoli però tutte le sere a cenare al tavolo dei più lenti, per ricordarsi del presente. Fare la pace con noi stessi, probabilmente, perché non si può vivere bene nel disprezzo o nel risentimento. Respirare. Spegnere ogni tanto i nostri device. Camminare. Smetterla di sventolare lo spettro del fascismo. Pensare in grande. Pensare. Niente che non si possa fare, in fondo, ammesso di trovare la determinazione, la pazienza, il coraggio.
Antieuropeista, oggi, significa più che altro anti-élite. Circola già la formuletta buona: l'Europa dei popoli. Non vuole dire niente ma vuol dire una cosa chiarissima: non è l'unità in sé che vogliamo spezzare, è l'unità voluta e gestita in quel modo dalle élites.(…). L'Europa è solo un esempio. Quel che sto cercando di dire è che soppesare l'opportunità di tutto ciò che la gente oggi sembra volere (che sia il ritorno alla Lira come la gogna della Società Autostrade o la libertà sui vaccini) è una perdita di tempo se non si legge in filigrana l'unica cosa che davvero la gente vuole: liberarsi delle élites. Il punto è quello, ed è lì che si ci si deve chinare e osservare bene, per quanto faccia schifo, o paura, o fatica. Perché è in quel preciso punto che si gioca una battaglia decisiva per il nostro futuro. La prima cosa che accadrà di notare, volendo davvero andare a guardare là dentro, è come si è mossa l'élite una volta che si è trovata sotto attacco. Si è irrigidita nelle proprie certezze allestendo rapidamente una narrazione che mettesse le cose a posto: la gente si era bevuta il cervello, probabilmente manovrata da una nuova generazione di leader privi di responsabilità, disposti a giocare sporco, e furbi nel rivolgersi alla pancia dei cittadini dribblandone l'eventuale intelligenza. Termini vaghi e inesatti come fake news, populismo, se non addirittura fascismo, sono stati ingaggiati per veicolare meglio il messaggio a etichettare sommariamente gli insorti. Sullo sfondo, una certezza: There Is No Alternative, ripetuta come un mantra, coltivata come un'ossessione, inflitta come una profezia e una minaccia. Neanche per un attimo, sembrerebbe, l'élite si è fermata a chiedersi se per caso non avesse sbagliato da qualche parte, e in modo così marchiano da generare, a slavina, quel gran casino. Se l'avesse fatto, non le sarebbe stato poi così difficile registrare almeno tre fenomeni che a me, come a molti, sembrano di un'evidenza solare: 1. La sua idea di sviluppo e di progresso non riesce a generare giustizia sociale, distribuisce la ricchezza in un modo delirante, distrugge lavoro più di quanto riesca a generarne, lascia il centro del gioco a potenze economiche scarsamente controllabili, continua a essere fondata su un feroce controllo di intere zone deboli del pianeta e mette in serio pericolo la Terra, dimenticandosi che è la casa di tutti, non la discarica di pochi. 2. Le élites sono da tempo preda di un torpore profondo, una sorta di ipnosi da cui declinano un pensiero unico, allestendo raffinati teoremi i cui risultato è sempre lo stesso, totemico: There Is No Alternative. Si sarà notato che non reagiscono più a nulla, sono ipnotizzate da se stesse, hanno perso completamente contatto con la vita che fa la gente, spendono più della metà del tempo a contemplarsi e arredare i propri privilegi. Stanno arrestando la storia, e allevando degli eredi incapaci di pensare qualcosa di diverso dalle ossessioni dei padri. 3. Una sola volta, negli ultimi cinquant'anni, le élites hanno generato un pensiero alternativo: ed è stato quando le son sfuggiti alcuni contro-pensatori, più che altro tecnici, dalla cui eresia è poi nata l'insurrezione digitale. Dal loro torpore, le élites l'hanno registrata in ritardo, bollandola come una deriva commerciale di dubbio gusto e pensando di risolverla così. Era invece una rivoluzione che si proponeva di azzerare proprio loro, le élites novecentesche, e di sostituirle con una nuova élite, una nuova intelligenza, perfino una nuova moralità. Non ci hanno capito niente, e questo vuol dire che il Game è cresciuto tra le pieghe del loro potere, e a poco a poco le ha delegittimate, consegnandole alla gente quando ormai non avevano la forza per difendersi. Nel tempo in cui questo accadeva, l'unico riflesso brillante delle élites è stato usare il Game per fare soldi: che vendessero le reliquie del Novecento o finanziassero start up, si sono messi a vendere i biglietti per assistere alla propria condanna a morte. Strano modo di cavalcare la Storia. Fai errori del genere e poi, con chi si presenta a staccarti la spina, pensi di cavartela dandogli del fascista? Altrettanto interessante, va detto, è andare a vedere come si è mossa la gente, quando ha deciso di sfasciare il patto e fare da sola. Potenzialmente aveva davanti una sorta di nuovo orizzonte, immenso: ma si è fermata al primo passo, quello della resa dei conti pura e semplice. Rimandati i sogni, sfoga risentimento. Incapace di futuro, recupera il passato. Si è scelta leader che le offrono una vendetta quotidiana e una retromarcia al giorno: è quello che sanno fare. Non riescono a immaginare un granché, si limitano a cercare di correggere l'esistente ereditato dalle élites. Spesso non riescono nemmeno tanto a farlo, per incompetenza, scarsa attitudine al governo, improvvisa scoperta dei propri limiti, obbiettiva tostaggine del nemico e vertiginosa