"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 16 gennaio 2018

Quodlibet. 49 “Com'è povero il mondo chiuso in un telefonino”.



Da “Com'è povero il mondo chiuso in un telefonino” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del 16 di gennaio dell’anno 2016: Siamo "malati" di social network? No: è quel modo di comunicare la vera malattia. (…). …malata è la forma che ha assunto la comunicazione di massa, dove chi riceve un messaggio finisce per leggere le identiche cose che egli stesso potrebbe tranquillamente scrivere, e chi scrive narra le stesse cose che potrebbe leggere inviate da chiunque. Il risultato è una sorta di "comunicazione tautologica" che, paradossalmente, finisce per abolire la necessità e, al limite, l'utilità della comunicazione. Tuttavia non vi si rinuncia perché, (…), lo scopo di questo tipo di comunicazione è "il desiderio di costruzione di un nuovo io e la ricerca di approvazione". Due cose che denunciano da un lato la non accettazione di sé, e dall'altro quella forma d'insicurezza che affida all'approvazione degli altri il riconoscimento di chi si vorrebbe essere e non si è. La non accettazione di sé incomincia dal corpo che, dall'adolescenza fino alla vecchiaia, si chiede alla chirurgia estetica di poter modificare, per poi estendersi all'immagine di sé, offrendo sui social network una descrizione che non risponde a quel che si è, ma a quel che si presume possa essere approvato dagli altri. Così ci si mette in mostra come i prodotti si mettono in vetrina. E senza accorgercene diventiamo una "mostra" che chiunque può visitare. E poi approvare o disapprovare, non argomentando - non si può con 140 caratteri - ma scrivendo semplicemente "mi piace" o "non mi piace". Argomentare è difficile, perché per farlo occorre saper pensare e parlare. Stante il livello culturale delle nostre scuole, tale che l'Ocse colloca gli italiani all'ultimo posto in Europa per la comprensione di un testo scritto, ci esprimiamo con il linguaggio atrofico e impoverito proprio dei telefonini. Prova che le invenzioni tecniche non sono mai solamente "tecniche", perché ogni tecnica comporta una modalità d'uso che plasma chi la usa, indipendentemente dall'uso che ne fa. I messaggi diffusi nei social hanno una vita breve che si consuma, come tutte le cose in una società dei consumi spinta all'eccesso, per cui il tempo della riflessione e del pensiero si estingue in quel tempo breve della risposta emotiva non pensata e non riflessa. Se poi vogliamo considerare i danni fisici, che potrebbero preoccupare anche chi non è interessato al pensiero, mi diceva un primario di oculistica che i giovani d'oggi non sanno più vedere a distanza, e la preside di un liceo artistico mi riferiva che i suoi alunni non riescono più a percepire la prospettiva. È un mondo accorciato, un mondo ridotto a quella breve distanza che separa il mio occhio dal telefonino, che mi fa vedere non il mondo reale ma il mondo in immagine, non di rado manipolato dagli operatori di mercato che riescono a intercettare anche i nostri gusti, per vendere gli oggetti che li soddisfano. Ma si può prescindere da questi mezzi di comunicazione oggi diffusi su vasta scala? No. Perché, siccome il mondo della comunicazione passa attraverso questa rete, uscirne equivale a un'esclusione sociale. E nessuno vuole provare l'angoscia e la solitudine di questa esclusione.

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