A lato. 1572 - La strage dei Valdesi a Parigi la notte di San Bartolomeo.
Tratto da “Senza
libertà di parola la democrazia è una finzione” di Ian Mcewan – scritto a
seguito del massacro compiuto nella redazione parigina della rivista “Charlie Hebdo” il 7 di gennaio dell’anno
2015 -, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 23 di gennaio dello stesso anno:
(…).
Dai loro diversi templi le religioni fanno quotidiano esercizio di blasfemia l’una
contro l’altra. Gesù è figlio di Dio? Non per i musulmani. Maometto è l’ultimo
messaggero di Dio sulla terra? Non per i cristiani. L’universo si può spiegare
o esplorare meglio secondo la cosmologia basata sulla fisica, lasciando Dio da
parte? Non per i musulmani o i cristiani. Chi si farà garante della pace? Non la
religione. La storia europea ci rammenta che all’epoca in cui il cristianesimo
viveva il suo massimo splendore totalitario pre-illuministico e poi il suo massimo
scisma, l’intolleranza nei confronti di piccole diversità fu causa, come nel
caso della Guerra dei trent’anni, di barbarie e carneficine di dimensioni
terrificanti. E di persecuzione, tortura e terrore, dalla condanna al rogo di
William Tyndale per aver tradotto la Bibbia in inglese, allo scandalo
dell'inquisizione spagnola e, in reazione, a sconvolgenti barbarie a spese dei
cattolici. L'Islam, dal Pakistan all'Arabia Saudita e altri paesi del Golfo,
dall'Indonesia alla Turchia e all'Egitto, sta vivendo in questa fase una
propria versione di totalitarismo. Leggiamo quotidianamente di torture,
carcerazioni e condanne a morte ai danni di musulmani che vogliono abbandonare
l'Islam o quanto meno metterlo in discussione. Vengono puniti per aver violato
i codici islamici di apostasia e blasfemia, passibili di ampie interpretazioni.
In Pakistan, i politici usano le leggi contro la blasfemia come armi letali. In
Egitto un insegnante è stato in carcere per tre anni per aver parlato a lezione
di altre fedi religiose. In tutto il Medio Oriente il cristianesimo e il
zoroastrismo sono scacciati dalle loro terre d'origine. In Turchia la libertà
di stampa è oggetto di continui attacchi da parte dei conservatori religiosi. I
regimi autoritari arabi fanno un uso cinico e strumentale della legge della
Sharia per bloccare l'opposizione politica. Boko Haram e l'Is, con la loro
intolleranza assurda e terribile, portano all'esasperazione le prassi di alcuni
stati dando vita a un incubo. In Arabia Saudita, sede dei più venerati santuari
dell'Islam, l'apostasia comporta la pena capitale. Il più recente, brutale,
atto di repressione saudita contro la libertà di parola — la condanna a mille
frustrate e dieci anni di prigione — mostra lo spregio delle autorità per
l'Islam come religione di pace, ed ha provocato in tutto il mondo un'ondata di
disgusto, in alcuni casi espresso esplicitamente da parte musulmana. Nelle
città dell'Occidente, ampiamente stratificate di razze e religioni, il solo
garante della libertà di culto e della tolleranza universale è lo stato laico.
Esso rispetta tutte le religioni in seno alla legalità e crede a tutte — o a
nessuna. La differenza è tra- scurabile, perché non tutte le religioni possono
corrispondere a verità. Il principio di libertà di parola è fondamentale. Il
prezzo da pagare è l'offesa occasionale. È lecito pretendere che l'offesa non
conduca alla violenza o a minacce di violenza. La ricompensa è la libertà per
tutti di badare ai propri affari nella pratica lecita del proprio credo. La
libertà che consente ai redattori di Charlie Hebdo di fare satira è la stessa
libertà che consente ai musulmani di Francia di praticare il loro culto e di
esprimere apertamente le loro opinioni. Il credente non accetta questa doppia
faccia della libertà. La libertà di parola è dura, fa rumore, a volte ferisce,
ma quando è necessario far convivere una simile pluralità di opinioni non
lascia alternative, se non l'intimidazione, la violenza e l'aspro conflitto tra
comunità. La libertà di parola non è mai esagerata. Non è un lusso che si
permettono i giornalisti e i romanzieri. E non è assoluta. Le limitazioni che
le si impongono (ad esempio per circoscrivere il campo d'azione online dei
pedofili) devono essere frutto di leggi approvate in seno a istituzioni democratiche.
Ma senza libertà di parola la democrazia è una finzione. Tutte le libertà che
possediamo o vorremmo possedere (inclusa la parità dei sessi, la libertà di
orientamento sessuale, l'habeas corpus e il giusto processo, il suffragio
universale, la libertà di associazione — e così via) sono frutto di pensieri,
parole e scritti liberi. La libertà di parola, di dare e ricevere informazioni,
porre domande scomode, di ricerca accademica, di critica, di fantasia, di
satira — l'interscambio dell'intera gamma delle nostre capacità intellettuali,
è la libertà che fa esistere tutte le altre. La libertà di parola non è il
nemico della religione, è il suo nume tutelare. È grazie alla sua presenza che
Parigi Londra e New York sono piene di moschee. A Riyadh, dove è assente, le
chiese sono vietate. Oggi come oggi chi importa una Bibbia lì rischia la pena
di morte.
Nessun commento:
Posta un commento