complessità del sistema. Ritrovano coraggio in un sorta di tono di voce che è divenuta il loro vero segno distintivo, un misto di schiettezza, aggressività, urlo da mercato e slogan pubblicitario. La gente lo trova rassicurante e ha finito per assumerlo come un modo di pensare: ci trova una sorta di intelligenza elementare che sostituisce alle raffinatezze e ai sofismi della riflessione delle élites il movimento limpido, diretto, vagamente virile, a suo modo puro, di uomini che finalmente vano diritti alle cose, smantellando vecchi trucchi e ipocrisie. La santificazione di questo modo di pensare - è necessario capire - è l'arma con cui la gente, oggi, sta sferrando l'aggressione più violenta alle élites: è la vera breccia che sta aprendo nelle loro mura difensive. Se passa quel modo di leggere il mondo, le élites sono spacciate. Finita la pacchia. Il punto che a me, come a molti altri, risulta di un'evidenza solare è che una vittoria di questo genere avrebbe un prezzo devastante: non per le élites, chissenefrega, ma per tutti. Perché il mito di un accosto diretto, puro e vergine alle cose, opposto all'andatura decadente, complicata e anche un po' narcisistica della riflessione colta, è una creatura fantastica che ci abbiamo messi secoli a smascherare: recuperarla sarebbe da dementi. Da un sacco di tempo abbiamo imparato che è meglio sapere molto delle cose prima di cambiarle, che è meglio conoscere molti uomini per capire se stessi, che è meglio condividere i sentimenti degli altri per gestire i nostri, che è meglio avere molte parole piuttosto che poche perché vince chi ne sa di più. Abbiamo un termine per definire questo modo di difenderci dalla durezza feroce della realtà grazie all'uso paziente e raffinato dell'intelligenza e della memoria: cultura. Sostituirla con l'apparente chiarezza di un pensiero elementare, quasi una sorta di furbizia popolare, equivale a disarmarsi volontariamente e andare al massacro. Voglio essere chiaro: ogni volta che ci facciamo bastare certe parole d'ordine di brutale semplicità, noi bruciamo anni di crescita collettiva spesi a non farci fottere dall'apparente semplicità delle cose: non noi élites, sto parlando di tutti quanti. Ci condanniamo a prendere cantonate colossali. Che so, considerare un'importante minaccia al nostro benessere l'ovvio transumare di un numero in fondo contenuto di umani da continenti che abbiamo stritolato e continuiamo a tenere per le palle. Cose così. Enormità. Alla fine, occorre registrare un fenomeno che a me, come a molti altri, sembra di una evidenza solare: la gente si sveglia ogni giorno per andare all'assalto della fortezza delle élites: e più lo fa, e più vince, più si fa del male. Così attraversiamo tempi cupi, e siamo come terra in cui passano eserciti, saccheggiando. Nessuno sembra in grado di vincere, per cui è difficile vedere la fine. Ogni giorno che passa, diminuiscono le scorte: di forza, di bellezza, di rispetto, di umanità, perfino di umorismo. Niente che non abbiamo già vissuto, in passato: ma noi che non immaginavamo questo, è questo che dobbiamo proprio vivere? C'è qualcosa che possiamo fare, per cambiare l'inerzia di questa disfatta? Che io sappia, ammettere che la gente ha ragione. Riprendere contatto con la realtà e accorgersi del casino che abbiamo combinato. Mettersi immediatamente al lavoro per ridistribuire la ricchezza. Tornare a occuparci di giustizia sociale. Staccare la spina alle vecchie élites novecentesche e affidarsi alle intelligenze figlie del Game: farlo con la dovuta eleganza ma con ferocia. Dare un significato nuovo a parole come progresso e sviluppo, quello che hanno è ormai avvelenato. Liberare le intelligenze capaci di portarci fuori dal pensiero unico del There Is No Alternative. Smetterla di dare alla politica tutta l'importanza che le diamo: non passa da lì la nostra felicità. Tornare a fidarci di coloro che sanno, appena vedremo che non sono più gli stessi. Buttare via i numeri con cui misuriamo il mondo (primo fra tutti l'assurdo Pil) e coniare nuovi metri e misure che siano all'altezza delle nostre vite. Riacquistare immediatamente fiducia nella cultura, tutti, e investire sull'educazione, sempre. Non smettere di leggere libri, tutti, fino a quando l'immagine di una nave piena di profughi e senza un porto sarà un'immagine che ci fa vomitare. Entrare nel Game, senza paura, affinché ogni nostra inclinazione, anche la più personale o fragile, vada a comporre la rotta che sarà del mondo intero. Usarlo, il Game, come una grande chance di cambiamento invece che come un alibi per ritirarci nelle nostre biblioteche o generare diseguaglianze economiche ancora più grandi. Ritirare su tutti i muri che abbiamo abbattuto troppo presto; abbatterli di nuovo non appena tutti saranno in grado di vivere senza di loro. Lasciare che i più veloci vadano avanti, a creare il futuro, riportandoli però tutte le sere a cenare al tavolo dei più lenti, per ricordarsi del presente. Fare la pace con noi stessi, probabilmente, perché non si può vivere bene nel disprezzo o nel risentimento. Respirare. Spegnere ogni tanto i nostri device. Camminare. Smetterla di sventolare lo spettro del fascismo. Pensare in grande. Pensare. Niente che non si possa fare, in fondo, ammesso di trovare la determinazione, la pazienza, il coraggio.
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