"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 11 gennaio 2019

Sullaprimaoggi. 50 «Noi, la sinistra ci siamo inventati una destra immaginaria».


Tratto da “Democrazia in minoranza” di Wlodek Goldkorn, pubblicato sul settimanale L’Espresso del 30 di dicembre dell’anno 2018: Detto con una certa brutalità: in questi ultimi anni, forse decenni, noi, la sinistra (vale l’autocertificazione) ci siamo inventati una destra immaginaria. Quando parlavamo della destra pensavamo a una forza politica che in fondo condividesse la nostra visione del mondo.
Certo, lo sapevamo, la destra era costituzionalmente contraria all’ideale dell’uguaglianza. D’altronde quell’antica parola d’ordine, la seconda dopo la “Libertà”, fra le tre parole chiave della Rivoluzione francese, neanche per noi era davvero importante. Ci siamo accontentati, appunto della Libertà e abbiamo parlato, e tanto, di Fratellanza. La Libertà poi è un concetto così vago da averci indotto a presumere che pure la destra seguisse il nostro modo di declinare quella parola. Ecco quindi che la destra creata nel nostro immaginario era come noi, favorevole alla liberalizzazione dei costumi e all’autodeterminazione delle persone - al diritto di disporre del proprio corpo e della propria vita; ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, seppur con qualche rigidità, dovuta al ritardo culturale, da superare con la forza della persuasione e con qualche forzatura (in Parlamento o in piazza) da parte nostra. Certo, la destra era meno ligia di noi ad assimilare l’idea della Fratellanza, per cui era più guardinga nei confronti dei migranti, con punte di cattiveria addirittura, ma nel nostro immaginario si trattava di eccessi, di prese di posizioni provvisorie, perché in fondo, anche la destra sarebbe ormai stata immune ai discorsi xenofobi e al nazionalismo di stampo etnico («peccato originale dell’Europa» secondo la filosofa Agnes Heller). Poi, una mattina ci siamo svegliati e abbiamo visto che la destra aveva e ha anche un volto diverso da quello che le abbiamo attribuito. Ma quale volto? Procediamo con ordine. Partendo da una frase di Romano Prodi. Il fondatore dell’Ulivo dice spesso: «L’Europa è una federazione delle minoranze». Possiamo aggiungere che lo era anche l’Ulivo, un’aggregazione che fuori Italia era visto come un modello di una sinistra nuova, moderna, vogliosa di governare. E del resto, l’Europa come l’abbiamo conosciuta è stata inventata da tre uomini politici, nati e cresciuti in terre di confine e che conoscevano l’arte di federare: Schumann, De Gasperi e Adenauer. I tre, dopo l’esperienza della due guerre mondiali, volevano valorizzare l’aspetto “periferico” del vissuto delle persone del Vecchio Continente. Se poi, nella prassi non sempre ci siano riusciti è un’altra questione. Oggi, comunque la destra al potere e le destre che aspirano a prendere il potere pensano di smantellare quell’Europa. Per andare dove? Verso il fascismo, come alcuni temono, o verso altre forme della democrazia, conosciute nel passato? (…). E allora, diciamocelo: la democrazia liberale, quella democrazia che oggi vediamo minacciata dalle destre che con una dizione post-moderna chiamiamo sovraniste e populiste, quella democrazia inclusiva delle minoranze, dei deboli, dei devianti, attenta ai diversamente abili (e che giustamente ha abolito parole come invalido, handicappato, cieco, sordo e via elencando) è esistita solo per un istante fugace, durato, sì e no, una trentina di anni, dalla caduta del Muro di Berlino e fino appunto a ieri, minata fin dalle sue fondamenta dalla crisi iniziata nel 2008. In questi anni di euforia, inclusione, apertura, abolizione delle frontiere, frontiere anche del linguaggio, noi, la sinistra per alcuni anni egemone in quanto erede della rivoluzione culturale del Sessantotto (…), abbiamo rimosso la vera storia delle democrazie nel nostro Continente. E allora, raccontiamocela, al di là dei miti. L’Europa del dopo la seconda guerra mondiale (al di là delle intenzioni dei tre fondatori, citati appena) è quell’insieme di Paesi coinvolti in sanguinarie guerre coloniali. La democrazia francese ha un volto atroce in Algeria, ed è solo l’esempio più eclatante, ma si potrebbero citare il Congo belga. E sempre in Francia, il conflitto in Algeria porta alla pratica di tortura (denunciata da Sartre e da Henri Alleg). E ancora, la pena di morte è stata abolita, sempre in Francia solo nel 1981, l’anno in cui in Italia (qualcuno se lo ricorda ancora?) fu abolito il delitto d’onore. Il diritto delle donne di interrompere la gravidanza era fino alla metà degli anni Settanta un’utopia femminista e in alcuni Paesi le stesse donne non potevano aprire il conto in banca senza l’autorizzazione del marito. Il linguaggio razzista era la norma, i confini tra gli Stati non erano permeabili, ad eccezione dei richiedenti asilo fuggiti dai paesi comunisti. Gli omosessuali se non puniti erano discriminati, gli ospedali psichiatrici assomigliavano a veri lager e vi finivano non solo i malati mentali, ma pure bambini irrequieti, donne non sottomesse al maschio, maschi considerati poco virili, nei commissariati di polizia prendere a schiaffi un arrestato era un fatto normale, più volte le forze dell’ordine avevano sparato sugli operai in piazza, in Germania le persone considerate estremiste non potevano essere assunte nella pubblica amministrazione e si potrebbe continuare con l’elenco per dire una cosa semplice: la democrazia così come si era configurata dopo la seconda guerra mondiale nell’Occidente europeo (a Oriente vigevano le dittature comuniste) era una democrazia che non metteva in questione il potere e l’egemonia culturale della maggioranza. Contestare il principio che la maggioranza avesse sempre ragione comportava una certa dose di eroismo. Quella maggioranza veniva definita “silenziosa”: uomini (maschi) che lavoravano e stavano zitti. A Parigi si palesò il 30 maggio 1968, milioni in piazza a sostegno di De Gaulle e contro gli studenti “anarchici”. La maggioranza silenziosa parigina pose fine a quel che fu chiamato il Maggio. Ma poi, sotto la spinta del Sessantotto e dello stesso Maggio quindi, e soprattutto del femminismo, le minoranze e “i diversi” (le donne), trovarono la propria voce e prevalsero. E per tornare al vocabolario di Prodi: a partire dalla caduta del Muro, abbiamo vissuto in un Occidente egemonizzato dalla federazione delle minoranze. La sinistra a quella federazione ha dato rappresentanza politica. Ora è tornata la maggioranza silenziosa, con la sua richiesta di Legge e Ordine, dei confini, fisici (ma anche di genere e di classe) impermeabili e con la libertà di xenofobia. I partiti populisti e sovranisti al potere sono la sua voce. Come una volta quindi? No. Il passato non torna mai uguale: però l’idea che chi non fa parte della maggioranza non solo è “strano” e “deviante” ma è escluso dal corpo del popolo, giustifica una certa inquietudine.

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