Tratto da “Caro
Orwell, adesso ti chiedo scusa” di Adam Gopnik, pubblicato sul quotidiano
la Repubblica del 28 di gennaio dell’anno 2017: Temo di dover fare una
confessione terribile: non sono mai stato un grande entusiasta di 1984 di
George Orwell. Nelle sue proiezioni dal presente al futuro, mi è sempre
sembrato troppo perfetto e studiato, un po’ carente rispetto a quelle
rappresentazioni irreali che cerchiamo nella letteratura distopica. (…).
A farmi cambiare opinione, naturalmente, è stata la presidenza di Donald Trump. E questo perché ciò che in assoluto colpisce di più della sua impareggiabile prima stravagante settimana è quanto primitivo, atavico, esplicitamente brutale si sia rivelato essere l’autoritarismo targato Trump. Per saggiarne la qualità dobbiamo ritornare a 1984 perché, in verità, dobbiamo tornare al 1948. Non vi è nulla di inafferrabile nel comportamento di Trump: egli mente, ripete la balla, e chi l’ascolta o si accuccia spaventato, balbettando incredulo, oppure cerca di capire in che modo ribaltare la menzogna per il proprio tornaconto. Le menzogne di Trump, e il suo impulso a dirle, sono rozzezza da Grande Fratello allo stato puro, a prescindere da quanto siano zoticamente articolate. Non sono trabocchetti e tentazioni post-moderne: sono soltanto primitivi sfottò e sopraffazioni da cortile di scuola. Il cieco e palese disprezzo della verità ci è offerto senza neppure una sottile patina glassata di facciata, senza l’edulcorante di una certa gradevolezza di temperamento o di moderazione o di rappresentanza - non con il bagliore di un consenso arrendevole, ma con il timbro arcaico della rabbia, dell’arroganza, e della rivalsa. Trump è l’essere rabbioso autoritario allo stato puro. Di conseguenza, rileggendo Orwell, ci viene rammentato quello che l’autore aveva correttamente presagito riguardo all’autoritarismo bestiale - in sostanza il fatto che esso si basa su menzogne dette spesso e a tal punto ripetute che combatterle diventa non soltanto più pericoloso, ma addirittura più logorante che ripeterle. Orwell vide, e va a suo merito, che distorcere la realtà è solo in un secondo tempo un modo per cambiarne la percezione: distorcere la realtà è prima di ogni altra cosa un modo per affermare il proprio potere. Quando ripete la ridicola storia dei tre milioni di elettori clandestini - faccenda di cui nessuno è a conoscenza tra chi sa queste cose, e nella quale non credono neppure uno degli impiegati della Casa Bianca e nemmeno uno dei rappresentanti repubblicani al Congresso -, a Trump non interessa affatto se qualcuno ci crede, anche se, a un certo livello di follia, lui ci crede. Più o meno. Non è previsto che la gente debba crederci, ma che ne sia intimidita. La menzogna non è una dichiarazione su fatti specifici; la follia è una sfida deliberata all’idea più generale di sanità mentale stessa. Una volta che una bugia così grossa inizia a circolare, cercare di riportare il dibattito nell’ambito della logica diventa irrealizzabile. (…). È risaputo che Caligola, l’imperatore pazzo di Roma, nominò senatore il suo cavallo Incitatus, gesto che da millenni a questa parte è diventato per antonomasia il simbolo di un’azione dispotica da squilibrati. Adesso, però, sappiamo che cosa accadrebbe qualora Caligola nominasse il suo cavallo senatore se al Senato la maggioranza fosse formata dal moderno partito repubblicano: i repubblicani prima direbbero di non aver voluto interferire ed essere coinvolti nelle discussioni sulle scelte personali dell’Imperatore, e in un secondo tempo passerebbero subito a prendere in considerazione in che modo la presenza del cavallo potrebbe aiutarli a legittimare lo smantellamento delle regolamentazioni nel settore dei trasporti con calessi trainati da cavalli. La follia dell’Imperatore e il ladrocinio dei senatori sono un’accoppiata perfetta. (…). Ogni volta che in un’ideologia irragionevole è radicata una svolta autoritaria, le persone benintenzionate sosterranno che quella situazione non potrà durare a lungo, perché i risultati saranno palesemente negativi per le persone che credono in essa, che si tratti della rivoluzione teocratica in Iran o della prima Amministrazione veramente assolutista in America. È tragico, è terribile, ma non accade mai che le cose vadano così. Dal punto di vista politico, a Trump non costa nulla essere considerato incompetente, impulsivo, superficiale, inconsistente e sdegnoso della verità e della ragione. Sono queste le sue politiche. È così che è arrivato al potere. La sua base ama la sventatezza, l’incompetenza e il disprezzo della ragione perché la sanità di mente, la competenza e la paziente raccolta di prove sono cose che permettono alla gente istruita di fingere di essere superiore. Il risentimento arriva prima della ragione. Ora ci rendiamo conto che gli intellettuali conservatori condividono questi rancori più profondamente di quanto valutino le prassi razionali. E se fossero costretti a scegliere, anteporrebbero sempre il demagogo ai dimostranti. (…). Le nostre menti si sentono ispirate da slogan semplici, che non spiegano le cose in modo semplicistico. L’unione è l’unica cura contro la catastrofe. L’azione è l’unico antidoto alla rabbia. Se vi sembrano un po’ simili alle esternazioni sommesse di Winston in 1984 - quando scrive di nascosto, per esempio, che la sanità mentale non è statistica - almeno per il momento si tratta ancora di verità intimamente universali. Preghiamo che così continuino a essere.
