27 di gennaio 1945-27 di gennaio 2019. Per non
dimenticare. “Un’altra notte. Torvo, il cielo
si chiude ancora sul silenzio mortale volteggiando come un avvoltoio. Simile ad
una bestia acquattata, la luna cala sul campo – pallida come un cadavere”.
Da “The Auschwitz Poems" di Tadeusz Borowski, detenuto in quel campo.
“(…). Noi siamo su un lastrone di cemento al binario 21. Siamo testimoni di un delitto italiano di cui sono restati tutti i segni e tutte le impronte. Dal binario 21 partivano i treni, mentre Milano viveva la sua difficile vita di guerra, la borsa nera, lo sfollamento, il treno per venire al lavoro e tornare in campagna per essere più al sicuro, quel tanto di solidarietà che nasce sempre nei momenti difficili. Non per tutti. Una bambina che è passata sul marciapiede buio del binario 21, in quel misterioso piano di sotto racconta: - Dopo l’arresto ci avevano rinchiuso a San Vittore, con ladri e malfattori. Quando ci hanno messi in marcia verso la stazione donne, uomini, vecchi, bambini, in uno strano corteo, soltanto i detenuti di San Vittore hanno gridato coraggio, hanno capito l’assurdo, ci hanno dato quel che avevano da mangiare e per stare caldi. Nelle strade di Milano non se ne è accorto nessuno, nessuno si è voltato -. È la voce di Liliana Segre … Ecco il binario 21. Da qui, dalla stazione italiana, con personale italiano e scorta italiana, partivano i treni Milano-Auschwitz. Qui spingevano sui vagoni gli ebrei italiani destinati a morire. (…)”. Da “Milano-Auschwitz” di Furio Colombo, pubblicato su “il Fatto Quotidiano“ del 27 di gennaio dell’anno 2010.
Tratto da un testo (2008) di
Simon Levis Sullam, storico e docente presso l'Università della California: Perché
la memoria è così difficile da gestire? Perché oltre al dovere civile di ricordare,
può suscitare disagio, senso di ripetizione, assuefazione? Può accadere ad esempio di fronte a immagini (…):
una di queste mostra una fila di donne nude, di età diverse; alcune hanno dei
bambini in braccio. Con i loro figli, a una a una, stanno per essere uccise:
nessuna resterà viva. Foto come questa, insieme a testimonianze, lettere,
pagine di diario, libri di storia, film, romanzi, documentano milioni di morti,
di uomini e donne uccisi in massa nel cuore dell'Europa, per la colpa di essere
ebrei. Questo ricorda ogni anno il 27 gennaio, la Giornata della Memoria. Una
memoria, però, che può creare disagio. Le spiegazioni sono molte: c'è il
problema della gestione individuale e collettiva di un evento - l'Olocausto, la
Shoah - di tale dimensione e natura. C'è l'immaginario vittimistico che esso
suscita: da un lato virtuoso e confortante, dall'altro disagevole e faticoso.
C'è il senso di estraneità per un ricordo che sembra non toccarci direttamente,
non coinvolgerci, riguardare gli altri: il passato, altre generazioni, qualcuno
diverso da noi. C'è la retorica e la ritualizzazione che appesantisce e
fossilizza nel tempo tutti gli anniversari, i ricordi istituzionalizzati. È
difficile ricordare per legge. Soffermiamoci su due aspetti: il disagio della memoria
e perché questa memoria ci riguarda tutti. C'è qualcosa di intrinseco nella
singolarità storica di Auschwitz. L'Olocausto, potremmo dire, è un evento che
si "autodistrugge": è il frutto di una gigantesca e inedita
automutilazione dell'Europa, lo sterminio sistematico di milioni di propri
simili. Nell'atto di questa mutilazione - oltre l'ideologia di morte, la
propaganda forsennata, l'odio sterminatore - "non c'è un perché"
(come dice la guardia del campo al prigioniero Primo Levi che chiede
"perché?"). Questo atto di sterminio, inoltre, cerca di cancellare le
proprie tracce mentre ancora si sta svolgendo: la "soluzione finale"
deve avvenire in segreto; il linguaggio burocratico nazista la nasconde; le
squadre speciali che vi sovrintendono sono periodicamente uccise a loro volta;
le camere a gas e i forni crematori saranno fatti esplodere. Per questo è stato
scritto: l'oblio del genocidio fa parte del genocidio. E per questo dobbiamo
ricordare. Perché l'Europa uccidendo in massa ha tentato di autodistruggersi e
quindi l'Olocausto ci riguarda tutti: tedeschi, italiani, europei. Perché se
l'oblio è stato parte del progetto di sterminio, il ricordo nelle sue giuste
dosi - assieme alla conoscenza e alla tolleranza - può contribuire alla
costruzione di una Europa diversa. E può fondare anche un'Italia più
consapevole: settant'anni dopo le leggi razziali del 1938, che diedero avvio
all'Olocausto anche qui da noi. Quelle donne nude che stavano per essere uccise
erano anche italiane; e italiani coloro che le avevano arrestate, condannandole
a morte certa.
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