A farmi cambiare opinione, naturalmente, è stata la presidenza di Donald Trump. E questo perché ciò che in assoluto colpisce di più della sua impareggiabile prima stravagante settimana è quanto primitivo, atavico, esplicitamente brutale si sia rivelato essere l’autoritarismo targato Trump. Per saggiarne la qualità dobbiamo ritornare a 1984 perché, in verità, dobbiamo tornare al 1948. Non vi è nulla di inafferrabile nel comportamento di Trump: egli mente, ripete la balla, e chi l’ascolta o si accuccia spaventato, balbettando incredulo, oppure cerca di capire in che modo ribaltare la menzogna per il proprio tornaconto. Le menzogne di Trump, e il suo impulso a dirle, sono rozzezza da Grande Fratello allo stato puro, a prescindere da quanto siano zoticamente articolate. Non sono trabocchetti e tentazioni post-moderne: sono soltanto primitivi sfottò e sopraffazioni da cortile di scuola. Il cieco e palese disprezzo della verità ci è offerto senza neppure una sottile patina glassata di facciata, senza l’edulcorante di una certa gradevolezza di temperamento o di moderazione o di rappresentanza - non con il bagliore di un consenso arrendevole, ma con il timbro arcaico della rabbia, dell’arroganza, e della rivalsa. Trump è l’essere rabbioso autoritario allo stato puro. Di conseguenza, rileggendo Orwell, ci viene rammentato quello che l’autore aveva correttamente presagito riguardo all’autoritarismo bestiale - in sostanza il fatto che esso si basa su menzogne dette spesso e a tal punto ripetute che combatterle diventa non soltanto più pericoloso, ma addirittura più logorante che ripeterle. Orwell vide, e va a suo merito, che distorcere la realtà è solo in un secondo tempo un modo per cambiarne la percezione: distorcere la realtà è prima di ogni altra cosa un modo per affermare il proprio potere. Quando ripete la ridicola storia dei tre milioni di elettori clandestini - faccenda di cui nessuno è a conoscenza tra chi sa queste cose, e nella quale non credono neppure uno degli impiegati della Casa Bianca e nemmeno uno dei rappresentanti repubblicani al Congresso -, a Trump non interessa affatto se qualcuno ci crede, anche se, a un certo livello di follia, lui ci crede. Più o meno. Non è previsto che la gente debba crederci, ma che ne sia intimidita. La menzogna non è una dichiarazione su fatti specifici; la follia è una sfida deliberata all’idea più generale di sanità mentale stessa. Una volta che una bugia così grossa inizia a circolare, cercare di riportare il dibattito nell’ambito della logica diventa irrealizzabile. (…). È risaputo che Caligola, l’imperatore pazzo di Roma, nominò senatore il suo cavallo Incitatus, gesto che da millenni a questa parte è diventato per antonomasia il simbolo di un’azione dispotica da squilibrati. Adesso, però, sappiamo che cosa accadrebbe qualora Caligola nominasse il suo cavallo senatore se al Senato la maggioranza fosse formata dal moderno partito repubblicano: i repubblicani prima direbbero di non aver voluto interferire ed essere coinvolti nelle discussioni sulle scelte personali dell’Imperatore, e in un secondo tempo passerebbero subito a prendere in considerazione in che modo la presenza del cavallo potrebbe aiutarli a legittimare lo smantellamento delle regolamentazioni nel settore dei trasporti con calessi trainati da cavalli. La follia dell’Imperatore e il ladrocinio dei senatori sono un’accoppiata perfetta. (…). Ogni volta che in un’ideologia irragionevole è radicata una svolta autoritaria, le persone benintenzionate sosterranno che quella situazione non potrà durare a lungo, perché i risultati saranno palesemente negativi per le persone che credono in essa, che si tratti della rivoluzione teocratica in Iran o della prima Amministrazione veramente assolutista in America. È tragico, è terribile, ma non accade mai che le cose vadano così. Dal punto di vista politico, a Trump non costa nulla essere considerato incompetente, impulsivo, superficiale, inconsistente e sdegnoso della verità e della ragione. Sono queste le sue politiche. È così che è arrivato al potere. La sua base ama la sventatezza, l’incompetenza e il disprezzo della ragione perché la sanità di mente, la competenza e la paziente raccolta di prove sono cose che permettono alla gente istruita di fingere di essere superiore. Il risentimento arriva prima della ragione. Ora ci rendiamo conto che gli intellettuali conservatori condividono questi rancori più profondamente di quanto valutino le prassi razionali. E se fossero costretti a scegliere, anteporrebbero sempre il demagogo ai dimostranti. (…). Le nostre menti si sentono ispirate da slogan semplici, che non spiegano le cose in modo semplicistico. L’unione è l’unica cura contro la catastrofe. L’azione è l’unico antidoto alla rabbia. Se vi sembrano un po’ simili alle esternazioni sommesse di Winston in 1984 - quando scrive di nascosto, per esempio, che la sanità mentale non è statistica - almeno per il momento si tratta ancora di verità intimamente universali. Preghiamo che così continuino a essere.
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